Autovelox, pubblicato l’elenco ufficiale dei dispositivi autorizzati: ecco dove sono attivi
Il MIT aggiorna la lista nazionale degli autovelox omologati: solo i dispositivi registrati possono emettere multe valide
La mappa degli autovelox italiani è finalmente nero su bianco. Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, come riferisce anche alanews.it nel suo articolo di approfondimento, ha pubblicato online l’elenco ufficiale dei dispositivi autorizzati, un passaggio decisivo per mettere ordine nel sistema dei controlli di velocità e garantire regole più trasparenti agli automobilisti.
La registrazione alla piattaforma del MIT era obbligatoria entro il 28 novembre 2025, data entro la quale Comuni, Province e altri enti dovevano indicare i dettagli tecnici di ogni apparecchio. È una rivoluzione silenziosa ma fondamentale: chi non è in lista non può elevare multe. Le sanzioni emesse con dispositivi non censiti sono da considerarsi nulle.
Come funziona la nuova piattaforma del MIT e cosa cambia per gli automobilisti
Il portale dedicato raccoglie tutte le informazioni necessarie per verificare la regolarità degli strumenti utilizzati sul territorio. Ogni autovelox deve essere registrato con marca, modello, matricola, ubicazione precisa e documento di omologazione. Una mancanza anche minima può invalidare le sanzioni.
Il decreto direttoriale n. 367 del 29 settembre 2025 ha reso la pubblicazione della lista obbligatoria e continua: il database sarà aggiornato in modo progressivo, così da evitare zone d’ombra o apparecchi “fantasma”.
Secondo i dati preliminari di ASAPS, i dispositivi attivi nel 2025 sono 3.625, tra autovelox fissi, mobili e in movimento. La distribuzione riflette un Paese a più velocità: Milano guida la classifica con 134 apparecchi, seguita da Torino (116) e Roma (115), mentre Napoli ne conta appena 8.
La Polizia Stradale gestisce 586 strumenti, compresi i sofisticati Tutor 3.0 e SICVe utilizzati per la velocità media; i Carabinieri, invece, sono responsabili di un solo dispositivo registrato.
Omologazione, controlli e ricorsi: la giungla normativa che riguarda gli autovelox
Il tema dell’omologazione resta centrale. La Corte di Cassazione, con una sentenza del 2024, ha stabilito che le multe sono valide solo se emesse tramite dispositivi omologati, e non semplicemente approvati. Il Ministero ritiene la distinzione in parte formale e invita i prefetti a respingere i ricorsi su questo punto, ma molti esperti legali suggeriscono comunque di contestare le sanzioni dubbie, confidando nella giurisprudenza consolidata.
Nel frattempo la Polizia di Stato continua ad aggiornare settimanalmente le postazioni in cui sono attivi controlli di velocità, sia fissi che mobili, dai classici autovelox alle pistole Telelaser e TruCAM, passando per i Tutor sulle arterie autostradali. Un monitoraggio costante che mira non a fare cassa, ma a ridurre gli incidenti causati dall’eccesso di velocità.
Dove consultare l’elenco completo: il portale ufficiale del MIT
Per verificare se un autovelox è autorizzato — e quindi se una multa è davvero valida — gli automobilisti possono consultare in qualsiasi momento il database ufficiale del MIT all’indirizzo:
https://velox.mit.gov.it/dispositivi
È uno strumento pensato per tutelare i cittadini, garantire uniformità nei controlli e mettere definitivamente fine ai dubbi sulla regolarità dei dispositivi.
La trasparenza, questa volta, passa davvero per il digitale.
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Auto elettriche, superata quota 70mila colonnine: ecco le Regioni e le città più avanti nella ricarica
La rete cresce a ritmo record, ma il settore chiede regole più semplici e una strategia nazionale davvero all’altezza della transizione elettrica
Il nuovo report trimestrale di Motus-E certifica un passaggio chiave per l’e-mobility italiana: al 30 settembre 2025 i punti di ricarica pubblici sono arrivati a 70.272, con 2.711 nuove installazioni solo nell’ultimo trimestre e quasi 10mila in un anno. Numeri importanti, come riferisce anche alanews.it nel suo approfondimento, che raccontano una rete in espansione e un mercato che, nonostante freni strutturali, prova finalmente a correre.
Sull’autostrada la fotografia è ancora più indicativa: 1.274 punti di ricarica complessivi e l’86% in corrente continua. Addirittura il 63% supera i 150 kW, segno di una rete che vuole diventare davvero “fast” e rispondere alle esigenze di chi viaggia in elettrico.
Le Regioni che spingono davvero: Lombardia leader assoluta
La distribuzione dei punti di ricarica evidenzia differenze ancora marcate:
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Lombardia al primo posto con oltre 14.200 colonnine,
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seguita da Lazio, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna.
A livello provinciale, la classifica conferma l’asse Nord-Centro:
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Roma domina con quasi 5.900 punti,
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poi Milano,
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e Napoli, in costante crescita.
Il dato urbano è cruciale: nelle grandi città, dove gli spazi privati scarseggiano, la ricarica pubblica è un abilitatore decisivo. La crescita dell’infrastruttura rispecchia infatti l’aumento degli EV circolanti: 339mila full electric al 31 ottobre 2025, +28,7% rispetto all’anno precedente.
Iter complessi e costi energetici: il vero freno alla crescita
La rete cresce, sì, ma non senza difficoltà. Gli operatori del settore lamentano da tempo procedure autorizzative lente e un quadro normativo frammentato.
Il presidente di Motus-E, Fabio Pressi, sottolinea il rischio di rallentamento:
“Sostenere questa crescita sta diventando sempre più complicato per gli operatori, a causa di ritardi normativi e regolatori che rallentano l’attivazione delle infrastrutture”.
Pressi – CEO di A2A E-Mobility e figura di riferimento dell’e-mobility italiana – insiste su un punto: senza un intervento strutturale, l’Italia rischia di perdere il ritmo della transizione elettrica.
Motus-E propone 5 priorità nel manifesto “Ricaricare l’Italia”:
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ridurre i costi energetici per gli operatori, allineandoli alla media UE;
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semplificare gli iter autorizzativi per connettere le colonnine alla rete;
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coprire tutte le autostrade con punti di ricarica rapidi;
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concessioni ventennali per garantire stabilità agli investimenti;
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una governance centrale che coordini dati, pianificazione e strategie.
Italia in ritardo sull’Europa: serve una politica industriale vera
Nonostante la crescita, la quota di mercato delle auto elettriche italiane è ancora ferma al 5,2%, lontanissima dal 18,1% europeo e dai target del PNIEC 2030.
Secondo Pressi, lo scontro politico sulle date di stop ai motori termici è fuorviante:
“Non è più tempo di discutere delle date di fine vendita dei veicoli termici, ma di definire una politica industriale europea e nazionale seria”.
L’obiettivo di Motus-E è chiaro: una rete più densa, più accessibile e più economica, capace di ridurre le ansie da ricarica e spingere un mercato che oggi resta frenato soprattutto dall’infrastruttura e dai costi.
Se il Paese saprà cogliere la sfida, l’Italia potrà avvicinarsi al modello dei Paesi più avanzati, trasformando la mobilità elettrica da nicchia a scelta mainstream.
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L’Ue valuta lo stop alle supercar dal 2026: il limite dei 68 dB mette a rischio modelli iconici
Dal luglio 2026 entreranno in vigore limiti acustici più severi per le auto passeggeri. La soglia dei 68 decibel rischia di colpire supercar e versioni sportive di molti marchi, aprendo un acceso dibattito tra Bruxelles, costruttori e automobilisti
L’Unione europea è pronta ad applicare dal luglio 2026 la terza fase del regolamento 540/2014, che introduce limiti acustici ancora più severi per le auto della categoria M1. La novità più discussa è l’abbassamento della soglia massima di emissione sonora a 68 decibel, senza distinzioni tra citycar, SUV di massa, berline sportive o supercar prodotte in serie limitata.
Una misura, come sottolinea anche alanews.it, che nasce con l’obiettivo di ridurre l’inquinamento acustico nei centri urbani europei, ma che rischia di avere effetti collaterali inattesi. Le regole non tengono conto delle profonde differenze tecniche tra i segmenti: per molte vetture ad alte prestazioni, costruite proprio per offrire un’esperienza sonora intensa, rispettare i nuovi limiti potrebbe diventare impossibile.
L’ACEA, l’associazione dei costruttori europei, parla di rischio concreto per la sopravvivenza di interi cataloghi di sportive. L’organizzazione chiede l’introduzione di sottocategorie come M1b (versioni sportive di modelli comuni) e M1c (supercar), per evitare che la transizione ambientale cancelli modelli storici e tecnicamente impossibili da rendere più silenziosi senza comprometterne la natura.
Le tecnologie fanno passi avanti, ma la normativa non li riconosce
Negli ultimi decenni la tecnologia ha rivoluzionato il controllo del rumore nei veicoli. Secondo analisi recenti, oggi servirebbero oltre 30 auto moderne per generare il rumore prodotto da un singolo veicolo degli anni Settanta. Le case automobilistiche hanno investito in materiali fonoassorbenti, motorizzazioni più pulite e sistemi di scarico sofisticati.
Nonostante ciò, le metodologie di misurazione adottate dall’Ue sembrano non allinearsi pienamente ai progressi tecnici: i test rischiano di sovrastimare l’impatto acustico reale delle auto moderne. Parallelamente cresce un altro elemento trascurato dalla normativa: il rumore generato dagli pneumatici. Con l’aumento del peso dei veicoli e l’evoluzione degli asfalti, la quota di rumore dovuta alle gomme è diventata significativa, ma non sempre correttamente considerata nei calcoli ufficiali.
La combinazione di questi fattori alimenta le critiche del settore, convinto che l’attuale formulazione non rifletta la complessità dell’inquinamento acustico odierno e rischi di penalizzare ingiustamente categorie di auto a diffusione molto limitata.
Il caso Porsche e la reazione dei marchi iconici
L’ipotesi di dover eliminare o riprogettare supercar e versioni ad alte prestazioni ha scatenato una reazione immediata dei costruttori. Mercedes-AMG, Ferrari, Lamborghini e Porsche si trovano tra i marchi più esposti: molte delle loro varianti sportive potrebbero superare la soglia dei 68 dB e diventare di fatto “fuorilegge”.
Tra le risposte più discusse c’è quella di Porsche, che ha depositato un brevetto ironico quanto intelligente: un sistema basato su GPS, telecamere e segnali stradali che rileva l’ingresso in un tunnel e invita il conducente ad abbassare i finestrini, attivare la modalità Sport, scalare una marcia e aprire le valvole di scarico. Un modo per garantire l’esperienza sonora tanto amata dagli appassionati nel rispetto dei nuovi requisiti, trasformando un limite in un’occasione di engagement.
Il messaggio implicito è chiaro: l’auto sportiva non può essere ridotta al silenzio senza snaturarne il significato culturale e tecnico. Ed è su questo terreno che la tensione tra Bruxelles e i costruttori si sta facendo più evidente.
La sfida dell’Ue: tra sostenibilità e patrimonio automobilistico
La battaglia contro l’inquinamento acustico è uno dei filoni centrali delle politiche ambientali europee. Le norme sul rumore si affiancano alle strategie di riduzione delle emissioni e alla progressiva elettrificazione delle flotte. Tuttavia, il settore automotive solleva un interrogativo cruciale: come conciliare sostenibilità e tutela di un patrimonio industriale che fa parte dell’identità europea?
Le supercar rappresentano una nicchia, ma anche un simbolo. Design, meccanica, tradizione e innovazione convivono in modelli che hanno fatto la storia dell’automobilismo e alimentano un comparto economico che include artigiani, tecnici, designer e ingegneri di altissimo livello.
Il dibattito resterà aperto nei prossimi mesi, mentre Bruxelles valuta eventuali correttivi. La soglia dei 68 decibel, così come formulata, potrebbe trasformarsi in una cesura netta tra passato e futuro del mondo delle auto sportive. Oppure in un’occasione per riscrivere le regole senza sacrificare l’anima dei motori europei.
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Ricarica domestica per auto elettriche: come installarla, quanto costa e quanta potenza serve
Wallbox, impianti, potenze e normative: tutto ciò che serve sapere per ricaricare un’auto elettrica a casa in sicurezza e nel rispetto della legge
Con l’aumento delle vendite di auto elettriche — spinto dagli incentivi 2025 e da una rete pubblica ancora in espansione — cresce la necessità di infrastrutture di ricarica privata.
La ricarica domestica, come riportato anche su alanews.it, è la soluzione più diffusa: secondo Motus-E, oltre il 75% dei proprietari di veicoli elettrici italiani effettua la ricarica principalmente a casa.
Analisi preliminare dell’impianto
Il primo passo è la verifica della linea elettrica.
In abitazioni indipendenti la procedura è semplice, ma richiede sempre un sopralluogo tecnico per valutare potenza disponibile, sezione dei cavi e messa a terra.
In condominio, invece, la legge (art. 1122-bis del Codice Civile) consente l’installazione di una wallbox nel box privato previa comunicazione all’amministratore e nel rispetto delle norme CEI 64-8.
Se il box non è collegato al contatore dell’abitazione, è necessario installarne uno dedicato.
Wallbox: caratteristiche e costi
Le wallbox domestiche coprono potenze da 3,7 kW (monofase) a 22 kW (trifase).
I modelli “smart” consentono la gestione via app, la programmazione delle fasce orarie e l’integrazione con impianti fotovoltaici.
L’installazione, affidata a un elettricista qualificato, richiede dichiarazione di conformità e può costare da 300 a 1 000 euro a seconda della distanza dal quadro e della complessità dei lavori.
Il prezzo della wallbox varia da 500 a oltre 2 000 euro.
Per ricaricare con una potenza nominale di 7,4 kW, una batteria da 50 kWh si ricarica in circa 7 ore, contro le oltre 18 ore di una presa domestica Schuko da 2,3 kW.
Dimensionamento dell’impianto
Un’utenza da 3 kW consente la ricarica lenta, ma non è ottimale per un uso quotidiano.
Aumentare la potenza a 4,5 o 6 kW riduce i tempi e permette di gestire contemporaneamente gli altri carichi domestici.
L’aumento comporta un leggero incremento dei costi fissi in bolletta (circa 30–40 €/anno per kW aggiuntivo), ma garantisce maggiore stabilità di erogazione.
Chi dispone di un impianto fotovoltaico può massimizzare l’autoconsumo impostando la wallbox per ricaricare durante le ore di produzione solare.

Sicurezza e normative antincendio
Nelle autorimesse condominiali superiori a 300 m², la normativa antincendio (D.M. 15 maggio 2020) prevede sistemi di sgancio di emergenza e, in alcuni casi, l’aggiornamento della SCIA.
Non esiste invece l’obbligo di modificare porte o serrande.
Ogni installazione deve rispettare le prescrizioni CEI EN 61851 e CEI 64-8, e prevedere protezione differenziale e magnetotermica dedicate.
Aspetti energetici e di costo
Il costo medio dell’energia domestica in fascia F2–F3 è di circa 0,25 €/kWh.
Una ricarica completa di un’auto con batteria da 50 kWh costa quindi circa 12–13 euro, pari a 2,5 €/100 km con un consumo medio di 17–18 kWh/100 km.
Un pieno di benzina equivalente supererebbe i 40 euro.
Con tariffe dedicate o abbinamento al fotovoltaico, la spesa può ridursi ulteriormente.
In sintesi
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Casa indipendente: libertà di installazione, ideale con fotovoltaico.
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Condominio: serve comunicazione all’amministratore, possibile contatore dedicato.
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Potenza consigliata: 4,5–6 kW monofase.
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Costo totale installazione: da 800 a 2 500 euro (wallbox + manodopera).
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Norme di riferimento: CEI 64-8, CEI EN 61851, Codice Civile art. 1122-bis.
La ricarica domestica è oggi la scelta più efficiente per chi guida elettrico: sicura, prevedibile e compatibile con i ritmi quotidiani.
Con un impianto dimensionato correttamente e una wallbox certificata, il garage diventa una stazione privata di energia pulita — pronta a sostituire la vecchia pompa di benzina sotto casa.
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Ducati-Marquez, paura dopo il mondiale: Dall’Igna teme il peggio
Marc Marquez si è appena laureato campione del mondo in MotoGP. Cosa succede ora? Lo spagnolo resterà alla Ducati? Le ultime.
Domenica scorsa sulla pista di Motegi Marc Marquez si è laureato campione del mondo per la nona volta in carriera – la settima in MotoGP – eguagliando il record di Valentino Rossi. Un titolo che lo spagnolo – dopo i tanti problemi fisici (e non solo) avuti – stava cercando da sei anni. Il passaggio a inizio anno in Ducati e lo straordinario lavoro del Team Lenovo hanno permesso a Marquez di imporsi sulla concorrenza e di conquistare la matematica certezza del titolo con ben cinque gare d’anticipo.
Sono in tanti a chiedersi quale sia il futuro di Marquez. Il contratto che lo lega al team ufficiale Ducati scade alla fine del 2026. Ancora per un anno almeno, quindi, vedremo Marquez a bordo della Ducati ufficiale della casa di Borgo Panigale. La stessa cosa vale anche per Pecco Bagnaia. Il pilota italiano due volte campione del mondo, dopo un’annata difficile, è tornato al successo – sia nella Sprint che nella gara lunga – proprio a Motegi. Un weekend perfetto per la Ducati, con Bagnaia tornato sui suoi livelli e con Marquez ufficialmente campione del mondo.
Ma cosa teme ora Dall’Igna? Che cosa è accaduto alla fine del Gran Premio disputato sulla pista giapponese di Motegi? Ecco tutto quello che c’è da sapere.
Marc Marquez, l’episodio accaduto al termine della gara di Motegi che lo ha consacrato campione del mondo
Il passato di Marc Marquez con la Honda non è stato dimenticato da nessuno. E dopo la conquista del nono titolo, il team ufficiale HRC Honda si è congratulato con il suo ex pilota. Lo spagnolo – dopo 11 stagioni e 6 titoli mondiali con la Honda – aveva lasciato il suo vecchio team nel 2023.

Nell’ultima disastrosa stagione con la Honda, però, era riuscito a salire sul podio – sempre a Motegi – tagliando il traguardo al terzo posto. E, cosa incredibile a dirsi, la Honda è tornata sul podio con il terzo posto di Mir – a due anni di distanza dall’ultima volta – sempre a Motegi e nel giorno della matematica certezza del titolo per Marquez.
Questa la nota via social di HRC Honda: “A volte la palla numero 8 non segna la fine della partita. Congratulazioni da parte di tutti noi della Honda HRC a Marc Marquez e al suo team. È stato un viaggio lungo mille miglia e siamo felici di vederti tornare in cima al mondo con il tuo nono titolo mondiale“.
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Maserati è tutto finito, diventa degli arabi. I dettagli della trattativa
Ormai Maserati non naviga in buone acque e l’unico modo per salvarla potrebbe essere drammatico: vendere tutto agli arabi. La trattativa è in corso.
La notizia scuote il mondo dell’automotive italiano: Maserati potrebbe diventare proprietà araba. La storica casa del Tridente, simbolo di eleganza e potenza made in Italy, sembra destinata a lasciare il gruppo Stellantis, in una trattativa che coinvolge anche Alfa Romeo e lo stabilimento di Cassino. Qualcosa sta accadendo davvero, dietro le quinte.
Secondo fonti attendibili e l’esperto giornalista Pierluigi Bonora, alcuni importanti investitori provenienti dagli Emirati Arabi Uniti hanno manifestato un forte interesse per il marchio Maserati. Inizialmente, si parlava solo di un possibile ingresso di Maserati nel gruppo Ferrari, ma questa opzione sembra ormai tramontata definitivamente. A quel punto, Stellantis avrebbe deciso di aprire a una cessione più ampia, proponendo agli investitori un pacchetto che comprenderebbe non solo Maserati ma anche Alfa Romeo e lo stabilimento di Cassino, cuore produttivo della casa del Biscione.
La trattativa appare complessa, con uno “strano” tira e molla in corso: gli investitori emiratini puntano esclusivamente su Maserati, mentre Stellantis insiste per includere nel pacchetto anche Alfa Romeo e Cassino. Un’offerta che, se confermata, porterebbe a un ridisegno epocale del panorama automobilistico italiano, con un marchio storico e un impianto produttivo strategico che passano di mano. Emiliano Perucca Orfei, noto esperto del settore, ha approfondito la questione in un video pubblicato oggi su YouTube, confermando la delicatezza e portata della vicenda.
Una profonda crisi senza fine…
Dietro questa possibile cessione c’è un dato di fatto: Stellantis gestisce ben 14 marchi, un numero giudicato insostenibile da quasi tutti gli analisti di settore. La necessità di razionalizzare il portafoglio brand è ormai un’urgenza, e Maserati e Alfa Romeo sono tra i principali candidati a essere sacrificati. La strategia è chiara: concentrarsi su marchi più redditizi e snellire la struttura.
Le voci su questa maxi-trattativa non sono nuove. Nei mesi scorsi, prestigiosi quotidiani internazionali come il Wall Street Journal e il New York Times avevano già indicato Maserati e Alfa Romeo come possibili “pezzi da scambiare” per garantire la sostenibilità del gruppo.

Il quadro generale di Stellantis in Italia non è confortante. Gli stabilimenti soffrono, tra l’uso persistente di ammortizzatori sociali e un clima di incertezza per i lavoratori. A Cassino, lo stabilimento simbolo per Alfa Romeo, la situazione rimane critica. Il sindacato Fim-Cisl ha annunciato che nei prossimi giorni effettuerà un nuovo monitoraggio della produzione per aggiornare sullo stato del 2025. Questo nonostante i SUV di Alfa Romeo abbiano sanato in parte i bilanci vendendo molto bene.
Le ultime stime indicano che entro fine anno in Italia saranno prodotti circa 440.000 veicoli, suddivisi tra 250.000 automobili e il resto furgoni. Un dato che rappresenta un netto calo rispetto al passato glorioso, quando nel 2017 la produzione superava il milione di unità, ben 1.035.454 vetture Secondo la società di consulenza AlixPartners, questo declino produttivo riflette il fallimento della precedente strategia industriale di Stellantis sotto la guida di Carlos Tavares. La necessità di nuove scelte gestionali e produttive è ormai evidente, non solo per invertire la tendenza negativa ma soprattutto per garantire stabilità occupazionale e competitività sul mercato globale.
L’ipotesi che Maserati, Alfa Romeo e Cassino possano finire sotto controllo emiratino rappresenta un bivio cruciale per il futuro dell’industria automobilistica italiana. Una svolta che scuote le fondamenta di un settore storico, spingendo a riflettere sulle strategie di sviluppo e sulle scelte politiche da adottare per salvaguardare il patrimonio industriale nazionale prima che venga ceduto all’estero come troppo spesso è accaduto in passato.
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L’ultimo marchio a non produrre SUV si arrende, annunciato il primo di sempre
Questa ambizione si traduce in un impegno per innovare e crescere, puntando non solo a mantenere la leadership nelle supercar biposto.
Dopo anni di resistenza, anche la McLaren, storica casa britannica di supercar, si appresta a entrare nel segmento dei suv di lusso ad alte prestazioni. Il cambiamento di rotta è stato annunciato dal nuovo amministratore delegato Nick Collins, che ha confermato l’arrivo imminente di un modello con più di due posti, un chiaro riferimento a un suv, che sarà il primo di una nuova famiglia di vetture pensate per ampliare l’offerta del marchio.
McLaren cede alla tendenza globale dei suv sportivi
La McLaren era rimasta per lungo tempo l’ultima casa “dura e pura” a non aver ceduto alla tentazione del suv, nonostante il successo di mercato di questa categoria. Prima di lei, altri grandi marchi sportivi come Porsche, Lamborghini, Lotus e perfino Ferrari hanno introdotto modelli di suv ad alte prestazioni, sfruttando l’elevato volume di vendite di questi veicoli per finanziare lo sviluppo delle loro supercar tradizionali.

Il ceo Collins ha spiegato che la scelta di puntare anche su segmenti più ampi e abitabili nasce dalla necessità di “produrre più e meglio”, ampliando la gamma senza però rinunciare all’identità sportiva del marchio. Questo nuovo orientamento si traduce in una strategia più flessibile che consente di conquistare nuovi clienti e mercati, pur mantenendo al centro le prestazioni e la tecnologia distintive della McLaren.
L’ingresso nel segmento suv è parte integrante di un progetto più ampio che vede la McLaren impegnata in una serie di innovazioni tecnologiche e collaborazioni strategiche. In particolare, la recente fusione con la start-up Forseven, specializzata in tecnologie avanzate, rappresenta un tassello fondamentale per lo sviluppo dei futuri modelli.
Inoltre, il fondo d’investimento CYVN Holdings, che detiene la proprietà della McLaren, possiede anche una quota significativa nella casa cinese Nio. Questa partnership potrebbe portare all’adozione di componenti elettrificate e sistemi di ultima generazione sulle vetture britanniche “molto prima di quanto si pensi”, come ha dichiarato il ceo Collins. L’obiettivo è quello di integrare soluzioni innovative per migliorare le prestazioni e la sostenibilità, senza compromettere la sportività.
La strategia di espansione della McLaren non si limita a una semplice diversificazione di prodotto, ma si inserisce in una visione di lungo termine che punta a consolidare la presenza del marchio nel mercato globale delle auto ad alte prestazioni. Collins ha sottolineato più volte come l’azienda voglia costruire un futuro duraturo, con un orizzonte temporale di almeno cinquant’anni, ben oltre i canonici dieci anni di pianificazione.
Questa ambizione si traduce in un impegno a fondo per innovare e crescere, puntando non solo a mantenere la leadership nelle supercar biposto ma anche a offrire una gamma più variegata e accessibile a un pubblico più ampio. La promessa è di proporre modelli sempre più diversi e performanti, capaci di rispondere alle esigenze di un mercato in continua evoluzione.
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Altro duro colpo per Stellantis e per i lavoratori italiani: sarà dato tutta alla Cina
Stellantis non sta passando affato momenti particolarmente semplici e felici, e anche l’ultima news lo dimostra.
Stellantis, a cavallo tra il 2024 e il 2025, ha vissuto momenti davvero difficili e complicato. Il marchio in questione, infatti, a causa del calo della domanda per le automobili elettriche, si è trovato in grande difficoltà economica.
Proprio per questa ragione, ha preso la decisione di gestire in maniera sostanzialmente diversa le risorse, nel tentativo di rialzare la china e migliorare quella che è una situazione sostanzialmente complessa. E non sembra finita qua.
Nelle ultime ore, infatti, il gruppo automobilistico che fonde FCA e PSA insieme da anni, è finito sotto l’occhio del ciclone per una questione che sta facendo non poco di scutere e parlare gli addetti ai lavori, ma anche tanti lavoratori delusi e affranti. Scopriamo allora di cosa si tratta nello specifico e perché si è venuta a creare una situazione di questo genere.
Stellantis, che beffa: tutto in mano alla Cina
Tanti i lavoratori delusi dalle decisioni di Stellantis negli ultimi anni, e purtroppo le polemiche non sembra proprio che potranno placarsi, considerando l’ultima importante news riguardante il marchio. Dopo lo stop degli stabilimenti italiani a causa della riduzione della domanda, secondo il Financial Times la Gigafactory di Stellantis sarà realizzata a Saragozza in Spagna insieme a CATL e con l’ausilio di 298 milioni di finanziamenti. A operare all’interno di questo progetto, si preparano ben 2.000 addetti direttamente dalla Cina. Una scelta, questa, legata alle differenze di competenze tra i professionisti europei e quelli cinesi.

Appena la produzione sarà avviata, il personale dovrebbe essere principalmente spagnolo. Parliamo di un gruppo di lavoro formato da circa 3.000 persone. Lo stabilimento dovrebbe entrare in produzione entro il 2026, nascendo accanto a uno stabilimento Stellantis presente dagli anni ’80. Si tratta di un movimento cruciale da parte del marchio italofrancese in vista della transizione elettrica. Ed è anche un’azione di grande spessore da parte della Cina, che aumenta considerevolmente in questo modo la dipendenza tecnologica dell’Europa e più in generale dell’occidente nei confronti del Paese di riferimento per il futuro dell’automobile.
Questa decisione è pesante per l’Italia e i lavoratori italiani, considerando che Stellantis ha da poco tempo annunciato lo stop di varie linee di produzione a causa della domanda debole. Inoltre, ha bloccato da tempo il progetto di una gigafactory a Termoli da realizzare insieme a Mercedes e Total. Nulla di fatto, però, con i 400 milioni messi a disposizione dal governo che sono stati ricollocati.
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Lo scooter 125 del momento costa meno di una e-bike: affare del 2025, spaventa anche Honda
Se cercate uno scooter 125, ce n’è uno che in questo moemnto sta davvero sbaragliando la concorrenza: di quale modello parliamo.
Quando parliamo di scooter, facciamo riferimento a modelli sempre più desiderati e apprezzati. In senso assoluto, viene complicato pensare a uno scooter che almeno una volta nella vita non sia stato provato da qualcuno. Sono quindi mezzi di trasporto ormai entrati da tempo a far parte dell’immaginario collettivo.
Ne esistono di tutti i tipi e dimensioni, e ogni singolo scooter è adatto a un diverso genere di guidatore o guidatrice. Quello di cui abbiamo deciso di parlare all’interno di questo articolo, però, è un 125 che incredibilmente ha un prezzo veramente basso.
Costa infatti meno di una e-bike e potrebbe insidiare marchi più blasonati sul mercato come Honda e Yamaha. Ma di quale modello stiamo parlando e cos’ha di tanto speciale? Non ci resta veramente altro da fare che scoprirlo, dato che proposte di questo genere sono sempre meno diffuse.
Lo scooter 125 del momento: che prezzo
Il marchio che ha realizzato e proposto questo scooter 125 sul mercato si chiama LEM, e ha aggiunto di recente questo 125 alla propria gamma di veicoli. Il nome del veicolo è Coral 125. scooter a ruote alte che magari non rivoluziona niente ma fa tutto davvero bene. Quanto basta per accontentare i guidatori meno esperti e quelli con più anni alle spalle. Il suo obiettivo èrincipale è quello di districarsi al meglio nel traffico, specialmente in città dove parcheggi e viabilità sono uno stress continuo.

A stupire principalmente di questo veicolo è il prezzo di circa 2.000 euro, cifra di vendita davvero molto competitiva. Anche la dotazione è ben fatta, tant’è vero che di serie è disponibile il bauletto, l’accensione keyless e il cruscotto con schermo LCD. Il motore è un monocilindrico 125 Euro 5+ raffreddato ad aria capace di erogare circa 10 cavalli di potenza massima. Si tratta di un propulsore scattante ma non brusco grazie alla presenza del cambio automatico.
Si tratta di un modello molto agile, e in generale per uno scooter da 2.000 euro circa è davvero un gran bell’acquisto. La velocità massima è di 90 chilometri orari, mentre il consumo di carburante si attesta sui 2,6 litri ogni 100 chilometri. Se volete regalarvi un modello agile, scattante, divertente, facile da guidare ed economico, lo scooter 125 che abbiamo visto all’interno di questo articolo può fare davvero al caso vostro. Specialmente se del traffico cittadino ne avete pieni gli scarichi.
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Aggredito all’autolavaggio, chiede 50 milioni di danni. Una vicenda terribile
Aggredito all’autolavaggio dalle ultime persone da cui se lo sarebbe aspettato. Il calvario di un anziano guidatore.
Un episodio drammatico ha scosso la comunità di una grande città, dove il proprietario di un autolavaggio di 79 anni, cittadino statunitense, ha avviato una causa civile da 50 milioni di dollari contro il governo federale dopo essere stato brutalmente trattenuto e ferito durante un’operazione di polizia.
Rafie Ollah Shouhed, questo il nome dell’anziano imprenditore, ha riportato ferite importanti, tra cui costole rotte e un trauma cranico, a causa della violenza esercitata dagli agenti federali durante il blitz avvenuto il 9 settembre scorso nel suo autolavaggio. Secondo quanto dichiarato dal suo legale, V James DeSimone, l’episodio ha rappresentato una palese violazione dei diritti civili costituzionali e delle normative sulla dignità umana in vigore in California.
Aggredito dalla polizia, il dramma
La ricostruzione dei fatti, avvenuta a Van Nuys in un’area popolata di Los Angeles e basata anche su filmati di sorveglianza, mostra agenti mascherati dell’ICE che hanno spinto con forza Shouhed a terra e successivamente lo hanno immobilizzato con manette, nonostante le sue proteste per condizioni mediche preesistenti, tra cui un recente intervento cardiaco. L’uomo è stato trattenuto per quasi 12 ore senza alcuna accusa formale e senza la possibilità di contattare la famiglia. A seguito del rilascio, è stato necessario il ricovero ospedaliero per le conseguenze della violenta azione, che ha lasciato evidenti lividi e danni fisici.
Questo caso si inserisce in un clima di crescenti tensioni legate alle attività di immigrazione federale negli Stati Uniti, in particolare in California. Dopo la recente decisione della Corte Suprema che ha eliminato alcune restrizioni sulle operazioni di controllo e deportazione, le autorità federali hanno intensificato le retate nelle aree metropolitane, con un aumento significativo degli arresti, che spesso coinvolgono anche cittadini americani.
Il Dipartimento per la Sicurezza Interna o DHS ha annunciato un impegno a “inondare la zona” di Los Angeles con operazioni di controllo, suscitando non poche polemiche e azioni legali da parte di chi ritiene che queste misure violino i diritti costituzionali e sfocino in abusi. Analogamente, altre famiglie hanno denunciato arresti ingiustificati, come il caso di una madre che ha intentato una causa da un milione di dollari per il fermo a pistola puntata della figlia minorenne, cittadina americana.
Le gravi accuse: come hanno risposto
La denuncia presentata da Shouhed coinvolge diverse agenzie federali, tra cui DHS, Customs and Border Protection, ICE e Border Patrol. Le accuse comprendono aggressione fisica, abuso di potere e danni emotivi intenzionali. L’avvocato DeSimone ha sottolineato come il comportamento degli agenti sia stato “senza legge, imprudente e crudele”, mettendo in guardia sull’impatto che simili azioni possono avere sulla comunità e sulla fiducia nelle istituzioni.

Dal canto suo, il DHS ha confermato l’operazione del 9 settembre a Van Nuys, precisando che durante l’intervento sono stati arrestati cinque immigrati senza documenti e che Shouhed è stato fermato per aver “ostacolato l’operazione e aggredito un ufficiale federale”. Tuttavia, egli è stato rilasciato senza alcuna accusa.
In un’intervista a NBC4 Los Angeles, Shouhed ha espresso il proprio stupore e dolore per quanto subito: “Pensavo che questo fosse un paese civile e giusto. Perché mi hanno trattato così?”. Le immagini e le dichiarazioni raccolte dimostrano una forte critica all’operato delle forze di sicurezza, accusate di ricorrere immediatamente alla forza fisica senza tentare di verificare la situazione legale delle persone coinvolte.
Il legale DeSimone ha evidenziato come questo episodio rappresenti un campanello d’allarme per la tutela dei diritti civili negli Stati Uniti, invitando a un controllo più rigoroso sulle modalità operative delle agenzie federali per evitare abusi e violazioni che minacciano le fondamenta della democrazia americana.
L’articolo Aggredito all’autolavaggio, chiede 50 milioni di danni. Una vicenda terribile proviene da Panorama-auto.it.









