Alfa Romeo, la storia della Casa del Biscione

Nel corso dei suoi oltre 100 anni di storia l’Alfa Romeo ha rappresentato per l’Italia e per gli italiani il simbolo della sportività accessibile. I clienti delle vetture del Biscione hanno sempre potuto contare su mezzi dalle prestazioni superiori, capaci di offrire il massimo piacere di guida a prezzi tutto sommato abbordabili. Scopriamo insieme l’evoluzione di questa Casa, che sta cercando di risollevarsi dopo un periodo buio.Alfa Romeo: la storiaLa storia dell’Alfa Romeo inizia ufficialmente il 10 giugno 1910, quando un gruppo di imprenditori lombardi rileva la Società Italiana Automobili Darracq (filiale tricolore di una Casa automobilistica francese) e la ribattezza ALFA (Anonima Lombarda Fabbrica Automobili).Il primo direttore tecnico della nuova società – Giuseppe Merosi – disegna il logo (il biscione simbolo dei Visconti, famiglia che governò Milano nel Medioevo, unito allo stemma del capoluogo lombardo: una croce rossa in campo bianco), utilizzato ancora oggi, e progetta la prima vettura del brand. La 24 HP – dotata di un motore 4.1 a quattro cilindri da 42 CV – può già vantare un DNA sportivo che negli anni successivi farà la fortuna di quesra Casa.Gli anni DieciNegli anni Dieci – grazie al lancio di nuovi prodotti e all’ingresso nel mondo delle corse – si assiste ad una costante crescita delle immatricolazioni dell’ALFA, interrotta però dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale. L’azienda lombarda non è in grado di convertire la produzione a scopi militari e per questo motivo viene venduta al’imprenditore – e ingegnere – napoletano Nicola Romeo.Quest’uomo – già attivo nella fornitura di commesse per l’Esercito – interrompe la produzione di mezzi a quattro ruote e usa la fabbrica del Portello per realizzare munizioni e motori aeronautici su licenza Isotta Fraschini.Nasce l’Alfa RomeoNel 1918 la società cambia nome in Alfa Romeo e ricomincia a produrre automobili ma il primo modello nuovo – la 20-30 HP – vede la luce solo nel 1920. Le vendite latitano: la gestione della società non è delle migliori, le concessionarie sono poche e i modelli lanciati all’inizio del decennio non convincono il pubblico.La svolta arriva nel 1923 quando una RL guidata da Ugo Sivocci porta al Biscione la prima vittoria importante: la Targa Florio. L’anno successivo arrivano due successi ancora più rilevanti – Giuseppe Campari al GP di Francia e Tazio Nuvolari in Italia – che amplificano il blasone della Casa milanese.Nonostante le scarse immatricolazioni Benito Mussolini – all’epoca al potere – decide di salvare l’Alfa Romeo dal fallimento usando le vittorie sportive per dare risalto all’Italia. Nel 1925 il brand lombardo conquista il primo mondiale di automobilismo della storia con la P2, progettata da Vittorio Jano e guidata da Antonio Ascari (primo in Belgio) e Gastone Brilli-Peri (sul gradino più alto del podio a Monza).Gli anni Venti si chiudono alla grande (dal punto di vista del motorsport) con le due vittorie di Campari alla Mille Miglia nel 1928 e nel 1929 al volante di una 6C.Gli anni TrentaNegli anni Trenta i successi dell’Alfa Romeo sono ancora più numerosi: otto Mille Miglia (1930, 1932-1938), sei vittorie alla Targa Florio (1930-1935) e ben quattro 24 Ore di Le Mans (1931-1934).Da non sottovalutare, inoltre, la categorie Grand Prix: più precisamente i due titoli europei piloti con Ferdinando Minoia (1931) e Nuvolari (1932) e i tanti gradini più alti del podio ottenuti dalle vetture del Biscione nella prima metà del decennio.La situazione societaria non è però altrettanto florida: nel 1933 l’Alfa Romeo – in piena crisi finanziaria – diventa ufficialmente un’azienda statale dopo che Mussolini (appassionato di corse automobilistiche) decide di salvare un’altra volta l’azienda milanese. Le quote azionarie precedentemente nelle mani delle banche vengono acquistate dall’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale, ente pubblico creato per evitare i fallimenti delle aziende private).Il dirigente e ingegnere Ugo Gobbato viene nominato presidente e riesce a risollevare il brand ritirandolo dal mondo delle corse (le vetture vengono cedute ad una certa Scuderia Ferrari, che dal 1929 era il reparto corse ufficiale del Biscione) e lanciando una serie di modelli che conquistano finalmente il pubblico.La seconda metà degli anni Trenta è segnata dall’addio all’Alfa Romeo di Jano (“colpevole” di non essere riuscito a realizzare vetture da corsa più veloci di quelle tedesche), rimpiazzato alla direzione tecnica dallo spagnolo Wifredo Ricart, che decide di introdurre nella produzione di serie il ponte De Dion. Questa particolare soluzione tecnica – caratterizzata dal differenziale collegato alla scocca (idea che consente di ridurre il peso delle masse non sospese – verrà utilizzata dal Biscione fino alla fine degli anni Ottanta.La Seconda Guerra MondialeQuella che si prepara alla Seconda Guerra Mondiale è un’Alfa molto più solida di quella che affrontò il primo conflitto. La Casa milanese, che ha già diversificato la produzione qualche anno prima puntando sui veicoli industriali, si occupa anche di motori aeronautici da destinare all’Esercito.Gli stabilimenti dell’Alfa Romeo di Pomigliano d’Arco e del Portello vengono praticamente distrutti (nel 1943 e nel 1944) ma la scelta di trasferire buona parte dei macchinari nella periferia milanese permette al marchio lombardo di riprendere le forze in breve tempo.Il secondo dopoguerraNel 1946 la Casa del Biscione si ritrova senza i suoi due uomini più importanti: Gobbato, assolto dall’accusa di collaborazionismo, viene assassinato il 28 aprile 1945 da un operaio insoddisfatto dell’esito del processo mentre Ricart torna in Spagna in seguito alla caduta del fascismo.Il posto di direttore tecnico dell’ingegnere iberico viene preso dal torinese Orazio Satta Puliga che impiega poco tempo a modernizzare l’Alfa Romeo: abbatte i costi di gestione esternalizzando la produzione dei componenti secondari e in attesa del primo vero nuovo modello – la 1900 del 1950 – le numerose vittorie sportive permettono ancora una volta all’azienda di essere salvata dal fallimento.Nel 1946 Giuseppe Farina si aggiudica il GP delle Nazioni a Ginevra e quello di Torino e nel 1947 (anno in cui Clemente Biondetti porta a casa l’ultima Mille Miglia del Biscione) tocca a Jean-Pierre Wimille (Svizzera e Belgio) e a Carlo Felice Trossi (Italia) salire sul gradino più alto del podio. I successi proseguono nel 1948, con Trossi primo in Svizzera e Wimille davanti a tutti in Francia e in Italia.Gli anni CinquantaGli anni Cinquanta si aprono bene per l’Alfa Romeo: la 1900 – prima vettura del marchio milanese dotata di telaio monoscocca – conquista il pubblico grazie al buon rapporto prezzo/prestazioni.Tra il 1950 e il 1951 la Casa lombarda domina anche nelle corse aggiudicandosi i primi due Mondiali F1 della storia: il primo anno Giuseppe Farina conquista l’iride grazie ai trionfi nel Regno Unito, in Svizzera e in Italia mentre l’anno seguente tocca a Juan Manuel Fangio laurearsi campione prevalendo in Svizzera, in Francia e in Spagna.La Giulietta del 1955 – meno costosa (da comprare e da produrre) della 1900 – contribuisce a rimpinguare ulteriormente le casse dell’Alfa Romeo e impiega poco tempo a sedurre gli italiani alla ricerca di una berlina sportiveggiante.Gli anni SessantaSiamo in pieno boom economico, le vetture del Biscione si vendono come il pane e la fabbrica del Portello non riesce a sfornare abbastanza automobili per soddisfare la domanda. Per questo motivo nel 1963 (un anno prima della presentazione del circuito prova di Balocco) viene inaugurato lo stabilimento di Arese.Tra i modelli Alfa Romeo destinati a segnare la storia di questo brand segnaliamo la Giulia del 1962 – erede della Giulietta e caratterizzata da un design aerodinamico e da prestazioni superiori alla media – e la sexy Spider del 1966: l’ultima vettura realizzata da Battista Farina.La Casa del Biscione continua anche in questo decennio ad essere una protagonista delle corse: tra il 1966 e il 1970 arriva un campionato europeo turismo assoluto piloti (con l’olandese Toine Hezemans) e sei titoli (tre driver e tre costruttori) nella Divisione 2. Tutti ottenuti con le versioni coupé della Giulia.Gli anni SettantaGli anni Settanta per l’Alfa Romeo si aprono con l’Alfasud del 1972, una compatta prodotta nello stabilimento di Pomigliano d’Arco. Il modello più accessibile nella gamma del marchio milanese – nonché il primo dotato di trazione anteriore e motore boxer – impiega pochissimo tempo a sedurre il pubblico.È dello stesso anno l’Alfetta: una berlina più evoluta della Giulia ricca di “chicche” tecniche come le sospensioni anteriori a quadrilateri (usate soprattutto nelle vetture da corsa), il transaxle (cambio e frizione montati in blocco nel retrotreno per ripartire meglio i pesi tra l’asse anteriore e quello posteriore) e il ponte posteriore De Dion (soluzione che migliora il comportamento stradale).Le Alfa Romeo di questo periodo non vendono quanto quelle degli Sessanta e anche i successi sportivi (due Mondiali Sportprototipi nel 1975 e nel 1977) sono meno rilevanti rispetto al passato. I modelli lanciati nella seconda metà degli anni ’70 non convincono completamente: la Giulietta, erede della Giulia, ha un design che fatica a sedurre mentre l’ammiraglia Alfa 6 soffre la concorrenza delle proposte tedesche.Gli anni OttantaLa crisi del Biscione continua: le vetture del marchio milanese conservano prestazioni superiori a quelle delle rivali ma sono penalizzate da numerosi problemi di affidabilità dovuti alla bassa qualità degli assemblaggi.Il lancio, nel 1983, della 33 – che rimpiazza l’Alfasud mantenendo la stessa base tecnica ma proponendo forme più affascinanti – migliora un po’ la situazione dell’Alfa Romeo mentre è dello stesso anno la “cugina” Arna (realizzata in collaborazione con la Nissan), che si rivela un flop: le colpe sono da ricercarsi più nell’estetica che nella meccanica.La seconda metà di questo decennio porta buone notizie: nel 1985 la berlina 75  – la prima dotata di motore Twin Spark a doppia accensione – sostituisce la Giulietta e si distingue per un design più aggressivo e l’anno seguente il marchio lombardo – con i conti in rosso – diventa privato con la cessione alla Fiat.Il primo modello della nuova gestione Alfa Romeo è l’ammiraglia 164: realizzata sullo stesso pianale della Fiat Croma, della Lancia Thema e della Saab 9000 e dotata di trazione anteriore, è contraddistinta da un design riuscito (opera di Pininfarina). La prima vettura del Biscione realizzata interamente sotto la supervisione del colosso torinese è invece la coupé SZ.Gli anni NovantaLa berlina 155 del 1992 – dotata dello stesso pianale della Lancia Dedra e della Fiat Tempra – è il primo nuovo modello della Casa milanese realizzato negli anni Novanta. Non convince il pubblico ma vince nelle corse aggiudicandosi nel 1993 con Nicola Larini il prestigioso campionato turismo tedesco DTM.La situazione migliora nella seocnda metà del decennio con il lancio dell’erede: la 156, disegnata da Walter de Silva e ancora oggi considerata una delle automobili più belle del XX secolo, diventa la prima Alfa Romeo a conquistare il riconoscimento di Auto dell’Anno. Merito dello stile, certo, ma anche di un pianale riuscito e di diverse soluzioni tecniche innovative come il cambio con palette al volante e il motore turbodiesel common rail.Il XXI secoloIl nuovo millennio si apre con la conquista da parte della compatta 147 – nel 2001 – del titolo di Auto dell’Anno. La vettura riprende gli stilemi della sorella maggiore 156 e seduce il pubblico grazie anche alla qualità degli interni.Dopo una serie di modelli contraddistinti da un design sexy ma poco convincenti sotto il profilo dell’agilità – come la 159 e la Brera del 2005 – l’arrivo della supercar 8C Competizione nel 2007 segna il ritorno della trazione posteriore in casa Alfa Romeo.La piccola MiTo  – realizzata sulla stessa base della Fiat Grande Punto – del 2008 rappresenta il modello più accessibile della Casa del Biscione mentre in occasione del centenario, nel 2010, tocca all’erede della 147: la Giulietta. Risale al 2013, invece la sexy 4C, una supercar compatta a trazione posteriore dal prezzo relativamente accessibile.

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