Michael Van der Mark, l’intervista: “Vincere nelle gare? È una questione di costanza”

Michael Van der MarkMichael Van der Mark

Credits: Dario Aio

Michael van Der Mark è arrivato a Brno soddisfatto come non mai, da quando corre tra le derivate: si è appena guadagnato la prima vittoria nel campionato.

Anzi, la doppia vittoria, perché è stato il migliore in entrambe le manches di Donington Park, ultimo round disputato.

Grazie al (doppio) successo il rider del Pata Yamaha Official WorldSBK Team a 25 anni è entrato nella storia: nessun olandese era salito sul gradino più alto del podio nel Mondiale.

Non solo: era dal 2010, con Cal Crutchlow a Silverstone, che la casa giapponese non faceva doppietta. “È stato un weekend incredibile. Già dopo gara1 ero al settimo cielo, figurarsi dopo” racconta il campione del mondo Supersport (2014) e d’Europa Superstock 600 (2012).

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A cosa o a chi va il merito di questo risultato da record?

“Alla mia R1, che trovo sempre più facile da guidare: al secondo anno in sella, ho raggiunto un feeling eccellente. Al box, sempre pronto a lavorare fino a tardi per consegnarmi la moto migliore, e un po’ alla mia costanza: anche durante i test, segno tempi simili tutto il giorno.

Capita lo stesso quando provo delle parti nuove: credo che questo aiuti molto nello sviluppo e in gara”.

Quello di Donington è stato un round straordinario. Hai in programma qualcosa di speciale per ricordarlo?

“In teoria sì, in pratica, no. Come al solito. Quando ho vinto il Mondiale Supersport, io e la squadra ci eravamo promessi di fare un tatuaggio e non l’abbiamo fatto. Ogni volta che porto a casa un trofeo importante, penso di comprarmi un bel regalo, tipo un orologio, poi davanti alle vetrine mi passa la voglia e non entro in nessun negozio. Pensa che ci ho messo 4 anni a comprare l’auto: non ero mai convinto.

Prima ne ho presa una per la mia ragazza. e poi una per me, entrambe l’anno scorso: ero rimasto a piedi perché venivo da due stagione con la Honda, che me ne passava una. Yamaha non produce automobile e ho dovuto per forza acquistarne una”.

Le tue passioni, moto a parte?

“Mangiare. Ho la fortuna di concedermi tutto, patatine fritte comprese, ma so che la pacchia finirà, man mano che l’età aumenta. E mi piace molto cucinare: non sono uno chef, ma preparo di tutto, e adesso che Nadieh (Boeren, sua ragazza da 4 anni, ndr) lavora e rientra tardi la sera, spesso mi metto io ai fornelli”.

La tua fidanzata è una presenza fissa in circuito.

“Meno, adesso che lavora. Sono contento, se mi segue lei o mia madre, che vedo spuntare in hospitality a sorpresa: avere accanto qualcuno cui voglio bene è un sostegno importante. Tranne quando sono arrabbiato: allora è meglio che stia da solo per sbollire. Però nei momenti agitati Nadieh è l’unica persona che mi fa sorridere e tranquillizzare”.

Sei un tipo fumantino?

“No, tutt’altro, ma anche a me girano le scatole, ogni tanto”.

Come ti descriveresti in tre parole?

“Tranquillo, gran lavoratore, felice”.

Se non fossi un pilota?

“Lavorerei nell’azienda di trasporti di mio padre, a Utrecht. A 17 anni ho terminato la scuola perché le gare mi impedivano di seguire le lezioni, mi presentavo in classe tre volte a settimana . Allora, invece di stare a casa, ho cominciato ad aiutare papà in ufficio. Poi, a 18 anni ho preso la patente di guida anche per i camion: giravo l’Olanda. E ho imparato un sacco di lezioni.

Per esempio?

“La fatica di un lavoro normale, a differenza del mio: mi rendo conto di essere un privilegiato. In più, so cosa mi aspetta, in caso cambiassi vita dopo avere appeso il casco al chiodo. Ecco perché il futuro non mi spaventa. Peccato che sicuramente non lavorerò nell’azienda di famiglia: a mio padre manca poco per andare in pensione e io mi auguro di correre ancora a lungo”

Se non avessi sfondato in moto, sarei stato comunque molto fortunato: avevo a portata di mano un lavoro onesto che mi avrebbe permesso di vivere. Ringrazio ogni giorni di correre in pista anche per quell’esperienza.

Ti succede di avere paura, mentre corri?

“No. Ci sono situazioni in cui avverto il pericolo, ma sono sensazioni che dimentico subito. Non è vero che la paura ti evita di correre rischi grossi: è il talento che permette di scoprire i tuoi limiti e ti spinge a non oltrepassarlo. Però una paura l’ho: del fuoco”.

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