CIR 2018 – Rossetti (Hyundai) vince il Rally Due Valli, Andreucci (Peugeot) campione italiano


Credits: Paolo Andreucci, Anna Andreussi (Peugeot 208 T16 R5 #2, FPF)


Credits: Tommaso Ciuffi, Nicolo Gonella (Peugeot 208 R2 #32, Jolly Team)


Credits: Andrea Crugnola, Danilo Fappani (Ford Fiesta R5 #4, Gass Racing)




Credits: Damiano De Tommaso, Michele Ferrara (Peugeot 208 R2 #30, FPF)


Credits: Sergio Denaro, Ermanno Corradini (Suzuki Swift #58, CST Sport)


Credits: Simone Goldoni, Flavio Garella (Suzuki Swift #76, Winners Rally Team)


Credits: Stefano Martinelli, Sara Baldacci (Suzuki Swift #55, GR Motorsport)


Credits: Simone Rivia, Luca Guglielmetti (Suzuki Swift #56, ASD Versilia)


Credits: Luca Rossetti, Eleonora Mori (Hyundai i20 R5 #10)


Credits: Andrea Scalzotto, Fabio Andrian (Suzuki Swift #57, Funny Team)


Credits: Umberto Scandola, Guido D Amore (Skoda Fabia R5 #1, Daytona Race)
Luca Rossetti ha conquistato il Rally Due Valli al volante della Hyundai i20 mentre Paolo Andreucci (3° al traguardo con la Peugeot 208) si è aggiudicato il CIR 2018 laureandosi campione italiano per l’undicesima volta.
L’ultima prova stagionale – caratterizzata da quattro piloti ancora in lizza per lo “scudetto” – ha visto il ritiro prematuro di Campedelli (problemi meccanici) e Scandola (quinto) rallentato da pneumatici poco performanti e da qualche noia alla vettura. Ottima, invece, la prestazione di Andrea Crugnola: il secondo posto ottenuto con la Ford Fiesta gli ha permesso di conquistare la terza piazza nel CIR 2018 e il titolo di campione italiano rally asfalto (serie dedicata a piloti e squadre assolutamente private).
CIR 2018 – La classifica del Rally Due Valli
1 Luca Rossetti (Hyundai i20) 1h46:06.6
2 Andrea Crugnola (Ford Fiesta) + 28.5
3 Paolo Andreucci (Peugeot 208) + 46.0
4 Elwis Chentre (Skoda Fabia) + 1:02.4
5 Umberto Scandola (Skoda Fabia) + 1:06.2
La classifica del CIR 2018
1 PAOLO ANDREUCCI (PEUGEOT) 72 PUNTI
2 UMBERTO SCANDOLA (SKODA) 66,5 PUNTI
3 ANDREA CRUGNOLA (FORD) 63 PUNTI
4 SIMONE CAMPEDELLI (FORD) 52 PUNTI
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Chaz Davies, l’intervista: “Voglio vincere il Mondiale con la V4”


Credits: Dario Aio
Al penultimo round della campionato e con il secondo posto in classifica quasi certo, Chaz Davies pensa già al 2019. Per il rider gallese, 31 anni, sarà la sesta stagione sulla “rossa” di Borgo Panigale, ma la decisione di rimanere nella scuderia Aruba.it Racing Ducati non è stata immediata.
Il campione della World Supersport (nel 2011) ha chiesto garanzie di successo alla casa costruttrice emiliana, che l’anno prossimo metterà in pista l’attesissima Panigale V4, sua prima derivata a 4 cilindri, e il rinnovo del contratto è stato firmato soltanto a fine agosto.
“L’anno prossimo avrò un doppio compito: sviluppare una moto che non ha mai assaggiato la pista e, contemporaneamente, guidarla. Il lavoro, da parte mia, del team e di tutta la factory, sarà molto impegnativo e servirà pazienza.
Dovremo dare fondo alle nostre forze ed essere positivi, perché partiremo da zero, ma sono sicuro che il pacchetto sarà perfetto. Io sono pronto alla sfida: voglio vincere il Mondiale e so che posso lottare per il titolo” spiega.
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Il campionato sta per finire: qual è il suo bilancio?
“Il piazzamento non è male, ma lascia un po’ di amaro in bocca, considerato il potenziale della moto. Parlo senza rimorsi o rimpianti: tutti noi nel box abbiamo dato il massimo, però sono mancati alcuni tasselli del puzzle e, di conseguenza, qualche primo posto. C’è da aggiungere che ogni gara è una battaglia durissima e Rea e la Kawasaki sono davvero difficili da battere: ci proveremo da febbraio”.
Il nuovo regolamento ha creato qualche problema alla “rossa”?
“No, la limitazione ai giri del motore a 800 giri al minuto è stata minima. Non abbiamo avuto difficoltà nella velocità e anche al setp-up non ha causato danni particolari.
La Panigale R è meravigliosa, amo guidarla, è un’esperienza speciale, anzi unica, ma adesso ripartiamo da zero. Anche la V4 ha potenzialità enormi e non vedo l’ora di provarla, al WDW ho perso l’occasione perché ero infortunato. Devo aspettare i primi test ad Aragón il 14 e 15 novembre”.
Dopo tanto tempo in mezzo a italiani, tra Aprilia e Ducati, nel nostro Paese si sente un po’ a casa?
“Sì. Adoro l’Italia e gli italiani, capisco la lingua e me la cavo abbastanza a parlare. E dal vostro Paese ho preso un sacco di abitudini”.
Per esempio?
“L’espresso ormai è un rito e ad Andorra, dove abito, ho una macchina del caffè che ho comprato a Milano. Anche la macedonia è d’obbligo. Altro che fruit salad: è da non so quanto tempo che uso solo il termine italiano”.
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A proposito di tempo: tra 10 anni come si immagina?
“Ne avrò 41 e dubito di essere ancora nel paddock; nonostante sia felice di avere trasformato la mia passione più grande in un lavoro”.
Perché? Biaggi si è ritirato proprio a 41 anni e Bayliss corre ancora.
“Campioni longevi come loro hanno cominciato a competere da teenager; io ho iniziato a 6 anni e dubito di reggere questi ritmi e questi livelli così a lungo. Mai dire mai, però.
Di sicuro non appenderò il casco al chiodo: magari diventerò un tester o magari viaggerò e basta. L’idea di spostarmi su due ruote mi dà subito l’idea di grande avventura. La prima meta che sceglierei? Il Sud America, senza dubbio”.
Sul suo profilo Twitter ha scritto: “cacciatore di divertimento”: cosa le piace fare nel tempo libero?
“Girare il mondo e il mio mestiere aiuta. Spesso approfitto delle trasferte per concedermi con mia moglie qualche giorno di vacanza”.
Un viaggio che non dimenticherà?
“Quello di due anni fa in Nord America. Siamo partiti una settimana prima del round a Laguna Seca e da Los Angeles abbiamo raggiunto il Sequoia National Park, in Sierra Nevada, poi siamo stati nella Death Valley e abbiamo concluso a Las Vegas. Di solito gli spostamenti in auto sono noiosissimi, invece anche quei momenti ci hanno regalato emozioni incredibili”.
Ha mai pensato di fare altro nella vita?
“Sì. Quando ero ragazzino, mia mamma mi ripeteva di considerare l’ipotesi che non sarei diventato un professionista. Non ho mai trovato un’alternativa, a parte continuare a gestire la pista di go-kart dei miei genitori, a Presteigne. Per fortuna mi è andata bene in sella”.
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Porsche 935: la regina del Gruppo 5










La Porsche 935 ha dominato le gare endurance alla fine degli anni ’70 portando a casa un mare di vittorie grazie soprattutto ai team privati. Scopriamo insieme la storia della Gruppo 5 di Zuffenhausen, una vettura – riproposta recentemente in chiave moderna – capace di regalare alla Casa tedesca quattro Mondiali consecutivi tra il 1976 e il 1979.
Porsche 935: la storia
La Porsche 935 vede la luce nel 1976: nata come variante da corsa della 911, inizialmente non è altro che un’evoluzione della Carrera RSR dotata di un motore 2.850 cc boxer turbo a sei cilindri.
Debutto e doppietta
La sportiva teutonica debutta in gara il 21 marzo 1976 alla 6 Ore del Mugello e porta a casa subito una doppietta grazie al primo posto del tedesco Jochen Mass e del belga Jacky Ickx e alla seconda piazza del francese Bob Wollek e del tedesco Hans Heyer. La coppia Ickx/Mass trionfa anche alla 6 Ore di Vallelunga.
L’addio ai fari tondi e l’esordio a Le Mans
Il 30 maggio 1976 alla 1000 km del Nürburgring i tecnici Porsche eliminano per ragioni aerodinamiche i fari tondi della 911 dalla 935 regalando alla vettura il particolare frontale che l’ha resa celebre nel mondo. Risale invece al 13 giugno il debutto alla 24 Ore di Le Mans: quarto posto per l’equipaggio composto dal tedesco Rolf Stommelen e dal liechtensteiniano Manfred Schurti. La stagione si chiude il 4 settembre con il trionfo di Ickx e Mass alla 6 Ore di Digione e la conquista del titolo iridato.
1977
Nel 1977 la Porsche 935 – modificata nell’aerodinamica e nella tecnica (introduzione del doppio turbo) conquista un altro Mondiale e sale sul gradino più alto del podio in tantissime gare. Qualche esempio? Stommelen/Schurti primi alla 6 Ore del Mugello, Mass/Ickx davanti a tutti alla 6 Ore di Silverstone e l’australiano Tim Schenken, l’olandese Toine Hezemans e Stommelen primi alla 1000 km del Nürburgring.
Il primo podio a Le Mans arriva grazie al terzo posto del francese Claude Ballot-Léna e dello statunitense Peter Gregg mentre Ickx e Mass trionfano anche alle 6 Ore di Watkins Glen e Brands Hatch. Nel mese di ottobre Wollek in coppia con il britannico John Fitzpatrick taglia per primo il traguardo alla 6 Ore di Hockenheim e il duo italiano composto da Luigi Moreschi e “Dino” prevale alla 6 Ore di Vallelunga.
La Moby Dick e il Mondiale 1978
Nel 1978 la Porsche svela la 935 più estrema: la 935/78 soprannominata “Moby Dick”. Una variante caratterizzata da un motore 3.2 con potenze fino a 850 CV e da un design ancora più aerodinamico (muso lunghissimo e coda chilometrica per incrementare la velocità nei rettilinei): un mostro che però vincerà solo una corsa (la 6 Ore di Silverstone con Ickx e Mass).
Poco male visto che ci pensano le altre 935 “minori” a conquistare le restanti gare del Mondiale: 24 Ore di Daytona con Stommelen/Hezemans/Gregg, 6 Ore del Mugello con Hezemans/Fitzpatrick/Heyer, 6 Ore di Digione con la coppia francese formata da Wollek e Henri Pescarolo (primi anche a Misano e a Vallelunga), 1000 km del Nürburgring con Hezemans, Heyer e il tedesco Klaus Ludwig e 6 Ore di Watkins Glen con Hezemans/Fitzpatrick/Gregg.
1979: l’ultimo Mondiale, l’unica Le Mans
La Porsche 935 chiude gli anni ’70 in bellezza: gli statunitensi Bob Akin, Rob McFarlin e Roy Woods salgono sul gradino più alto del podio della 12 Ore di Sebring mentre i fratelli americani Bill e Don Whittington insieme a Ludwig vincono nientepopodimeno che la 24 Ore di Le Mans.
La sportiva di Stoccarda conquista anche l’ultimo Mondiale grazie a una serie di successi: 24 Ore di Daytona con un equipaggio interamente “yankee” (Ted Field, Hurley Haywood e Danny Ongais), 6 Ore del Mugello e 1000 km del Nürburgring con Fitzpatrick/Schurti/Wollek, 6 Ore di Silverstone con Fitzpatrick/Heyer/Wollek e 6 Ore di Watkins Glen con lo stesso trio capace di dominare sulla Sarthe.
1980
L’arrivo del nuovo decennio non interrompe il dominio della Porsche 935 sulle piste di tutto il mondo: 24 Ore di Daytona conquistata da Stommelen insieme ai tedeschi Rheinhold Joest e Volkert Merl, 12 Ore di Sebring vinta da Fitzpatrick con lo statunitense Dick Barbour (primi anche alla 5 Ore di Riverside), Fitzpatrick e il britannico Brian Redman davanti a tutti alla 6 Ore di Mosport e la 1000 km di Digione conquistata da Pescarolo in coppia con il tedesco Jürgen Barth.
1981
Anche nel 1981 la Porsche 935 continua a trionfare: 24 Ore di Daytona vinta da Redman insieme agli statunitensi Bob Garretson e Bobby Rahal, 12 Ore di Sebring conquistata dagli americani Haywood, Al Holbert e Bruce Leven, 6 Ore di Sebring con Fitzpatrick e lo “yankee” Jim Busby, 1000 km di Monza con i tedeschi Edgar Dören, Jürgen Lässig e Gerhard Holup, 6 Ore di Silverstone con l’equipaggio teutonico formato da Harald Grohs, Walter Röhrl e Dieter Schornstein e il duo Grohs/Stommelen sul gradino più alto della 6 Ore di Mosport e di Road America.
Fine di un’epoca
Nel 1982 – con l’introduzione delle Gruppo C – si interrompe il dominio della Porsche 935. La coupé di Zuffenhausen continua però a togliersi qualche soddisfazione negli USA con John Paul Sr. e Jr. primi alla 24 Ore di Daytona e alla 12 Ore di Sebring.
Nel 1983 Wollek, Ballot-Léna e gli statunitensi A. J. Foyt e Preston Henn salgono sul gradino più alto del podio della 24 Ore di Daytona mentre l’anno seguente arriva l’ultimo trionfo importante – la 12 Ore di Sebring – grazie a Heyer, al colombiano Mauricio de Narváez e allo svedese Stefan Johansson.
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Audi e-tron: verso il tramonto dei motori tradizionali














La sensazione è spaesante. Come scendere dal Frecciarossa e salire su una locomotiva a vapore, passare dal silenzio e dall’alta velocità a una motrice che sbuffa e stantuffa. E non è un’esagerazione: siamo alla guida delle vetture di pre-serie, totalmente elettriche, che Audi sta iniziando a far testare al mondo dei media: la Audi e-tron (prototipo), un SUV dalle prestazioni ormai concorrenziali con le vetture ad alimentazione tradizionale.
Al termine della giornata, quando si risale sulle Audi Q5 turbodiesel – ottima macchina peraltro – e si avverte il borbottio del turbodiesel l’idea è proprio quella di un passo indietro.
Abbiamo guidato il futuro, rieccoci in un presente che, arrivato comunque all’eccellenza tecnologica, sta tramontando. Quando durerà questo tramonto? Nessuno lo sa con esattezza, ma di certo, come è sempre accaduto nella storia, le novità all’inizio stentano ad affermarsi, poi accelerano con violenza. Capitò così tra la carrozza e l’automobile o, in altro settore, tra la fotografia analogica e quella digitale. Qualcuno si ricorda le prime macchine fotografiche col sensore? Avevano prestazioni modeste, tra i due e i quattro megapixel e una resa del colore che la pellicola se le mangiava. Tempo cinque anni e il digitale si è affermato spazzando via laboratori e macchine meccaniche.
Nella mobilità – a nostro parere – siamo in un momento analogo. Le auto elettriche hanno ancora dei difetti, autonomia e prezzo, soprattutto, perché già a prestazioni fanno miracoli.
La Audi e-tron ha una potenza di 408 CV (300 kW) e una coppia immediata di 664 Nm, accelerando da zero a cento in una manciata di secondi, meno di sette: 6,7 in modalità normale, in 5,7 in modalità dinamica. E con una trazione integrale, grazie ai due motori sugli assi anteriori e posteriori, che reagisce in 30 millesimi di secondi per distribuire la coppia sulla ruota che ha più aderenza. Una velocità di attuazione sorprendente, dovuta al fatto che non ci sono frizioni o differenziali meccanici, i propulsori elettrici agiscono direttamente sulle ruote.
Inoltre, come tutti i SUV Audi, pure la e-tron ha le sospensioni pneumatiche per modificare l’altezza da terra sui terreni più impervi (fino a 76 mm in più, mentre in autostrada diminuisce di 26 mm) e un sistema di controllo della trazione, l’ESC, che vi permette di scegliere tra numerose modalità di marcia, da quella più confortevole e rispettosa dei consumi a quella più dinamica per sfruttare appieno la potenza a quella in off-road che gestisce con sapienza veloce le situazioni più estreme, dalla sabbia alla neve.
Non è un caso che, per testare le e-tron, Audi abbia scelto un luogo particolare, la sabbia e i laghi salati del deserto della Namibia, lontano dalle strade asfaltate e dalle condizioni di traffico a cui siamo ormai rassegnati e abituati. E poi, per un’altra ragione, un po’ meno tecnica e un po’ più filosofica: la e-tron non si sente, scorre nel deserto silenziosa come solo l’elettricità consente. Il silenzio nel silenzio del Namib, senza spaventare gli animali che neanche si accorgevano delle vetture che sfilavano veloci al loro fianco. Giraffe, antilopi, facoceri, volatili meravigliosi come solo da quelle parti si incontrano, neanche giravano la testa, incuranti della polvere che le Audi – unico segno di riconoscimento – sollevavano.
Il pacco batterie (700 kg tutto compreso) della e-tron è posizionato nel pianale (come in quasi tutte le vetture elettriche), con uno studio molto attento in modo che la distribuzione dei pesi sui due assi (dove ci sono i motori, lo ricordiamo) sia assolutamente ottimale, ovvero 50:50. Oltre ad abbassare il baricentro, come in una berlina, questa soluzione garantisce una dinamica di guida pressoché perfetta, altro che i SUV col motore termico che grava sull’avantreno e la coda ben più leggera.
Il telaio in acciaio che contiene il sistema ad alto voltaggio garantisce altresì una rigidità torsionale impressionante, pari al 45% in più rispetto a un SUV tradizionale. Un insieme di motivi che fanno dimenticare, alla guida, il peso pur notevole di questa macchina, 2.490 kg. La velocità massima? Autolimitata a 200 km/h.


Sulla sabbia e sul sale (dove sembra di viaggiare con sotto neve e ghiaccio) la Audi e-tron va via con una disinvoltura impressionante: in modalità auto, i sistemi di controllo dell’ESC, correggono, trattengono, modificano la spinta dei motori e anche un imbranato se la caverebbe alla grande.
Staccando l’ESC si va via di drifting, con l’auto che scivola di coda e il controsterzo obbligatorio. Ma anche qui nulla che non si possa gestire – nonostante la potenza dei motori – perché viene in soccorso l’ottimale realizzazione dei comandi e del peso sugli assi. E poi, cosa non da poco, il sistema di recupero dell’energia della e-tron, non è invasivo, ovvero non si avverte quella frenata in automatico quando si rilascia il pedale dell’acceleratore. Tanto che alla fine, quando cala la sera, il deserto si incendia dei colori del tramonto e poi la croce del sud si illumina per indicarci la direzione, il divertimento prende il sopravvento e ci si dimentica totalmente dei controlli elettronici, danzando a destra e sinistra con il SUV ubbidiente e silente ai nostri comandi.
Una specificità della e-tron è che reostati e motori sono refrigerati con un circuito da 22 litri per tenere sotto controllo gli eventuali picchi di surriscaldamento. Altre vetture elettriche non hanno sistemi di questo tipo: in Audi sostengono che è una sicurezza in più nella marcia impegnativa, a fronte di un piccolo aumento di peso.
E l’autonomia? Di certo le condizioni severe del test, compreso l’uso perenne del climatizzatore (le temperature erano sui 35 gradi e oltre di giorno, per scendere sui venti la sera), non erano le più indicate per capire quanta strada si può fare con la e-tron. Audi dichiara 400 chilometri di autonomia WLTP, con una ricaricabilità alquanto veloce: col supercharger da 150 kW/h bastano 30 minuti per avere il 80% dell’autonomia. Col wallbox in garage ci passa la notte.
E adesso l’ultima curiosità: come si ricarica un’Audi nel deserto? Son poche le colonnine nelle città europee, figuriamoci tra le palme. I tedeschi si sono portati dietro una sistema mobile, in modo da non avere problemi. E qui sta la differenza con le macchine fotografiche: le batterie di scorta il reporter se le mette in tasca e per una jeep basta un barile di gasolio attaccato dietro. Ma il futuro, come abbiamo detto, supera tutte le difficoltà. Ci farei una scommessa.
Audi e-Bike: la bici elettrica (quasi) da fantascienza
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Mini Baker Street Edition anche per la 3 porte e la 5 porte


Dopo il successo ricevuto con la Countryman Baker Street, Mini ha deciso di estendere l’allestimento Baker Street Edition anche alla Nuova Mini 3 porte e 5 porte, appena rinnovate con l’introduzione di nuove meccaniche, un nuovo sistema Infotainment e un nuovo design.
Segni di riconoscimento
Ad arricchire il design accattivante di queste due nuove versioni sono i cerchi in lega neri da 16”, i fendinebbia a LED e i fari Bi-LED. In quanto ai contenuti di comfort, connettività e sicurezza, l’allestimento include: volante sportivo in pelle, bracciolo anteriore, Cruise control, sensori di parcheggio PDC posteriori, Mini Connected Media e sistema di navigazione Mini Connected Navigation con schermo touch screen da 6,5” con Real-time Traffic Information e predisposizione Apple Car Play.
Motorizzazioni
Baker Street Edition è disponibile per la Nuova Mini 3 porte e la Nuova Mini 5 porte nelle motorizzazioni One 55 KW – One – One D – Cooper – Cooper D ed è offerta ad un prezzo speciale, con il supporto della rete di concessionari Mini, che prevede un importante vantaggio cliente tra il 63% e il 69%, a seconda della motorizzazione. La Mini One 55kw 3 porte Baker Street Edition, ad esempio, viene offerta ad un prezzo raccomandato di € 19.400, anziché € 21.980.
Ecobonus per la Mini Countryman Baker Street
Inoltre, ai clienti che acquistano Mini Countryman Baker Street, sarà riconosciuto un ulteriore contributo (valido per il 2018) speciale ecobonus di 2.000€ in caso di permuta di un veicolo diesel di standard Euro 4 o inferiore in proprietà da almeno sei mesi, che abbassa ulteriormente il prezzo di Mini One 55kw 3 porte Baker Street Edition a € 17.400.
Mini Countryman
La seconda generazione della Mini Countryman è l’unica SUV presente nel listino della Casa britannica
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Volkswagen Arteon ART3on: la ‘R’ mancante di Wolfsburg












Con l’obbiettivo di reclutare nuovi meccanici ufficiali Volkswagen in Australia, la Casa di Wolfsburg ha creato un programma di upgrade per l’ammiraglia Arteon. Il risultato è la ART3on, una berlina da quasi 500 CV di potenza.
Il motore 2.0 TSI originariamente da 280 CV è stato profondamente modificato con un nuovo turbocompressore RacingLine, un intercooler maggiorato e un sistema di scarico completamente nuovo, firmato Miltek. Nuovi iniettori e una pompa di benzina si incaricano di alimentare più voracemente il propulsore, mentre la centralina è stata riprogrammata. Dopo questo upgrade il 2.0 è capace di erogare 483 CV e 600 Nm di coppia, quasi il doppio dell’originale.
Anche il chassis è stato ritoccato e riadattato alla nuova potenza. Questa Volkswagen Arteon R monta infatti ammortizzatori Bilstein Clubsport, freni APR con dischi perforati e cerchi in lega leggera gommati con pneumatici semi-stick Pirelli P Zero Trofeo.
Nei primi test sul circuito australiano di Luddenham Raceway la Arteon ART3on ha fatto registrare uno sprint da 0 a 100 km/h in 3,8 secondi, ma il leggera salita. Il debutto ufficiale lo farà il prossimo fine settimana in occasione del World Time Attack Challenge di Sydney.
Volkswagen Arteon
Tutte le info sull’ammiraglia coupé di Wolfsburg. Dimensioni, motorizzazioni, equipaggiamento, allestimenti e prezzi.
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Range Rover autonoma, completato il percorso intorno a Coventry
Prove di futuro nemmeno troppo lontano per Land Rover, che ha effettuato un test di guida completamente autonoma con un prototipo di Range Rover Sport su uno dei tracciati stradali più impegnativi del Regno Unito: la complessa Ring Road di Coventry. Il concept ha effettuato impegnativi cambi di corsia, immettendosi nei flussi di traffico ed imboccando correttamente gli svincoli, con un limite di velocità di 65 km/h, completando brillantemente il percorso prestabilito.
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Mondiale MotoE, presentato il Team Trentino Gresini


Il mondiale FIM Enel MotoE World Cup si avvicina e tutti i protagonisti sono al lavoro. Dal suo quartier generale a Modena, Energica non solo sta lavorando senza sosta per fornire ai team ed i piloti le nuove Ego Corsa per la prossima stagione, ma sta facendo sì che il personale delle squadre abbia il know-how necessario per poter mettere le mani sulla supersportiva elettrica del costruttore italiano già dai test invernali. Questa settimana, l’ultimo di tre corsi di due giorni l’uno è giunto al termine, con i 36 meccanici appartenenti alle 12 squadre iscritte alla MotoE World Cup pronti per la nuova sfida.
Presentato il Team Trentino Gresini
Tra questi team, uno ha deciso di precedere la concorrenza presentandosi al pubblico nella giornata di mercoledì: stiamo parlando del Team Trentino Gresini, che ha svelato i suoi piani per la stagione 2019 insieme alle grafiche che saranno presenti sulle Ego Corsa del team italiano. Grazie alla partnership con la comunità autonoma di Trento, questo nuovo progetto unirà la velocità ad una serie più ampia di progetti con al centro la tutela dell’ambiente. L’ex campione europeo della Moto3 Matteo Ferrari è uno dei due piloti scelti per questa formazione, con il secondo che verrà annunciato più avanti.
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La Jeep Compass Trailhawk 2019 arriva nelle concessionarie


La nuova Jeep Compass Trailhawk arriva nelle concessionarie, che apriranno le porte dei propri show room questo weekend (13-14 ottobre) per consentire a tutti gli appassionati di toccare con mano le ultime novità della gamma e di usufruire dei vantaggi degli “Adventure Days”. La nuova gamma Jeep Compass parte da 24.900 euro con finanziamento Be-Smart che garantisce il valore futuro della vettura.
Jeep Compass Trailhawk
La nuova Jeep Compass Trailhawk è dotata dell’avanzato Jeep Active Drive Low, il sistema 4×4 full-time che entra automaticamente in funzione, quando si rende necessaria la trazione integrale, e vanta un rapporto di riduzione di 20:1. In particolare, il sistema è in grado di inviare, se necessario, il 100% della coppia disponibile a qualsiasi ruota, oltre ad essere dotato del dispositivo Jeep Selec-Terrain che offre diverse modalità (Auto, Snow, Sand, Mud e l’esclusiva modalità Rock specifica della Trailhawk) per garantire le massime prestazioni 4×4 su qualunque superficie e in qualsiasi condizione climatica.
Inoltre, per prestazioni in fuoristrada “Trail Rated” ancora più estreme, il selettore Selec-Terrain della Compass Trailhawk include il sistema Selec-Speed Control con Hill-descent Control. Infine, la Jeep Compass Trailhawk presenta un’altezza da terra aumentata di circa 2,5 cm (dunque è pari a 21,6 cm), piastre di protezione sottoscocca, gancio di traino posteriore, pneumatici 225/60 R17 All Season, ruota di scorta Full Size ed esclusivi fascioni anteriori e posteriori che garantiscono un angolo di attacco di 30 gradi, un angolo di dosso di 24,4 gradi e di uscita di 33,6 gradi.
La Compass Trailhawk è equipaggiata con il motore 2.0 MultiJet II da 170 CV, abbinato al cambio automatico a nove marce. Adotta cerchi in lega da 17″, pneumatici All Season, marmitta cromata, fari anteriori Bi-Xenon e LED Signature e sticker nero sul cofano. All’interno dell’abitacolo spiccano rivestimenti in pelle e tessuto di colore nero e regolazione lombare per i sedili, oltre al sistema Uconnect 8.4 NAV con Apple Car Play e Android Auto, quadro strumenti a colori TFT da 7” e Function pack (include specchietto retrovisore interno elettrocromatico, specchietti retrovisore esterni ripiegabili elettricamente, Smart Key, Start Button, presa ausiliaria 230V, antifurto).
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Mitsuoka Rock Star


Il marchio giapponese Mitsouka ha presentato una reinterpretazione, in chiave classica, della quarta generazione di Mazda MX-5. La spider giapponese si veste così da Corvette Sting Ray degli Anni ’60.
Le modifiche sono tutte estetiche. Le portiere e il parabrezza rimangono quelli originali della MX-5, mentre i paraurti anteriore e posteriore sono stati completamente ridisegnati, così come i gruppi ottici fissi (non a scomparsa come sulla MX-5). Gli interni rimangono pressoché fedeli a quelli della spider nipponica, con l’aggiunta di rifiniture specifiche.
Di questa speciale Mitsuoka Rock Star ne saranno prodotti solo 50 esemplari, tutti destinati al Giappone. Le tinte disponibili per la carrozzeria saranno tutte ispirate a quelle della vecchia Corvette (Los Angeles Blue, Chicago Red, New York Black, Cisco Orange, Washington White, and Arizona Yellow) e il prezzo al pubblico sarà l’equivalente di 36.000 euro.
Mazda MX-5 2019
L’aggiornamento della piccola spider giapponese
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