Come si rigenera la batteria di un’auto? Il procedimento

La batteria dell’auto ha un ciclo di vita; generalmente, quando mostra di aver esaurito la propria carica, si pensa sia quindi arrivata proprio alla fine del suo ciclo e che sia quindi da buttare e sostituire per poter far partire l’auto. Eppure non è sempre così, perché ci sono dei casi in cui è possibile rigenerare la batteria dell’auto, quindi vale la pena provare a farlo, in modo da darle ancora del tempo e risparmiare il denaro che serve per comprarne una nuova.
Ci sono diversi modi in cui è possibile rigenerare la batteria dell’auto, vediamo quindi i passaggi da compiere per ottenere un buon risultato, senza rischi inutili.
Rigenerare la batteria danneggiata
Può capitare di lasciare una batteria dell’auto scarica per molto tempo, in questo caso – come anche nel caso di una manutenzione scorretta – si possono verificare fenomeni quali cortocircuiti e solfatazione. Se si attivano questi processi, allora la batteria può essere davvero definitivamente inutilizzabile e danneggiata in modo permanente, è possibile però che si possa recuperare grazie alla rigenerazione, ovvero un’operazione di pulizia profonda che interessa appunto la batteria e che serve per ripristinare lo stato chimico-elettrico del pezzo.
In questo modo la batteria può tornare ad accumulare energia. Con la rigenerazione si procede con la pulizia delle piastre con acqua distillata e acido solforico, che però non è detto sia utile a qualsiasi tipo di batteria. Ci sono accumulatori che presentano danni irreversibili e altri che non possono essere in alcun modo salvati.
Le fasi della rigenerazione
È importante sapere che le batterie auto più recenti molto spesso non possono beneficiare dei processi di rigenerazione: hanno una scocca sigillata e impenetrabile, su cui quindi non è possibile provvedere con il processo di “rettifica”. Se parliamo invece di batterie a piombo acido, allora la rigenerazione ha una probabilità più elevata: ci sono dei tappi dai quali è possibile accedere all’interno.
Vediamo insieme le fasi da seguire:
- smontare la batteria dal vano motore, per poter lavorare più serenamente;
- bisogna sapere che le batterie a piombo acido hanno sei celle in tutto, ognuna irrorata da un liquido (l’elettrolita) composto da acqua distillata e acido solforico, che serve per aiutare il passaggio della corrente dalla batteria ai dispositivi collegati. Che fare? Togliere i tappi della batteria e ristabilire i livelli dell’elettrolita, versando prima acqua distillata e poi acido solforico: in questo modo ripristini la componente fondamentale per la conduzione della corrente elettrica;
- puoi riavvitare i tappi e rimontare la batteria nel vano motore.
Cosa fare dopo aver rimontato la batteria:
- ricaricare: basta usare i cavi appositi;
- attenzione: non dimenticare il corretto accoppiamento con i poli della batteria, il cavo rosso ha una carica positiva e deve essere collegato al rispettivo polo positivo della batteria dell’auto. Il cavo nero (che può essere anche blu o verde) ha invece una carica negativa e va connesso al polo negativo della batteria.
Riassumendo: aggiungendo acido solforico e acqua distillata alla batteria della tua auto, è possibile procedere con la sua rigenerazione, in modo da ripristinare l’elettrolita che si trova al suo interno.
Non è tutto qui: c’è un’altra operazione da compiere per concludere la rigenerazione del pezzo. Bisogna pulire per bene le piastre, che potrebbero essere coperte da una patina di metallo ossidato:
- rimuovile;
- puliscile con una spazzola con setole in ottone;
- nella pulizia fai attenzione a non rovinare la superficie delle piastre stesse.
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Consuma di più il metano o il GPL? Le differenze

Le vetture alimentate a GPL e a metano oggi si stanno diffondendo sempre più. Ciò è dovuto anche alla crisi del diesel, ma soprattutto ai prezzi di gasolio e benzina alla pompa che sono saliti alle stelle, svuotando le tasche degli italiani, soprattutto di coloro che hanno l’esigenza di spostarsi tutti i giorni in auto per lavoro.
Le macchine a metano e GPL riscuotono un discreto successo sia per il loro basso impatto ambientale, che per i costi di gestione contenuti. Ed è questo il motivo per cui si tratta di veicoli che risultano ideali per tutti coloro che hanno necessità di percorrere parecchi chilometri e che quindi spendono molto per i rifornimenti di carburante. Vediamo le differenze tra GPL e metano e cosa conviene.
GPL e metano: per che cosa si differenziano
Entrambe queste tipologie di alimentazione sono convenienti, ma vediamo le loro differenze. Innanzitutto che cosa sono:
- il GPL è Gas di Petrolio Liquefatto, una miscela formata da diversi combustibili – tra cui butano e propano – derivati dalla raffinazione del petrolio. Inquina meno del diesel e della benzina, ma non del metano, che è il più pulito;
- il metano invece si estrae da pozzi naturali, rilascia appunto pochissime emissioni inquinanti e nocive, si disperde facilmente nell’atmosfera – essendo molto leggero – e inquina appunto meno del GPL. Ha però uno svantaggio: è meno performante, le vetture a GPL infatti perdono più potenza rispetto a quelle a GPL.
GPL e metano: manutenzione
Il metano è più costoso del GPL, questo è vero, ma i consumi sono minori. Essendo il GPL un derivato dal petrolio, è meno efficiente della benzina e infatti si consuma più velocemente rispetto al metano. Con il serbatoio pieno in genere sono garantiti 400 chilometri di autonomia.
Sono tanti i brand automobilistici che oggi, nei loro listini ufficiali, prevedono dei modelli a metano e/o GPL, che escono direttamente con l’impianto montato dalla fabbrica. Altrimenti è possibile installare l’impianto a gas su un veicolo aftermarket, in qualsiasi momento successivo all’acquisto. Attenzione: le bombole devono assolutamente provenire da un affidabile produttore e l’installazione deve avvenire in un centro specializzato.
I costi di un impianto aftermarket? Per il GPL ci aggiriamo tra i 500 e i 1.500 euro, per il metano invece si spende molto di più, dai 1.000 ai 2.000 euro circa, in media.
Per quanto riguarda invece la manutenzione, possiamo dire che i costi per i controlli di un impianto GPL sono più elevati rispetto a quelli richiesti per un impianto diesel o benzina; c’è da considerare anche la revisione delle bombole, quelle per il metano devono vanno controllare ogni 4 anni, quelle per il GPL ogni 10 anni.
Auto a GPL o a metano: quale scegliere
In genere le auto a metano sono più costose rispetto quelle alimentate con GPL; c’è da dire però che queste ultime consumano meno. Entrambe le tipologie di gas godono di agevolazioni fiscali particolari in alcune regioni, come ad esempio l’esenzione del bollo per alcuni anni.
La scelta dipende quindi da differenti fattori e dalle esigenze dell’automobilista, nello specifico. Diciamo però che la prima cosa che viene considerata è la presenza stazioni di rifornimento vicine ai punti più frequentati/di passaggio del conducente. Consideriamo inoltre che il metano inquina meno, è vero, ma le prestazioni offerte sono più basse rispetto al GPL, che offre appunto meno potenza del metano. Per gli amanti della guida più “sprint” quindi l’ideale è il GPL, se invece si percorrono circa 30.000 chilometri all’anno, il metano è la scelta giusta.
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App parcheggio: come funzionano e quando servono

Quando ci si reca in una località di vacanza oppure si viaggia fuori città (anche per lavoro) con la propria auto, per evitare soprese sgradite per quanto riguarda il parcheggio, un consiglio utile è cercare di “giocare d’anticipo”, scaricando sul proprio smartphone le app giuste per trovare i luoghi in cui posteggiare la vettura e anche la possibilità di effettuare i pagamenti online, in eventuale assenza di parchimetro o se non si ha a disposizione la moneta.
A tale proposito, in questo articolo vediamo quali sono alcune delle migliori applicazioni per il telefono, utili per trovare parcheggio ovunque e, nella maggior parte dei casi, che possono essere usate e scaricate gratuitamente. Dopo aver letto quanto segue, sarai perfettamente in grado di decidere qual è l’app che fa al caso tuo, la soluzione più adatta ai tuoi viaggi e alle tue esigenze.
Le migliori app per parcheggi a pagamento
Ci sono applicazioni molto utili da scaricare sul proprio smartphone, che consentono di pagare la sosta nelle strisce blu anche quando non su ha a disposizione moneta nel proprio portafoglio. È possibile infatti collegarle al proprio conto PayPal oppure alla propria carta di credito e/o prepagata, senza dover pagare al parchimetro (a volte, nelle grandi città, addirittura introvabile). Vediamone alcune tra le più utilizzate:
- EasyPark, il servizio offerto da questa app è attivo in moltissime città italiane (sul web è possibile trovare la mappa completa delle località), e anche in altri 10 altri Paesi europei. L’applicazione per smartphone consente di pagare il parcheggio senza dover usare il parchimetro, e nemmeno nessun altro scomodo sistema quale il tagliando “gratta e sosta” o simili, che prevedono comunque il pagamento in contanti. Non è tutto: in questo modo si ha anche la possibilità di prolungare la sosta, nel caso in cui il tempo a disposizione fosse in esaurimento. EasyPark è un’app gratuita ed è disponibile per Android e iOS/iPadOS;
- myCicero, un’altra ottima soluzione che permette sempre di pagare la sosta negli stalli con le strisce blu. Oltre a consentire all’utente il pagamento del parcheggio senza usare denaro contante, dà anche la possibilità di programmare ogni spostamento pianificando i con i mezzi pubblici, quali bus, metro e altro. Anche in questo caso è un’app disponibile per Android e iOS/iPadOS e il servizio è attivo in più di 100 città italiane (anche in questo caso la lista dei luoghi abilitati al pagamento si può trovare online).
Altre applicazioni simili per la sosta nei parcheggi con strisce blu
Se le app di cui abbiamo parlato finora non ti soddisfano oppure non trovi che siano funzionali per le tue esigenze, allora possiamo vederne altre simili, che offrono numerosi altri servizi di questo tipo, e che sono comunque accessibili comodamente dal proprio smartphone o tablet. Vediamo alcune tra le più note e utilizzate:
- prima di tutto c’è Telepass Pay (compatibile sia con Android che con iOS/iPadOS): si tratta nello specifico dell’app ufficiale di Telepass, che permette appunto di versare il corrispettivo della sosta nei parcheggi a pagamento – e anche altri servizi, tra cui il carburante – dal proprio smartphone, addebitando la cifra sul conto Telepass Pay. L’app si scarica gratuitamente;
- altra app gratuita è Phonzie (Android – iOS/iPadOS). Si tratta in realtà di un’applicazione nata come guida a negozi e sconti promozionali, ma permette anche di pagare il parcheggio su strisce blu e di comprare i biglietti per i mezzi pubblici. Anche in questo caso è un’app gratuita;
- e infine c’è ParkAppy, sempre gratuita e compatibile con Android, iOS e iPadOS, permette il pagamento della sosta a Bologna, Roma, e Torino.
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Si può ereditare la classe di merito? Cosa sapere a riguardo

La classe di merito universale assicurativa, anche chiamata CU, è un valore numerico che viene calcolato a seconda del livello di sinistrosità del soggetto assicurato. Serve infatti per individuare qual è il reale rischio inerente la garanzia Rc Auto che la compagnia assicurativa presta al suo cliente.
All’aumentare della sinistrosità corrisponde una più alta classe di merito e, di conseguenza, anche un premio più elevato per l’assicurazione, da pagare alla compagnia scelta per il contratto. Se non si fanno incidenti e il comportamento alla guida è virtuoso, allora col passare degli anni si può raggiungere la prima classe di merito, la migliore della scala.
Come si passa da una classe di merito all’altra
Per diminuire di un’unità la propria classe di merito è necessario non procurare incidenti durante l’anno assicurativo oppure è fondamentale che la percentuale dei sinistri con concorso di colpa sia inferiore al 50%. Passare a una migliore classe di merito consente anche di risparmiare sul prezzo della polizza al momento del rinnovo. La classe di merito è collegata alla targa dell’auto (o altro mezzo) assicurata, ma ci sono anche dei casi in cui è possibile ereditarla o trasferirla. Vediamo alcuni esempi.
Rc Auto: classe di merito familiare
Di che cosa si tratta? Al posto della legge Bersani, che permetteva di ottenere la stessa classe di merito di un famigliare convivente (solo su veicoli della stessa categoria), nel 2020 è stata introdotta la nuova classe di merito familiare, con il Decreto Fiscale 2020 e in vigore dal 16 febbraio dello stesso anno. Viene chiamata anche Bonus-Malus familiare, e ha permesso un ampliamento dei casi previsti dal precedente Decreto Bersani per ereditare una classe di merito.
È stato quindi modificato l’articolo 134 del Codice delle Assicurazioni Private, per cui oggi i membri che fanno parte dello stesso nucleo familiare (deve essere certificato dallo stato di famiglia) possono avere tutti la stessa classe di merito, e quindi usufruire di quella migliore di un altro veicolo, ovviamente di proprietà di un componente della famiglia stessa.
Come abbiamo già detto, la grande differenza con il precedente Decreto Bersani è che in questo caso la classe di merito può essere ereditata anche da un veicolo che appartiene a una categoria diversa. Quindi il passaggio si può fare anche tra una macchina e una moto, un furgone e un’auto e così via. Non è tutto: altra grande novità è che, se prima si poteva ereditare la classe di merito solo durante l’attivazione di nuove assicurazioni, con la nuova formula – dal 2020 – si può fare la stessa cosa anche in caso di rinnovo di polizza.
Attenzione: l’assicurazione familiare non può essere richiesta se ci sono stati incidenti stradali negli ultimi 5 anni.
Che cosa succede invece per auto usata o ereditata
Se si vende una vettura usata, allora si può cedere anche il contratto di assicurazione stipulato sullo stesso mezzo, e quindi con la stessa classe di merito che risulta dall’attestato di rischio (questo però vale solo fino alla scadenza della polizza). Una volta arrivati infatti al termine dell’annualità, nel momento del rinnovo del contratto, viene assegnata la classe di merito 14 (la più alta e meno conveniente a livello economico). Se il proprietario di un veicolo muore, la classe di merito di questo soggetto può essere ereditata da coloro che convivevano con il de cuius e che sono diventati proprietari del veicolo a titolo ereditario.
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Kia XCeed, la tecnologia sigla per sigla

La Kia XCeed è una SUV compatta diversa dalle altre: la crossover coreana presenta un design filante lontano anni luce dalle forme da fuoristrada delle rivali e come tutti i modelli del brand asiatico è ricca di tecnologia “amica”.
Di seguito troverete un glossario per capire meglio cosa significano le sigle che identificano tutti gli accessori tecnologici della Sport Utility derivata dalla Ceed.
Kia XCeed: la tecnologia sigla per sigla
ABS
L’ABS (Anti-lock Braking System) evita il bloccaggio delle ruote durante la frenata.
BCW
IL BCW (acronimo di Blind-Spot Collision Warning) è il sistema di monitoraggio dell’angolo cieco.
CRDi
La sigla CRDi identifica i motori turbodiesel (anche mild hybrid) della Kia XCeed.
DAW
Il sistema DAW (acronimo di Driver Attention Warning) rileva la stanchezza del conducente.
DCT
Il DCT (acronimo di Dual Clutch Transmission) è il cambio automatico a doppia frizione.
Drive mode select
Il Drive mode select è un sistema che permette di scegliere tra diverse modalità di guida.
EPB
L’EPB (acronimo di Electric Parking Brake) non è altro che il freno di stazionamento elettronico.
ESC
L’ESC (acronimo di Electronic Stability Control) non è altro che il controllo di stabilità.
FCA
Il sistema FCA (acronimo di Forward Collision-Avoidance Assist) è un assistente alla frenata di emergenza.
GDi
La sigla GDi identifica il motore 1.6 aspirato a benzina usato come unità termica della Kia XCeed ibrida plug-in benzina.
HAC
Il sistema HAC (acronimo di Hill-start Assist Control) non è altro che l’assistente per le partenze in salita.
HBA
L’HBA (acronimo di High Beam Assist) è il sistema di regolazione automatica dei fari abbaglianti.
ICCB
L’ICCB (acronimo di In Cable Control Box) è un sistema di protezione per i cavi di ricarica d’emergenza per la Kia XCeed PHEV.
iMT
iMT è un cambio Kia che grazie alla tecnologia clutch by wire (una frizione che funziona attraverso un impulso elettronico) permette di ridurre i consumi e le emissioni in condizioni di guida reali.
ISLW
Il sistema ISLW (Information Speed Limit Warning) riconosce i limiti di velocità.
LFA
Il sistema LFA (Lane Following Assist) è un sistema di guida autonoma di livello 2.
LKA
L’LKA (acronimo di Lane Keeping Assist) è un sistema di avviso e correzione superamento della carreggiata.
MHEV
La sigla MHEV identifica le Kia XCeed mild hybrid.
OTA
Sfruttando una connessione dati integrata all’interno dell’auto è possibile scaricare gli aggiornamenti OTA (acronimo di Over the Air) del sistema operativo senza la necessità di recarsi presso l’officina autorizzata Kia.
PHEV
La sigla PHEV identifica la Kia XCeed ibrida plug-in benzina.
RCCW
L’RCCW (acronimo di Rear Cross-Traffic Collision Warning) è il sistema di monitoraggio veicoli in avvicinamento in retromarcia.
SCC
Lo Smart Cruise Control (SCC) è un cruise control adattivo.
Smart key
La smart key consente di aprire la portiera e avviare l’auto con la semplice pressione di un pulsante.
Start button
Lo start button è il pulsante di accensione.
Supervision cluster
Il Supervision cluster è il cruscotto interamente digitale.
T-GDi
La sigla T-GDi identifica i motori turbo benzina/GPL/mild hybrid benzina della Kia XCeed.
TPMS
Il TPMS (acronimo di Tyre Pressure Monitoring System) è un sistema di monitoraggio della pressione degli pneumatici.
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Come funzionano i sensori di pressione delle gomme

TPMS, Tire Pressure Monitoring System: è il sistema di monitoraggio della pressione degli pneumatici dell’auto. Un dispositivo che funziona in maniera costante e continua e rileva appunto il livello di gonfiaggio delle gomme. Non è tutto: è in grado di avvisare il conducente nel caso in cui uno (o più) pneumatico è sgonfio. Si tratta di un sistema molto utile per garantire la sicurezza dei viaggi in auto, che può essere eccellente anche per risparmiare carburante (viaggiare con le gomme sottopressione infatti aumenta i consumi). Vediamo tutto quello che bisogna sapere a riguardo.
Sensori di pressione: come funzionano
Innanzitutto si tratta di un dispositivo che è obbligatorio su tutte le auto di nuova generazione, a partire dal mese di novembre del 2014. Si tratta nello specifico di particolari sensori capaci di captare la pressione di ogni pneumatico singolarmente, in maniera del tutto indipendente. Non dimentichiamo che la pressione di gonfiaggio delle gomme dell’auto è di fondamentale importanza, e deve sempre essere al livello corretto: da questa infatti dipendono l’attrito e l’aderenza delle gomme stesse al manto stradale (e quindi la sicurezza a bordo).
Le tipologie di sensori
Ci sono due tipi differenti di TPMS:
- il primo si basa sull’hardware dell’Abs/Esp e utilizza i dati forniti dai sensori di rotazione delle ruote: possiamo definire questo sistema indiretto. Rileva la rotazione di ogni ruota e determina quindi indirettamente la pressione delle gomme, grazie al software di gestione apposito. Il suo funzionamento è molto semplice, nel momento in cui cambia la pressione di gonfiaggio della gomma, varia leggermente anche il suo diametro, la circonferenza di rotolamento e quindi sono differenti i giri che fa la ruota per percorrere la stessa distanza. Il sistema confronta i dati che provengono da tutte le ruote, e quindi è in grado di capire se una delle stesse è sgonfia. Il sensore cosa fa in questo caso? Manda semplicemente un avviso al conducente, non indica il valore effettivo di pressione degli pneumatici. Una volta sostituita o gonfiata la gomma, poi, è necessaria la ricalibrazione;
- l’altro prevede un sensore nello stesso pneumatico, integrato nella valvola di ogni ruota. I dati alla strumentazione attraverso un sistema a radiofrequenza. In questo modo, il guidatore può conoscere il valore esatto della pressione delle quattro gomme, direttamente sul display del quadro strumenti o del sistema multimediale, con benefici in termini di precisione e prontezza di segnalazione di eventuali perdite di pressione. Il sistema di rilevamento in questo caso è diretto e garantisce un valore più preciso.
I dispositivi funzionano a batteria di piccole dimensioni, che in genere dura circa 10 anni e che non può essere ricaricata: alla fine della sua “vita” deve essere eventualmente sostituita.
Sensori di pressione degli pneumatici: quali sono i vantaggi del sistema
Come abbiamo detto in apertura, è molto importante avere sempre sotto controllo il livello di pressione delle gomme dell’auto: ne va della sicurezza in viaggio, ma anche del risparmio di carburante (da non sottovalutare, visti i costi della benzina di questi tempi). Il sistema di monitoraggio avvisa il conducente dell’auto quando una ruota è sgonfia, ed è molto comodo perché, soprattutto nelle prime fasi, non è facile notare il problema per l’automobilista.
E infine, l’altro grande vantaggio è appunto legato ai consumi, come appena sottolineato. Un veicolo che viaggia con la pressione delle gomme errata può consumare anche tra il 5% e il 15% in più di carburante, oltre a provocare un’usura irregolare del battistrada, che quindi porta a dover sostituire le gomme prima (e spendere di più).
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Audi urbansphere concept: foto e dati

Audi ha svelato le foto e i dati della urbansphere concept: l’ultimo prototipo della Casa di Ingolstadt è un salotto elettrico su quattro ruote a guida autonoma livello 4 ispirato alle esigenze delle città cinesi. Un’anticipazione concreta del futuro della mobilità “premium”.
Audi urbansphere concept: le dimensioni
L’Audi urbansphere concept è lunga 5,51 metri, larga 2,01 metri e alta 1,78 metri. Il passo di 3,40 metri ha permesso ai tecnici del brand dei quattro anelli di ricavare un abitacolo immenso e accogliente ricco di soluzioni che migliorano la vita degli occupanti.

Audi urbansphere concept: il design
Lo stile dell’Audi urbansphere concept riprende elementi tipici della Casa di Ingolstadt rivisti in chiave moderna: la calandra singleframe, ad esempio, può essere usata per comunicare agli altri automobilisti informazioni relative alla sicurezza mentre i cerchi da 24″ a sei doppie razze omaggiano il prototipo Avus del 1991.

Audi urbansphere concept: la regina del comfort
L’Audi urbansphere concept punta tutto sul comfort ed è stata progettata (dagli studi di design di Pechino della Casa teutonica) partendo dall’abitacolo: interni hi-tech spaziosi illuminati da ampie superfici vetrate e ricchi di materiali pregiati.
Gli occupanti sono coccolati dalle sospensioni pneumatiche e da un sistema di guida autonoma livello 4 che ha consentito agli ingegneri dei quattro anelli di rimuovere il volante, il pedale e gli schermi e di trasformare gli interni in uno spazio interattivo mobile. Una lounge su quattro ruote che può diventare un centro benessere (c’è pure un rilevatore di stress) o un ufficio mobile a seconda delle esigenze: il modo più comodo per trascorrere le ore nel traffico urbano.

Audi urbansphere concept: la tecnica
L’Audi urbansphere concept è un prototipo elettrico a trazione integrale sviluppato sullo stesso pianale PPE già visto sulla A6 e-tron concept spinto da due motori elettrici (quello anteriore disattivabile per migliorare l’efficienza) in grado di generare una potenza totale di 401 CV e una coppia di 690 Nm.
La batteria da oltre 120 kW garantisce un’autonomia superiore a 750 km e può essere ricaricata a 270 kW: in parole povere ci vogliono 10 minuti per guadagnare oltre 300 km e meno di 25 minuti per passare dal 5 all’80%.
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SUV giapponesi: l’elenco completo per marca (con i prezzi)

Le SUV giapponesi sono sempre molto richieste in Italia: un tempo andavano di moda le fuoristrada nipponiche dure e pure, rimpiazzate dalle prime SUV come la Toyota RAV4 e da crossover versatili come la Nissan Qashqai.
Oggi le Sport Utility del Sol Levante più amate dagli italiani sono quelle ibride, mezzi in grado di gestire senza problemi i blocchi del traffico grazie alla tecnologia a doppia alimentazione full, plug-in o mild.
Di seguito troverete l’elenco completo di tutte le SUV giapponesi in vendita da noi (con i prezzi): tante proposte a trazione anteriore o integrale per tutti i gusti e tutte le tasche.
SUV giapponesi: l’elenco completo per marca (con i prezzi)

SUV Honda
- HR-V da 31.300 euro
- CR-V da 37.350 euro

SUV Lexus
- UX da 39.800 euro
- NX da 60.000 euro
- RX da 76.000 euro
- UX 300e da 57.000 euro

SUV Mazda
- CX-3 da 23.150 euro
- CX-30 da 25.950 euro
- CX-5 da 34.200 euro
- MX-30 da 34.900 euro

SUV Mitsubishi
- Eclipse Cross da 45.350 euro

SUV Nissan
- Juke da 22.200 euro
- Qashqai da 26.550 euro
- X-Trail da 28.755 euro

SUV Subaru
- XV da 25.800 euro
- Forester da 37.750 euro
- Outback da 44.000 euro

SUV Suzuki
- Ignis da 17.500 euro
- Vitara da 24.400 euro
- S-Cross da 28.890 euro
- Across da 56.900 euro

SUV Toyota
- Yaris Cross da 26.650 euro
- C-HR da 30.900 euro
- RAV4 da 37.000 euro
- Land Cruiser 3 porte da 49.600 euro
- Land Cruiser 5 porte da 73.600 euro
- Highlander da 52.200 euro
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Come si sfoderano correttamente i sedili di un’auto

Sfoderare i sedili dell’auto non è un’operazione difficile, anzi. Ma la prima cosa da sapere è senza dubbio come smontarli, questa è la parte più difficoltosa. Ogni auto ha dei sistemi di aggancio differenti, che variano appunto da modello a modello, ed è per questo motivo che non è facile fornire una guida generale sull’argomento.
Il consiglio che ci sentiamo di dare a chiunque è quello di consultare il manuale della propria vettura prima di iniziare a smontare i sedili. Nel caso in cui non ne abbiate uno, dovete sapere che online si trova la versione web per tutti. Le Case automobilistiche infatti la lasciano disponibile per tutti con download gratuito.
Smontaggio dei sedili dell’auto: come procedere
Nella maggior parte dei casi è fondamentale avere una leva di montaggio apposita per procedere con quest’operazione. Si tratta di un utensile che deve essere infilato tra il telaio del sedile e il rivestimento stesso e che serve per aprire i naselli di arresto e quindi dare la possibilità di rimuovere la fodera e l’imbottitura. Infatti, senza divaricare i naselli, non si riesce a sfoderare alcun sedile: non si riuscirebbero a staccare né il rivestimento del telaio né l’imbottitura.
Per le auto che hanno i sedili anteriori rivestiti di fodere divise in due parti, è necessario procedere prima rimuovendo la fodera della parte inferiore, ovvero quella che troviamo sulla zona in cui ci sediamo (dove poggiamo il sedere). In seguito è possibile andare a sfoderare anche la parte alta del sedile, quella dove – quando siamo seduti – appoggiamo la schiena. Attenzione: prima di iniziare con questa tipologia di interventi, qualsiasi sia l’auto in vostro possesso, alzate il sedile al massimo. Solo in questo modo riuscirete a facilitare il vostro lavoro, avendo più spazio per tutte le fasi di smontaggio e montaggio.
Nella porzione parallela alla portiera, quella che si trova all’estremità del sedile, in genere trovate due viti. È necessario svitarle e rimuovere la plastica, eliminano i ganci neri. Procedere poi con la parte opposta del sedile, cercando le viti nella parte parallela al freno a mano: anche queste vanno svitate, tolte e poi vanno rimossi anche gli attacchi in plastica, come prima.
Come sfoderare il sedile
È solo a questo punto, quando avete tolto le parti in plastica, che si può togliere la fodera della zona margine del sedile. Non provate invece a rimuoverla totalmente, perché di fronte ai pedali c’è un’altra plastica che bisogna prima eliminare – servendosi di un cacciavite – andando a rimuovere i ganci neri, come fatto in precedenza per le plastiche ai lati.
Come si sfodera? Innanzitutto va tolta la gomma piuma, poi si può sfoderare tutta la parte inferiore del sedile e poi quella dello schienale. Quest’ultima è più facile da sfoderare, prima bisogna togliere il poggia testa, poi anche la plastica nera che si trova al margine inferiore dello schienale e che vediamo solo una volta tolte gomma piuma e fodera. Va eliminata la parte in plastica nera dietro lo schienale e alzare man mano la fodera, partendo dal retro. Si tratta di un’operazione utile se si vuole cambiare l’aspetto interno della propria auto, usando delle fodere differenti oppure lavando e rimettendo quelle originali.
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Come e quando va fatta la revisione del cambio automatico

Il meccanico si occupa della revisione del cambio automatico dell’auto, che serve per conservare oppure per ripristinare l’ottima funzionalità del sistema, un elemento assolutamente necessario per il funzionamento del proprio veicolo. Vediamo tutto quello che bisogna sapere a riguardo.
Come funziona il cambio automatico dell’auto
Innanzitutto si tratta di un sistema – come dice il nome stesso – di trasmissione automatica dell’auto, che in genere è composto da un attuatore, una serie di rotismi epicicloidali e un convertitore di coppia. È proprio quest’ultimo elemento che, in parole semplici, sostituisce la frizione comune sul cambio manuale, e tramette la potenza tra il motore e il cambio in modo variabile, modificando regime di rotazione e coppia.
A che cosa serve la revisione del cambio automatico?
L’obiettivo è andare a controllare la funzionalità corretta di questi elementi. Si tratta di un intervento che viene effettuato durante i controlli di manutenzione ordinaria del veicolo oppure se il cambio presenta dei segnali di malfunzionamento, e l’automobilista decide di intervenire per poter ripristinare l’efficacia originale del sistema di trasmissione automatica.
Quali sono i vantaggi del cambio automatico
Il primo obiettivo per cui è stato creato il cambio automatico è rendere la guida più confortevole. Il conducente al volante non deve far altro che proseguire con le mani sul volante e il piede su acceleratore e freno, senza dover selezionare, inserire e cambiare le marce e senza dover spingere col piede sulla frizione ad ogni cambiata.
Il più grande beneficio si avverte nel traffico urbano, nelle strade congestionate: quando si è in coda, è molto comodo non doversi preoccupare delle marce. Le continue fermate e ripartenze infatti stressano molto i guidatori al volante dei veicoli provvisti del classico cambio manuale.
Attenzione: nonostante questo agio, ci sono automobilisti che non sarebbero mai disposti a rinunciare al piacere di guida con cambio manuale.
Quali sono i punti di forza del cambio automatico:
- migliora la fluidità nella trasmissione della potenza, diminuendo i tempi “morti” tra un rapporto e l’altro, tipici del cambio manuale;
- i tipici “strappi” determinati dall’uso dei comandi e della leva del cambio spariscono quasi totalmente con la trasmissione automatica;
- rende l’automobilista più rilassato alla guida;
- può contribuire a diminuire il consumo di carburante, l’elettronica di controllo infatti può scegliere man mano di usare il motore ai regimi più adatti, inserendo sempre la marcia più alta.
Revisione fai da te: come fare
C’è chi pensa di poter fare la revisione del cambio automatico autonomamente, senza l’aiuto di un professionista. In genere, a meno che non si è esperti, il consiglio è quello di evitare e affidarsi a un’officina specializzata, visto che le trasmissioni automatiche fanno parte di un mondo abbastanza complesso e le tipologie di cambi in questione sono molte.
La revisione del cambio automatico dovrebbe quindi essere sempre e solo effettuata in un’officina autorizzata, da parte di un meccanico professionista, e insieme agli altri interventi che fanno parte del check-up periodico completo del veicolo, che consente all’automobilista di verificare il corretto funzionamento di ogni parte del veicolo.
Quanto costa la revisione del cambio automatico dell’auto
È chiaro che non possiamo dare una risposta precisa per quanto riguarda il prezzo di questa tipologia di intervento, ci sono troppi fattori che concorrono alla determinazione del costo finale della revisione del cambio automatico. Tanto dipende comunque dalla tipologia di trasmissione e dal bisogno o meno di intervenire. In genere comunque i prezzi si possono aggirare tra i 200 e i 400 euro (escluso l’acquisto di eventuali pezzi di ricambio).
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