Category Archives: Auto Classiche
Albrecht von Goertz: il creatore della BMW 507
Il designer automobilistico Albrecht von Goertz può essere paragonato ai cantanti diventati famosi per una sola hit o a scrittori prolifici noti esclusivamente per un libro. Questo stilista tedesco ha realizzato in carriera diverse vetture ma verrà ricordato solo per una: la BMW 507, una delle più belle spider di sempre. Scopriamo insieme la sua storia.Albrecht von Goertz: la biografiaAlbrecht von Goertz (nome completo Albrecht Graf con Schlitz genannt von Goertz von Wrisberg) nasce il 12 gennaio 1914 a Brunkensen (Germania) da una famiglia nobile locale. Inizia a lavorare come bancario ad Amburgo e a Londra e nel 1936 decide di trasferirsi negli USA.Il sogno americanoIl sogno americano di Albrecht inizia a Los Angeles, prima in un autolavaggio e successivamente in una fabbrica di motori aeronautici. Nel 1938 apre un’officina dedicata all’elaborazione estetica di vetture Ford e l’anno seguente disegna la sua prima carrozzeria: la monta su un telaio Mercury e battezza Paragon la vettura da lui creata, che viene mostrata all’Esposizione Universale di New York del 1939.Dopo la Seconda Guerra Mondiale – trascorsa con la divisa dell’esercito statunitense – le qualità di Albrecht von Goertz vengono notate dal famoso designer Raymond Loewy, che gli offre un lavoro alla Studebaker.La parentesi BMW: 503 e 507Nel 1953 Albrecht si mette in proprio e dopo un incontro con Max Hoffman (importatore BMW per il mercato statunitense) scopre che la Casa tedesca sta pensando di realizzare una sportiva.Albrecht von Goertz invia i propri lavori a Monaco e viene chiamato per realizzare due vetture destinate a segnare la storia del marchio teutonico: la 503 e, soprattutto, la 507.Mettersi in proprioDopo la fama ottenuta con le BMW von Goertz collabora per lungo tempo con svariate Case automobilistiche, principalmente giapponesi. Il modello più noto nato da una sua idea è la prima Nissan Silvia del 1965.L’ultima creazione di Albrecht von Goertz, nel 2005, è il pianoforte celebrativo dei 125 anni del marchio Steinway & Sons. Albrecht scompare un anno più tardi, alla fine del 2006.

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Dodge Challenger, storia di un’icona USA
La Dodge Challenger è, insieme alla Chevrolet Camaro e alla Ford Mustang, una delle tre “pony car” più famose nonché l’unica di questo trio a non essere mai stata commercializzata ufficialmente nel nostro Paese.La terza generazione di questa vettura – quella attualmente in vendita – vede la luce nel 2008 in occasione dei saloni di Chicago e Philadelphia. Il design retrò, che strizza l’occhio alla prima serie degli anni Settanta, è ispirato ad una concept mostrata due anni prima a Detroit mentre il pianale è lo stesso – accorciato – dell’attuale Lancia Thema.L’unica versione al lancio della terza serie della Dodge Challenger è la cattivissima SRT-8, dotata di un motore 6.1 V8. L’anno seguente la gamma si arricchisce con un 3.5 V6 da 258 CV e un 5.7 V8 da 375 CV (montato sulla variante R/T).La gamma propulsori viene profondamente modificata nel 2011: il 5.7 viene impreziosito da un sistema di disattivazione dei cilindri mentre il 3.5 viene rimpiazzato da un 3.6 V6 da 309 CV e un 6.4 V8 da 476 CV prende il posto del 6.1. Scopriamo insieme le antenate di questa vettura.Dodge Challenger prima generazione (1970)La prima generazione della Challenger viene creata dalla Dodge nel 1970 per offrrire agli automobilisti americani un’alternativa più raffinata e cattiva alle pony car più vendute dell’epoca: la Ford Mustang e la Chevrolet Camaro. Realizzata sulla stessa piattaforma della Plymouth Barracuda (ma più ingombrante), si differenzia dalla “cugina” per il design più sportivo e per le finiture più curate.Disponibile nelle varianti coupé e convertibile, monta al lancio una gamma motori molto ricca che comprende dieci unità: un 3.7 a sei cilindri da 147 CV e ben nove propulsori V8 (5.2 da 234 CV, 5.6 da 279 e 293 CV, 6.3 da 294, 334 e 340 CV, 7.0 da 431 CV e 7.2 da 381 e 396 CV).Nel 1971 arrivano le prime modifiche sotto il cofano della Dodge Challenger: la potenza del sei cilindri scende fino a 112 CV, debuttano un 5.2 da 158 CV e un 5.6 da 238 CV e sparisce il 5.9 da 293 CV. Da non sottovalutare inoltre, tra le unità più grosse, il 6.3 con potenze completamente modificate (193, 253, 279 e 305 CV), l’introduzione di un 7.0 da 355 CV e il 7.2, ora disponibile con 309, 334, 375 e 390 CV.L’anno seguente, in concomitanza con l’addio alla versione cabriolet, la gamma della sportiva “yankee” viene ridimensionata a causa del calo di interesse nei confronti delle pony car. Spariscono i propulsori più prestazionali e rimangono solo tre unità – il 3.7 da 112 CV e due V8 (5.2 da 152 CV e 5.6 da 243 CV) – che diventano due nel 1973 dopo l’addio alle scene del sei cilindri e una (il 5.2) nel 1974.Dodge Challenger seconda generazione (1978)La seconda generazione della Dodge Challenger – datata 1978 – ha ben poco in comune con l’antenata visto che non è altro che una Mitsubishi Galant Lambda rimarchiata.Disponibile al lancio con due motori a quattro cilindri – un 1.6 e un 2.6 – poco prestazionali, beneficia di un restyling del 1981 e – nonostante le scarse immatricolazioni – ha ancora oggi una fama di vettura affidabile (merito delle origini giapponesi).

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Auto storiche: le best-seller di oggi che saranno un classico domani
Quali saranno le auto di oggi che avranno un futuro come mezzi d’epoca? Abbiamo provato a rispondere a questa domanda selezionando dieci modelli – appartenenti a diversi segmenti – che per una ragione o per l’altra, a nostro avviso, saranno apprezzati anche fra una ventina d’anni.Di seguito troverete l’elenco completo – composto principalmente da vetture tedesche – con le motivazioni che secondo noi porteranno in futuro queste automobili nei raduni di “storiche” e sulle copertine delle riviste a loro dedicate. Abbiamo volutamente scelto mezzi di grande diffusione: sarebbe stato, infatti, troppo semplice citare quelli di nicchia, il cui destino è più facile da prevedere.Alfa Romeo MiToL’Alfa Romeo MiTo ha un futuro assicurato come auto d’epoca. La più piccola proposta della Casa del Biscione (un marchio sempre apprezzato dagli amanti delle “storiche”) sa come far divertire: merito di un pianale riuscito (derivato da quello della Fiat Grande Punto) e di motori potenti: la gamma attuale comprende quattro unità a benzina (1.4 da 70, 77 e 139 CV e 0.9 TwinAir da 105 CV), un 1.4 sovralimentato a GPL da 120 CV e due turbodiesel JTDm-2 (1.3 da 85 CV e 1.6 da 120 CV).Audi A5La A5 rappresenta il primo esempio di sportiva elegante realizzato dall’Audi. Disponibile in tre varianti molto diverse tra loro – Coupé, Cabrio e Sportback a cinque porte – e con trazione anteriore o integrale, può vantare una gamma motori – tutti sovralimentati – capace di soddisfare qualsiasi esigenza. Quattro i propulsori a benzina (1.8 da 170 CV, 2.0 da 224 e 3.0 da 272 e 333 CV) e cinque le unità turbodiesel TDI (2.0 da 136, 150 e 177 CV e 3.0 V6 da 204 a 245 CV).Citroën C3 PicassoPraticità e design simpatico: nei decenni passati la Citroën ha commercializzato diverse vetture con queste caratteristiche mentre oggi solo la C3 Picasso risponde a questi criteri. La gamma motori è composta da due unità a benzina (1.4 da 95 CV e 1.6 da 120 CV), da un 1.4 a GPL da 95 CV e da un 1.6 turbodiesel da 92 e 114 CV.Fiat 500LLa Fiat 500L ha conquistato le giovani famiglie italiane e secondo noi tra qualche anno attirerà anche quelli che oggi – non ancora in età da patente – stanno affrontando i viaggi con i genitori seduti sul divano posteriore. Le sue forme giocose, unite ad una gamma propulsori completa – tre unità a benzina (1.4 da 95 e 120 CV e 0.9 TwinAir da 105 CV), un 1.4 sovralimentato a GPL da 120 CV, uno 0.9 TwinAir a metano da 85 CV e tre turbodiesel MJT (1.3 da 85 CV e 1.6 da 105 e 120 CV) – e all’elevata versatilità, renderanno a nostro avviso questa vettura una protagonista nel segmento delle “storiche” accessibili.Jaguar XFLa XF significa molto per la Jaguar: ha consentito alla Casa britannica di incrementare le proprie vendite e l’ha modernizzata grazie ad un design futuristico che non ha però scalfito in alcun modo la tradizione di questo brand. Disponibile berlina o Sportbrake (station wagon), monta quattro motori a benzina (2.0 da 240 CV, 3.0 V6 da 340 CV e 5.0 V8 da 510 e 551 CV) e quattro turbodiesel : 2.2 da 163 e 200 CV e 3.0 V6 da 240 e 275 CV.Mercedes CLALa Mercedes CLA ha il grande merito di riproporre in chiave più compatta (e più accessibile) il concetto di coupé a quattro porte introdotto dalla sorella maggiore CLS (un’altra vettura destinata ad avere un futuro luminoso come auto d’epoca). Sexy, elegante e non troppo ingombrante, è disponibile al momento con tre motori a benzina (1.6 da 122 e 156 CV e 2.0 da 211 CV) e tre unità turbodiesel CDI (1.5 da 109 CV, 1.8 da 136 CV e 2.1 da 170 CV). In attesa del cattivissimo 2.0 da 360 CV della 45 AMG…Opel InsigniaLa Insignia ha dimostrato al mondo che anche le Opel – considerate nel XX secolo vetture funzionali ma poco affascinanti – possono essere seducenti. Disponibile berlina o station wagon (con trazione anteriore o integrale), nel 2009 si è aggiudicata il prestigioso premio di Auto del’Anno e ancora oggi è una delle proposte più apprezzate della categoria: merito dello stile e di una gamma propulsori ricca composta da tre unità a benzina (1.4 da 140 CV, 1.6 da 170 CV e 2.8 da 325 CV), da un 1.4 a GPL da 140 CV e da quattro 2.0 turbodiesel CDTI da 131, 140, 163 e 194 CV.Peugeot 2008L’ingresso della Peugeot nel segmento delle piccole SUV con la 2008 è stato un successo e lo sarà ancora di più quando questa vettura parteciperà alla Dakar 2015. Realizzata sullo stesso pianale della 208 e contraddistinta da un abitacolo spazioso e da un bagagliaio ampio, ha una gamma motori formata da due propulsori a benzina (1.2 da 82 CV e 1.6 da 120 CV) e da tre turbodiesel (1.4 da 68 CV e 1.6 da 92 e 115 CV).Renault CapturLa Renault Captur, debutto della Casa transalpina nella categoria delle baby Sport Utility, è una protagonista nel mercato grazie al suo design aggressivo, che secondo noi farà strage di cuori anche tra qualche lustro tra quelli che saranno alla ricerca di un mezzo versatile degli anni Dieci. Tre i motori: due TCe a benzina (0.9 da 90 CV e 1.2 da 120 CV) e un 1.5 turbodiesel dCi da 90 CV.Volkswagen up!Forme moderne, qualità Volkswagen e un bagagliaio adatto anche per brevi viaggi: sono queste le caratteristiche che stanno permettendo alla up! di conquistare sempre più clienti. In un panorama come quello delle citycar povero di proposte originali la baby tedesca ha saputo distinguersi dalla massa con un progetto interessante che secondo noi riuscirà a non invecchiare in fretta.

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Marcel Leyat, l’inventore dell’auto a elica
In passato alcune Case (Saab in primis) hanno tentato di inserire su un mezzo a quattro ruote concetti provenienti dal mondo aeronautico. L’esempio più eclatante (non molto fortunato, a dire il vero) lo realizzò un inventore francese – Marcel Leyat – con l’auto a elica, Scopriamo la storia dell’originale ingegnere transalpino.Marcel Leyat: la storiaMarcel Leyat nasce il 26 marzo 1885 a Die (Francia). Dopo essersi laureato in ingegneria debutta nel mondo dell’aeronautica a soli 23 anni costruendo un aliante e nel 1913 inizia a cimentarsi con le automobili realizzando la Hélicocycle.Dotata di tre ruote (due anteriori e una, sterzante, posteriore), viene proposta – senza successo – all’esercito francese. Marcel si riscatta però con i velivoli, arrivando a produrne diversi durante la Prima Guerra Mondiale.Produzione in serieTerminato il conflitto Marcel Leyat brevetta l’auto a elica e nel 1919 presenta la Hélica, che può vantare una maggiore stabilità su strada grazie alle quattro ruote. Il difetto principale di questa particolare “spider” – la scarsa protezione del guidatore dai vortici provocati dalle pale – viene risolta due anni più tardi con il lancio di una variante chiusa.Auto da recordIl 7 settembre l’ultimo esemplare della Hélica – dotato di sole tre ruote e di una carrozzeria estremamente aerodinamica – raggiunge sul circuito francese di Montlhéry una velocità di 170 km/h. Questa incredibile prestazione non basta a convincere i potenziali clienti e l’auto a elica finisce nel dimenticatoio.Gli aerei e la musicaMarcel Leyat, deluso dal flop della sua invenzione, decide di concentrarsi esclusivamente sull’aviazione e sulla musica. Dala fine degli anni Venti all’inizio della Seconda Guerra Mondiale produce una trentina di velivoli e nello stesso periodo inventa un metodo di apprendimento musicale alternativo al solfeggio. Marcel muore il 3 dicembre 1986.

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Dodge Charger, storia di un mito americano
In Italia la Dodge Charger è conosciuta solo come protagonista del telefilm Hazzard (il mitico Generale Lee). In realtà questa vettura (prima con carrozzeria coupé e successivamente berlina) ha segnato la storia dell’automobilismo statunitense.L’ottava generazione – presentata al Salone di New York 2014 – ha un design aggressivo e una gamma motori composta da due unità – 3.6 V6 da 292 CV e 5.7 V8 da 370 CV – abbinate ad un cambio automatico a otto rapporti. Scopriamo insieme la storia delle sue antenate.Dodge Charger prima generazione (1966)La prima generazione della Dodge Charger nasce nel 1966 per rubare clienti alla Pontiac GTO. Realizzata sulla stessa base della Coronet, ha un design aggressivo impreziosito dai fari anteriori a scomparsa e ispirato ad una concept mostrata due anni prima e un abitacolo tanto originale (cruscotto elettroluminescente) quanto versatile (merito dei sedili posteriori abbattibili).La gamma motori al lancio comprende quattro unità V8 (5.2, 5.9, 6.3 e 7.0) e si amplia nel 1967 con l’ingresso di un possente 7.2 da 381 CV.Dodge Charger seconda generazione (1968)In occasione del lancio della seconda generazione – nel 1968 – la Dodge Charger si presenta con uno stile più moderno e con numerose modifiche nell’abitacolo: come l’introduzione dei sedili anteriori singoli e di quelli posteriori fissi. Alla gamma motori si aggiunge il “piccolo” 3.7 a sei cilindri in linea mentre nel 1970 (anno in cui arriva il paraurti anteriore cromato) è la volta del mostruoso 7.2 da 396 CV.Questa edizione della coupé statunitense viene declinata in numerose varianti sportive: la R/T, la 500 e l’aerodinamica Daytona (una 500 con un frontale più affusolato è caratterizzata da un vistoso spoiler posteriore).Dodge Charger terza generazione (1971)La Dodge Charger terza generazione – presentata nel 1971 – si distingue dalla precedente per un frontale più cattivo (con gruppi ottici a vista, optional quelli a scomparsa) e per motori meno performanti (scelta dovuta all’incremento dei prezzi della benzina negli USA). Il 7.2, ad esempio, rimane in gamma ma con un rapporto di compressione più basso.Nel 1973 – anno in cui i gruppi ottici a scomparsa …scompaiono ufficialmente dal listino degli accessori a pagamento – la vettura viene modificata nel frontale e nella coda (con inediti fari verticali) mentre l’anno seguente abbandonano le scene i propulsori 5.6 e 6.6.Dodge Charger quarta generazione (1975)La crisi petrolifera del 1973 uccide le muscle-car e i primi segnali della fine di questa categoria per la Dodge Charger si avvertono con il debutto – due anni più tardi – della quarta generazione. La coupé “yankee” si trasforma: da aggressiva sportiva diventa una due porte elegante.Realizzata sullo stesso pianale della Chrysler Cordoba, ha una gamma motori composta da tre unità V8: 5.2, 5.9 e 6.6. Le versioni “base” e Sport del 1976 (eliminate già l’anno seguente) – che non sono altro che delle Coronet rimarchiate – montano un 3.7 a sei cilindri.Dodge Charger quinta generazione (1983)La quinta generazione della Dodge Charger, mostrata al pubblico nel 1983, non ha niente a che vedere con il passato. Realizzata sullo stesso pianale a trazione anteriore della Talbot Horizon e dotata di un pratico portellone posteriore, offre prestazioni decisamente inferiori rispetto alle serie precedenti e non è altro che una Omni 024 ribattezzata.I motori – 1.7 e 2.2 – sono tutti a quattro cilindri mentre le prime modifiche estetiche arrivano già nel 1984, con l’introduzione dei doppi fari anteriori. Il 1985 è l’anno in cui viene lanciato il propulsore 2.2 turbo. Degne di nota le versioni sportive Shelby, con potenze fino a 177 CV.Dodge Charger sesta generazione (2006)Nel 2006 la Dodge Charger si trasforma completamente diventando un’aggressiva berlinona: in pratica, una muscle-car a quattro porte. Il pianale è lo stesso utilizzato attualmente dalla Lancia Thema.La gamma motori al lancio – composta da cinque unità (2.7 V6 da 193 CV, 3.5 V6 da 253 CV, 5.7 V8 da 345 e 355 CV e 6.1 V8 da 431 CV) – subisce qualche modifica nel 2009, quando i 5.7 vengono potenziati (373 e 377 CV).Dodge Charger settima generazione (2011)La Dodge Charger settima generazione del 2011 non è altro che un profondo restyling della sesta realizzato sotto la supervisione del Gruppo Fiat. Contraddistinta da un design più elegante e da finiture più curate, monta due motori: un 3.6 V6 da 296 CV e un 5.7 V8 da 375 CV.Nel 2012 è la volta della cattivissima SRT-8, dotata di un 6.4 V8 da 477 CV mentre nel 2014 tocca alla versione 100th Anniversary, realizzata per celebrare il centenario della Casa statunitense.

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Matra Bagheera (1973): tre posti sono meglio di due
La Matra Bagheera – presentata nel 1973 – è una delle sportive più originali di sempre. Fuori sembra una coupé come tutte le altre mentre dentro si distingue per i tre sedili affiancati. Oggi analizzeremo esclusivamente la versione “base” di questo modello: la più accessibile (5.000 euro) e la più semplice da rintracciare.Matra Bagheera (1973): le caratteristiche principaliLa Matra Bagheera nasce nel 1973 per rimpiazzare la sfortunata M530. Il design – sexy – è caratterizzato dai fari anteriori a scomparsa e da forme aerodinamiche che consentono di ottenere prestazioni vivaci e consumi contenuti, l’abitacolo (ben rifinito) ospita comodamente tre passeggeri e il bagagliaio è abbastanza capiente.Il comportamento stradale è sempre rassicurante – nonostante il motore centrale e la trazione posteriore – e il peso ridotto (la carrozzeria è in vetroresina) è garanzia di agilità nelle curve. Il piacere di guida è penalizzato esclusivamente dal cambio (quattro marce e una leva poco maneggevole) e numerosi clienti hanno dovuto fare i conti con parecchi problemi meccanici. Il restyling del 1976 ha portato paraurti rivisti e gruppi ottici posteriori ridisegnati.La tecnicaLa Matra Bagheera condivide molti elementi con la Simca 1100. Due su tutti: le raffinate sospensioni anteriori a quadrilatero e il motore 1.3 a benzina da 84 CV con due carburatori doppio corpo. Il propulsore è vivace ma per divertirsi davvero bisogna tirare le marce e stare sopra quota 4.000 giri.Le quotazioniLe quotazioni della coupé francese recitano 5.000 euro: un prezzo accessibile per una vettura, abbastanza facile da rintracciare anche nel nostro Paese, destinata a vedere aumentare il proprio valore nei prossimi anni grazie alla particolare configurazione dei sedili.

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Se Senna fosse ancora vivo
– Se Ayrton Senna fosse ancora vivo avrebbe vinto l’1 maggio 1994 il GP di San Marino di F1. Era partito dalla pole position ed era avviato verso il primo successo stagionale.- Se Senna fosse ancora vivo avrebbe omaggiato Roland Ratzenberger, scomparso il giorno prima, durante il giro d’onore a Imola. I soccorritori trovarono a bordo della sua Williams una bandiera austriaca.- Se Ayrton Senna fosse ancora vivo non avrebbe vinto il Mondiale F1 1994: quell’anno la Benetton e Michael Schumacher erano imbattibili.- Se Senna fosse ancora vivo avrebbe avuto molti più fans in Italia perché avrebbe corso con la Ferrari. Già nel 1991 fu vicino alla Rossa ed è quasi certo che avrebbe chiuso la propria carriera con la Scuderia di Maranello.- Se Ayrton Senna fosse ancora vivo avrebbe fatto di tutto per superare i quattro Mondiali di Prost. Era fermo a quota tre ma nel 1996 e nel 1997 avrebbe potuto tranquillamente portarsi a casa con la Williams i titoli che nel mondo reale andarono a Damon Hill e Jacques Villeneuve.- Se Senna fosse ancora vivo la rivalità con Prost sarebbe stata meno intensa visto che solo la F1 li separava. Ci piace immaginare un Ayrton cinquantenne chiacchierare cordialmente nei paddock con il suo amico Alain.- Se Ayrton Senna fosse ancora vivo avrebbe corso fino alla stagione 2000 (lo dichiarò in un’intervista) e avrebbe trovato un nuovo rivale in Michael Schumacher.- Se Senna fosse ancora vivo avrebbe oggi 54 anni e (forse) dei figli. Farebbe l’imprenditore (aveva già dimostrato in vita di sapere come curare i propri interessi) e ogni tanto si farebbe vedere durante i GP di F1. All’inizio del XXI secolo avrebbe cercato di creare un proprio team come Prost ma senza ottenere grandi successi.- Se Ayrton Senna fosse ancora vivo ci sarebbero stati altri morti nel Circus. La scomparsa del pilota brasiliano e di Ratzenberger ha portato a monoposto più sicure ed è grazie al loro sacrificio se oggi la F1 non è più considerata uno sport pericoloso come in passato.- Se Senna fosse ancora vivo avrebbe avuto molti meno fans nel mondo. La morte ha cancellato alcune sue caratteristiche negative come la scorrettezza in pista e i rapporti contrastati con i compagni talentuosi. Ron Dennis (responsabile McLaren) ha dichiarato: “…avrebbe avuto esperienze, magari, che si sarebbero ripercosse sulla sua notorietà. Invece finì tutto all’improvviso. Così, oggi, ci si ricorda solo di quanto era grande".

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Ernesto Maserati: il più giovane della famiglia del Tridente
Ernesto Maserati era il più giovane dei sette fratelli che fecero nascere la Casa del Tridente. Gestì l’azienda nei primi anni, ottenne buoni risultati come pilota e contribuì a fondare un’altra Casa automobilistica destinata a segnare un’epoca: la OSCA. Scopriamo insieme la sua storia.Ernesto Maserati: la biografiaErnesto Maserati nasce il 4 agosto 1898 a Voghera (Pavia) e inizia la propria attività lavorativa già a 16 anni, quando insieme ai fratelli Alfieri ed Ettore crea a Bologna un’officina specializzata in elaborazioni di motori Diatto e Isotta Fraschini.Durante la Prima Guerra Mondiale si ritrova da solo a gestire l’azienda in quanto è l’unico a non essere stato chiamato al fronte e tra la fine degli anni Dieci e l’inizio degli anni Venti si interessa di motorsport lavorando come meccanico sulle auto portate in gara dal fratello Alfieri.Nasce un pilotaErnesto Maserati vuole diventare un protagonista nel mondo delle corse e nella seconda metà degli anni Venti si esercita sulle colline pistoiesi insieme ad Alfieri. La sua guida pulita e prudente gli consente di conquistare due titoli italiani (nel 1927 e nel 1930). Nel 1931 prende parte al GP di Francia con una Maserati 26M insieme a Luigi Fagioli ma è costretto al ritiro dopo 45 giri per un problema ai freni.L’azienda in primo pianoCon la morte di Alfieri – avvenuta nel 1932 dopo un intervento chirurgico per salvare l’unico rene rimasto – la Casa del Tridente perde il suo uomo più significativo. Ernesto abbandona la carriera di pilota per concentrarsi sull’azienda e la gestisce insieme ai fratelli Bindo ed Ettore.Già nel 1933 Ernesto Maserati può dirsi soddisfatto dai risultati sportivi della Casa che porta il suo cognome: Giuseppe Campari in Francia ottiene il primo successo del marchio in una delle Grandes Épreuves, Tazio Nuvolari si aggiudica il GP del Belgio dopo essere partito per ultimo e lo statunitense Whitney Straight a Brooklands diventa il primo driver non europeo a conquistare una gara rinomata per il brand emiliano.L’arrivo delle fortissime tedesche Auto Union e Mercedes nel 1934 lascia le briciole alla Casa del Tridente, che nel 1937 viene venduta all’imprenditore modenese Adolfo Orsi. Liberi dal fardello gestionale i fratelli Maserati – ancora impiegati in azienda con un contratto di dieci anni – si concentrano sulla progettazione della 8CTF, la prima auto italiana – e l’unica dotata di motore “tricolore” – ad aggiudicarsi la prestigiosa 500 Miglia di Indianapolis (1939 e 1940, pilota Wilbur Shaw).Gli ultimi capolavori del TridenteAl termine della Seconda Guerra Mondiale Orsi perde interesse per le corse a differenza dei fratelli Maserati (Bindo, Ernesto ed Ettore), che continuano a tenere vivo il loro sogno grazie ad alcune 4C tenute nascoste a Milano durante il conflitto. La prima vittoria rilevante postbellica arriva nel 1946 con Raymond Sommer (primo straniero a vincere una delle Grandes Épreuves al volante di un’auto del Tridente) alla Coppa René le Begue.L’ultima Maserati progettata dai tre fratelli prima di uscire dall’azienda (che preferisce puntare sui modelli di serie) e fondare la OSCA è la A6 GCS, caratterizzata da parafanghi di ispirazione motociclistica e da un singolo faro anteriore centrale.La OSCACon la creazione della OSCA (Officine Specializzate Costruzione Automobili) nel 1947 Ernesto Maserati, insieme ai fratelli Bindo ed Ettore, intende proseguire con la produzione di automobili da corsa (senza però trascurare i modelli di serie). Questa Casa ottiene numerosi successi di categoria ma pochi assoluti: la vittoria più rilevante è senza dubbio quella conquistata dalla MT4 – dotata di un motore 2.0 da 165 CV a distribuzione desmodromica – guidata da Stirling Moss alla 12 Ore di Sebring del 1954.Tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta i motori OSCA equipaggiano alcuni modelli Fiat come la 1500 S e la 1600 S. Nel 1964 l’azienda viene ceduta alla MV Agusta.Gli ultimi anniMentre Ettore e Bindo si ritirano a vita privata Ernesto Maserati non intende abbandonare il mondo della meccanica. Si dedica alla progettazione di un motore a quattro tempi e continua a disegnare fino al giorno della sua morte, avvenuta il 12 gennaio 1975 a Bologna.

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Alfa Romeo, la storia della Casa del Biscione
Nel corso dei suoi oltre 100 anni di storia l’Alfa Romeo ha rappresentato per l’Italia e per gli italiani il simbolo della sportività accessibile. I clienti delle vetture del Biscione hanno sempre potuto contare su mezzi dalle prestazioni superiori, capaci di offrire il massimo piacere di guida a prezzi tutto sommato abbordabili. Scopriamo insieme l’evoluzione di questa Casa, che sta cercando di risollevarsi dopo un periodo buio.Alfa Romeo: la storiaLa storia dell’Alfa Romeo inizia ufficialmente il 10 giugno 1910, quando un gruppo di imprenditori lombardi rileva la Società Italiana Automobili Darracq (filiale tricolore di una Casa automobilistica francese) e la ribattezza ALFA (Anonima Lombarda Fabbrica Automobili).Il primo direttore tecnico della nuova società – Giuseppe Merosi – disegna il logo (il biscione simbolo dei Visconti, famiglia che governò Milano nel Medioevo, unito allo stemma del capoluogo lombardo: una croce rossa in campo bianco), utilizzato ancora oggi, e progetta la prima vettura del brand. La 24 HP – dotata di un motore 4.1 a quattro cilindri da 42 CV – può già vantare un DNA sportivo che negli anni successivi farà la fortuna di quesra Casa.Gli anni DieciNegli anni Dieci – grazie al lancio di nuovi prodotti e all’ingresso nel mondo delle corse – si assiste ad una costante crescita delle immatricolazioni dell’ALFA, interrotta però dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale. L’azienda lombarda non è in grado di convertire la produzione a scopi militari e per questo motivo viene venduta al’imprenditore – e ingegnere – napoletano Nicola Romeo.Quest’uomo – già attivo nella fornitura di commesse per l’Esercito – interrompe la produzione di mezzi a quattro ruote e usa la fabbrica del Portello per realizzare munizioni e motori aeronautici su licenza Isotta Fraschini.Nasce l’Alfa RomeoNel 1918 la società cambia nome in Alfa Romeo e ricomincia a produrre automobili ma il primo modello nuovo – la 20-30 HP – vede la luce solo nel 1920. Le vendite latitano: la gestione della società non è delle migliori, le concessionarie sono poche e i modelli lanciati all’inizio del decennio non convincono il pubblico.La svolta arriva nel 1923 quando una RL guidata da Ugo Sivocci porta al Biscione la prima vittoria importante: la Targa Florio. L’anno successivo arrivano due successi ancora più rilevanti – Giuseppe Campari al GP di Francia e Tazio Nuvolari in Italia – che amplificano il blasone della Casa milanese.Nonostante le scarse immatricolazioni Benito Mussolini – all’epoca al potere – decide di salvare l’Alfa Romeo dal fallimento usando le vittorie sportive per dare risalto all’Italia. Nel 1925 il brand lombardo conquista il primo mondiale di automobilismo della storia con la P2, progettata da Vittorio Jano e guidata da Antonio Ascari (primo in Belgio) e Gastone Brilli-Peri (sul gradino più alto del podio a Monza).Gli anni Venti si chiudono alla grande (dal punto di vista del motorsport) con le due vittorie di Campari alla Mille Miglia nel 1928 e nel 1929 al volante di una 6C.Gli anni TrentaNegli anni Trenta i successi dell’Alfa Romeo sono ancora più numerosi: otto Mille Miglia (1930, 1932-1938), sei vittorie alla Targa Florio (1930-1935) e ben quattro 24 Ore di Le Mans (1931-1934).Da non sottovalutare, inoltre, la categorie Grand Prix: più precisamente i due titoli europei piloti con Ferdinando Minoia (1931) e Nuvolari (1932) e i tanti gradini più alti del podio ottenuti dalle vetture del Biscione nella prima metà del decennio.La situazione societaria non è però altrettanto florida: nel 1933 l’Alfa Romeo – in piena crisi finanziaria – diventa ufficialmente un’azienda statale dopo che Mussolini (appassionato di corse automobilistiche) decide di salvare un’altra volta l’azienda milanese. Le quote azionarie precedentemente nelle mani delle banche vengono acquistate dall’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale, ente pubblico creato per evitare i fallimenti delle aziende private).Il dirigente e ingegnere Ugo Gobbato viene nominato presidente e riesce a risollevare il brand ritirandolo dal mondo delle corse (le vetture vengono cedute ad una certa Scuderia Ferrari, che dal 1929 era il reparto corse ufficiale del Biscione) e lanciando una serie di modelli che conquistano finalmente il pubblico.La seconda metà degli anni Trenta è segnata dall’addio all’Alfa Romeo di Jano (“colpevole” di non essere riuscito a realizzare vetture da corsa più veloci di quelle tedesche), rimpiazzato alla direzione tecnica dallo spagnolo Wifredo Ricart, che decide di introdurre nella produzione di serie il ponte De Dion. Questa particolare soluzione tecnica – caratterizzata dal differenziale collegato alla scocca (idea che consente di ridurre il peso delle masse non sospese – verrà utilizzata dal Biscione fino alla fine degli anni Ottanta.La Seconda Guerra MondialeQuella che si prepara alla Seconda Guerra Mondiale è un’Alfa molto più solida di quella che affrontò il primo conflitto. La Casa milanese, che ha già diversificato la produzione qualche anno prima puntando sui veicoli industriali, si occupa anche di motori aeronautici da destinare all’Esercito.Gli stabilimenti dell’Alfa Romeo di Pomigliano d’Arco e del Portello vengono praticamente distrutti (nel 1943 e nel 1944) ma la scelta di trasferire buona parte dei macchinari nella periferia milanese permette al marchio lombardo di riprendere le forze in breve tempo.Il secondo dopoguerraNel 1946 la Casa del Biscione si ritrova senza i suoi due uomini più importanti: Gobbato, assolto dall’accusa di collaborazionismo, viene assassinato il 28 aprile 1945 da un operaio insoddisfatto dell’esito del processo mentre Ricart torna in Spagna in seguito alla caduta del fascismo.Il posto di direttore tecnico dell’ingegnere iberico viene preso dal torinese Orazio Satta Puliga che impiega poco tempo a modernizzare l’Alfa Romeo: abbatte i costi di gestione esternalizzando la produzione dei componenti secondari e in attesa del primo vero nuovo modello – la 1900 del 1950 – le numerose vittorie sportive permettono ancora una volta all’azienda di essere salvata dal fallimento.Nel 1946 Giuseppe Farina si aggiudica il GP delle Nazioni a Ginevra e quello di Torino e nel 1947 (anno in cui Clemente Biondetti porta a casa l’ultima Mille Miglia del Biscione) tocca a Jean-Pierre Wimille (Svizzera e Belgio) e a Carlo Felice Trossi (Italia) salire sul gradino più alto del podio. I successi proseguono nel 1948, con Trossi primo in Svizzera e Wimille davanti a tutti in Francia e in Italia.Gli anni CinquantaGli anni Cinquanta si aprono bene per l’Alfa Romeo: la 1900 – prima vettura del marchio milanese dotata di telaio monoscocca – conquista il pubblico grazie al buon rapporto prezzo/prestazioni.Tra il 1950 e il 1951 la Casa lombarda domina anche nelle corse aggiudicandosi i primi due Mondiali F1 della storia: il primo anno Giuseppe Farina conquista l’iride grazie ai trionfi nel Regno Unito, in Svizzera e in Italia mentre l’anno seguente tocca a Juan Manuel Fangio laurearsi campione prevalendo in Svizzera, in Francia e in Spagna.La Giulietta del 1955 – meno costosa (da comprare e da produrre) della 1900 – contribuisce a rimpinguare ulteriormente le casse dell’Alfa Romeo e impiega poco tempo a sedurre gli italiani alla ricerca di una berlina sportiveggiante.Gli anni SessantaSiamo in pieno boom economico, le vetture del Biscione si vendono come il pane e la fabbrica del Portello non riesce a sfornare abbastanza automobili per soddisfare la domanda. Per questo motivo nel 1963 (un anno prima della presentazione del circuito prova di Balocco) viene inaugurato lo stabilimento di Arese.Tra i modelli Alfa Romeo destinati a segnare la storia di questo brand segnaliamo la Giulia del 1962 – erede della Giulietta e caratterizzata da un design aerodinamico e da prestazioni superiori alla media – e la sexy Spider del 1966: l’ultima vettura realizzata da Battista Farina.La Casa del Biscione continua anche in questo decennio ad essere una protagonista delle corse: tra il 1966 e il 1970 arriva un campionato europeo turismo assoluto piloti (con l’olandese Toine Hezemans) e sei titoli (tre driver e tre costruttori) nella Divisione 2. Tutti ottenuti con le versioni coupé della Giulia.Gli anni SettantaGli anni Settanta per l’Alfa Romeo si aprono con l’Alfasud del 1972, una compatta prodotta nello stabilimento di Pomigliano d’Arco. Il modello più accessibile nella gamma del marchio milanese – nonché il primo dotato di trazione anteriore e motore boxer – impiega pochissimo tempo a sedurre il pubblico.È dello stesso anno l’Alfetta: una berlina più evoluta della Giulia ricca di “chicche” tecniche come le sospensioni anteriori a quadrilateri (usate soprattutto nelle vetture da corsa), il transaxle (cambio e frizione montati in blocco nel retrotreno per ripartire meglio i pesi tra l’asse anteriore e quello posteriore) e il ponte posteriore De Dion (soluzione che migliora il comportamento stradale).Le Alfa Romeo di questo periodo non vendono quanto quelle degli Sessanta e anche i successi sportivi (due Mondiali Sportprototipi nel 1975 e nel 1977) sono meno rilevanti rispetto al passato. I modelli lanciati nella seconda metà degli anni ’70 non convincono completamente: la Giulietta, erede della Giulia, ha un design che fatica a sedurre mentre l’ammiraglia Alfa 6 soffre la concorrenza delle proposte tedesche.Gli anni OttantaLa crisi del Biscione continua: le vetture del marchio milanese conservano prestazioni superiori a quelle delle rivali ma sono penalizzate da numerosi problemi di affidabilità dovuti alla bassa qualità degli assemblaggi.Il lancio, nel 1983, della 33 – che rimpiazza l’Alfasud mantenendo la stessa base tecnica ma proponendo forme più affascinanti – migliora un po’ la situazione dell’Alfa Romeo mentre è dello stesso anno la “cugina” Arna (realizzata in collaborazione con la Nissan), che si rivela un flop: le colpe sono da ricercarsi più nell’estetica che nella meccanica.La seconda metà di questo decennio porta buone notizie: nel 1985 la berlina 75 – la prima dotata di motore Twin Spark a doppia accensione – sostituisce la Giulietta e si distingue per un design più aggressivo e l’anno seguente il marchio lombardo – con i conti in rosso – diventa privato con la cessione alla Fiat.Il primo modello della nuova gestione Alfa Romeo è l’ammiraglia 164: realizzata sullo stesso pianale della Fiat Croma, della Lancia Thema e della Saab 9000 e dotata di trazione anteriore, è contraddistinta da un design riuscito (opera di Pininfarina). La prima vettura del Biscione realizzata interamente sotto la supervisione del colosso torinese è invece la coupé SZ.Gli anni NovantaLa berlina 155 del 1992 – dotata dello stesso pianale della Lancia Dedra e della Fiat Tempra – è il primo nuovo modello della Casa milanese realizzato negli anni Novanta. Non convince il pubblico ma vince nelle corse aggiudicandosi nel 1993 con Nicola Larini il prestigioso campionato turismo tedesco DTM.La situazione migliora nella seocnda metà del decennio con il lancio dell’erede: la 156, disegnata da Walter de Silva e ancora oggi considerata una delle automobili più belle del XX secolo, diventa la prima Alfa Romeo a conquistare il riconoscimento di Auto dell’Anno. Merito dello stile, certo, ma anche di un pianale riuscito e di diverse soluzioni tecniche innovative come il cambio con palette al volante e il motore turbodiesel common rail.Il XXI secoloIl nuovo millennio si apre con la conquista da parte della compatta 147 – nel 2001 – del titolo di Auto dell’Anno. La vettura riprende gli stilemi della sorella maggiore 156 e seduce il pubblico grazie anche alla qualità degli interni.Dopo una serie di modelli contraddistinti da un design sexy ma poco convincenti sotto il profilo dell’agilità – come la 159 e la Brera del 2005 – l’arrivo della supercar 8C Competizione nel 2007 segna il ritorno della trazione posteriore in casa Alfa Romeo.La piccola MiTo – realizzata sulla stessa base della Fiat Grande Punto – del 2008 rappresenta il modello più accessibile della Casa del Biscione mentre in occasione del centenario, nel 2010, tocca all’erede della 147: la Giulietta. Risale al 2013, invece la sexy 4C, una supercar compatta a trazione posteriore dal prezzo relativamente accessibile.

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Roland Ratzenberger: la morte dimenticata della F1
Il nome di Roland Ratzenberger è strettamente legato a quello di Ayrton Senna, anche se quando si parla della morte del pilota brasiliano in pochi si ricordano che il giorno prima – durante il tragico weekend di Imola – perse la vita anche lui. Entrambi nati nel 1960, entrambi accomunati da un triste destino.La sua scomparsa è stata pressoché dimenticata da tutti: solo gli appassionati di motorsport ogni 30 aprile si ricordano di questo piccolo grande driver austriaco che raggiunse tardi il sogno di correre in F1. Scopriamo insieme la sua storia.Roland Ratzenberger: la biografiaRoland Ratzenberger nasce il 4 luglio 1960 a Salisburgo (Austria). Inizia tardi a gareggiare – nel campionato tedesco 1983 di Formula Ford – e per questo motivo dice di essere del 1962 in modo da potersi garantire una carriera più lunga del motorsport. I primi successi rilevanti arrivano nel 1985 quando si aggiudica la serie austriaca e quella centroeuropea.Salto di qualitàNel 1986 conquista il prestigioso Formula Ford Festival (evento vinto da driver del calibro di Jenson Button). Questo successo gli apre numerose porte: nella seconda metà degli anni Ottanta si cimenta – senza brillare particolarmente – in numerosi campionati britannici (Formula 3, turismo e Formula 3000) e nel Mondiale Turismo.La 24 Ore di Le Mans e il GiapponeTra il 1989 e il 1993 Roland Ratzenberger prende parte alla 24 Ore di Le Mans: il migliore risultato arriva in occasione dell’ultima edizione, quando al volante di una Toyota 93C-V arriva quinto assoluto insieme al nostro Mauro Martini e al giapponese Naoki Nagasaka.Nello stesso periodo si trasferisce in Giappone, dove ottiene qualche risultato rilevante in numerosi campionati locali: sportprototipi, turismo e Formula 3000.La F1 e la morteRoland Ratzenberger realizza il sogno di correre in F1 nel 1994 quando firma un contratto della durata di cinque GP per gareggiare con la neonata scuderia britannica Simtek. Nella prima prova della stagione, in Brasile, non riesce a qualificarsi mentre due settimane dopo nel GP del Pacifico porta a casa un interessante 11° posto e si rivela più veloce del compagno di scuderia, l’australiano David Brabham.Roland muore il 30 aprile 1994 durante le prove del GP di San Marino sul circuito di Imola (Bologna) a causa di una frattura cranica: alle 13:16, durante la seconda sessione di qualifiche, la sua monoposto (priva di una parte dell’alettone anteriore in seguito ad un contatto precedente) si schianta contro un muretto alla curva Villeneuve.

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