MOIA, dal car sharing al ride pooling: il futuro dell’auto è condiviso

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Dovete andare alla stazione: il treno parte a breve.

Uscite di casa con la vostra valigia, fate cento metri a piedi e nel frattempo con il vostro cellulare chiamate un van che arriverà in pochi minuti, salite e vi sedete su un posto comodo e spazioso, e il van vi porterà a circa 100 metri dalla stazione nel minore tempo possibile.

E il vostro mezzo di trasporto, magari, non avrà neppure un guidatore.

È questo il futuro che MOIA – brand lanciato a gennaio 2017 dal Gruppo Volkswagen e dedicato alla mobilità che verrà – ha immaginato. “Easy peasy”, direbbero gli inglesi: “liscio liscio”, potremmo definirlo noi.

Da Hannover al resto d’Europa, una realtà in evoluzione

Per essere più precisi, in realtà, dovremmo parlare di presente.

Perché con MOIA ci troviamo davanti a una realtà già su strada, in sperimentazione ad Hannover già da ottobre del 2017. Con successo, visto che sono state più di 20.000 le richieste di iscrizione al programma di test, e visto che i 3.500 tester selezionati hanno proceduto in questi mesi a effettuare oltre 200.000 richieste di trasporto dei 35 van presenti sui 95 Km² coperti dal servizio.

Una sperimentazione che si estenderà – a partire dalla prima metà del 2019 – ad Amburgo, con una flotta di 200 van elettrici destinati a diventare un migliaio entro i prossimi 3 anni e a coprire quasi tutta l’estensione della città.

Numeri, numeri, numeri. Che però ci danno un quadro preciso di quanto il progetto di mobilità di MOIA sia attraente, e non solo sulla carta. E non solo in Germania.

MOIA, social movement: il video (in inglese)


Ride pooling: ispirazione americana, necessità europea

Ci troviamo davanti a un servizio che si piazza a metà strada fra auto privata/taxi e i mezzi pubblici. Sia dal punto di vista del costo d’esercizio, che da quello dei pro e dei contro.

Per un prezzo di poco superiore a quello di un viaggio in autobus o metropolitana, l’utente può così avere la flessibilità di un’auto che segue le sue necessità e il percorso che deve sostenere (in parte: il van di MOIA è raggiungibile in fermate prefissate a un massimo di 250 metri dal punto di chiamata e dal punto di arriva). Si rinuncia all’isolamento e all’esclusività di un mezzo privato, ma non ci si ritrova in pullman affollati di gente che spinge e si fa largo a gomitate. Ogni van ha infatti un massimo di 6 posti, con spazio personale in abbondanza e possibilità di riposare o lavorare.

È un concetto moderno, ispirato al car-pooling americano – che negli Stati Uniti è promosso con iniziative come corsie riservate e altre agevolazioni – un sistema per condividere con più persone la propria auto (in percorsi ripetuti, come quelli casa-lavoro).

In Italia questo stile di commuting non ha ancora preso piede, anche se abbiamo visto qualcosa di simile con servizi 2.0 come quelli di BlaBlaCar, che hanno avuto un certo seguito. Come un buon successo – di pubblico, più che economico – hanno avuto anche altri esperimenti di mobilità social come il car sharing di Enjoy e Car2Go.

Insomma, il modo di viaggiare del pubblico sta cambiando, e MOIA di Volkswagen Group si muove su questa falsa riga: proponendo un servizio che, in più, libera anche dalla necessità di dover guidare. Ridare tempo e spazio ai cittadini, disingolfando le metropoli dal traffico in eccesso, con obiettivi anche di miglioramento dell’impatto ambientale.

Dopotutto, il claim di MOIA è “social movement”. Che potremmo tradurre sia come “mobilità condivisa” che come “movimento sociale”. Perché viaggiare insieme è bello, ma bisogna anche scegliere una buona destinazione.

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