Category Archives: Auto Classiche
F1 – I più grandi piloti asiatici
Non tutti sanno che l’Asia è l’unico continente a non aver mai avuto un pilota campione del mondo di F1. Ma non solo: nessun driver asiatico è stato infatti capace di salire sul gradino più alto del podio in una gara del Circus valida per il Mondiale.Di seguito troverete la classifica dei piloti asiatici che hanno mostrato le cose migliori in F1 (quattro giapponesi e un thailandese), una graduatoria corredata da brevi biografie e palmarès.1° Takuma Sato (Giappone)Nato il 28 gennaio 1977 a Tokyo (Giappone)
7 stagioni (2002-2008)
90 GP disputati3 costruttori (Jordan, BAR, Super Aguri)
PALMARÈS: 8° nel Mondiale F1 (2004), 1 podioPALMARÈS EXTRA-F1: campione britannico F3 (2001), GP Macao (2001), Masters F3 (2001)2° Birabongse Bhanudej (Thailandia)Nato il 15 luglio 1914 a Bangkok (Thailandia) e morto il 23 dicembre 1985 a Londra (Regno Unito)
5 stagioni (1950-1954)
19 GP disputati4 costruttori (Maserati, Simca Gordini, Gordini, Connaught)PALMARÈS: 8° nel Mondiale F1 (1950)3° Kamui Kobayashi (Giappone)Nato il 13 settembre 1986 ad Amagasaki (Giappone).
5 stagioni (2009-2012, 2014)
75 GP disputati4 costruttori (Toyota, BMW Sauber, Sauber, Caterham)
PALMARÈS: 12° nel Mondiale F1 (2010-2012), 1 podio, 1 giro velocePALMARÈS EXTRA-F1: campione europeo Formula Renault (2005), campione italiano Formula Renault 2.0 (2005), campione asiatico GP2 (2009)4° Satoru Nakajima (Giappone)Nato il 23 febbraio 1953 a Okazaki (Giappone)
5 stagioni (1987-1991)
74 GP disputati2 costruttori (Lotus, Tyrrell)
PALMARÈS: 12° nel Mondiale F1 (1987), 1 giro velocePALMARÈS EXTRA-F1: 5 campionati giapponesi F2 (1981, 1982, 1984-1986)5° Aguri Suzuki (Giappone)Nato l’8 settembre 1960 a Tokyo (Giappone)
7 stagioni (1988, 1990-1995)
64 GP disputati4 costruttori (Lola, Footwork, Jordan, Ligier)
PALMARÈS: 12° nel Mondiale F1 (1990), 1 podioPALMARÈS EXTRA-F1: campione giapponese turismo (1986), campione giapponese Formula 3000 (1988)
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Ford Cortina Mk2 (1966): la più amata dagli inglesi
La Ford Cortina Mk2 del 1966 – seconda generazione della berlina britannica – è stata nella seconda metà degli anni ’60 l’auto più amata dagli inglesi. In Italia è introvabile mentre nel resto d’Europa bisogna sborsare come minimo 5.000 euro per un esemplare in buone condizioni.Ford Cortina Mk2 (1966): le caratteristiche principaliLa seconda serie della Ford Cortina – auto progettata e costruita dalla filiale britannica della Casa dell’Ovale Blu – vede la luce nel 1966: meno originale dell’antenata ma più spaziosa, presenta sospensioni più morbide e un raggio di sterzata più contenuto.Due le versioni al lancio – berlina a due e a quattro porte – affiancate nel 1967 dalla più versatile variante station wagon. Nel 1969 si assiste ad un leggero restyling che porta una mascherina più scura impreziosita da cromature e la scritta Ford sul cofano motore e sul cofano del bagagliaio.Ford Cortina Mk2 (1966): la tecnicaLa gamma motori al lancio – nel 1966 – della Ford Cortina Mk2 è composta da tre unità a benzina: un 1.2 derivato da quello della Anglia, un 1.3 e un 1.5. L’anno seguente il 1.3 Kent viene rimpiazzato da un’unità Crossflow di pari cilindrata e il 1.6 prende il posto del 1.5.Ford Cortina Mk2 (1966): le quotazioniLa Ford Cortina Mk2 è introvabile in Italia mentre è più facile rintracciarla nel Regno Unito e in Germania a quotazioni che non scendono sotto i 5.000 euro. Le 1.3 a due porte sono le più comuni insieme alle 1.6 (che però sono spesso preparate). Analizzeremo la variante sportiva Twin Cam (molto più interessante dal punto di vista storico) in un’altra occasione.
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Le AC Cobra della fine del XX secolo
La AC Cobra è una sportiva dalla carriera tormentata: nata nel 1962 e più volte modificata, è commercializzata ancora oggi dopo che il marchio britannico è passato attraverso diverse mani.Oggi analizzeremo le tre versioni della spider inglese costruite alla fine del XX secolo: la CRS, la Superblower e la 212 S/C. Tre gioielli rari in grado di regalare emozioni uniche.Le AC Cobra della fine del XX secolo: le caratteristiche principaliNel 1996, dopo l’ennesimo cambio di management, la AC decide di creare due versioni della Cobra derivate dalla Mk IV del 1983: l’accessibile CRS (“Carbon Road Series” con carrozzeria in fibra di carbonio) e la cattivissima Superblower, entrambe svelate nel 1999. La prima viene prodotta in 37 esemplari, la seconda in 19.Queste due vetture vengono affiancate l’anno seguente dalla rarissima (solo 2 esemplari costruiti) 212 S/C, ancora più potente della Superblower.Le AC Cobra della fine del XX secolo: la tecnicaLe AC Cobra CRS e Superblower montano un motore 4.9 V8 di origine Ford. Sulla CRS si tratta di un aspirato da “soli” 228 CV mentre sulla Superblower la sovralimentazione consente di salire fino a quota 324 CV.Sotto il cofano della versione 212 S/C si trova invece un 3.5 V8 Lotus da ben 350 CV che permette alla sportiva britannica di accelerare da 0 a 96 km/h in circa 4 secondi.Le AC Cobra della fine del XX secolo: le quotazioniLe quotazioni delle AC Cobra della fine del XX secolo dipendono molto dall’estrema rarità di questi modelli: per la CRS (prodotta in soli 37 esemplari) ci vogliono circa 50.000 euro e bisogna sborsarne addirittura 120.000 per la Superblower (19 esemplari).Una delle due 212 S/C è stata venduta ad un’asta nel 2012 a oltre 60.000 euro ma prevediamo un vistoso incremento di questa cifra nei prossimi anni.
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15 settembre 2001 – L’incidente di Zanardi
Il 15 settembre 2001 sul circuito tedesco del Lausitzring Alex Zanardi fu vittima di un pauroso incidente che cambiò per sempre la sua vita. Scopriamo insieme la storia della gara del campionato CART nella quale il pilota bolognese perse entrambe le gambe.L’incidente di Alex ZanardiAll’inizio della stagione 2001 la carriera di Alex Zanardi si trova ad un punto di svolta: dopo i due campionati americani CART conquistati nel 1997 e nel 1998 e il deludente ritorno in F1 con la Williams nel 1999 il driver bolognese si prende un anno sabbatico nel 2000 prima di tornare nella serie “yankee” con il team Mo Nunn Racing.Il feeling con la squadra e con la monoposto – una Reynard motorizzata Honda – non è dei migliori: non riesce mai a salire sul podio – a differenza del compagno di scuderia, il brasiliano Tony Kanaan – e ottiene come miglior piazzamento un quarto posto a Toronto.L’11 settembreMartedì 11 settembre 2001, pochi giorni prima della tappa tedesca del campionato CART sul circuito del Lausitzring, l’attenzione è concentrata sulla tragedia delle torri gemelle di New York e il giorno seguente – dopo alcune riunioni – gli organizzatori dell’evento decidono di correre ribattezzando la gara “American Memorial” in omaggio agli USA.Alex Zanardi si trova a proprio agio sul circuito del Lausitzring: nelle prove libere del giovedì lui e Kanaan sono i più veloci ma l’annullamento delle qualifiche del venerdì (a causa della pioggia) costringe il pilota bolognese a partire dalle retrovie in quanto la griglia viene formata in base alla posizione nella classifica del campionato.Sabato 15 settembre 2001 – L’incidente del LausitzringNella gara del 15 settembre 2001 sulla pista del Lausitzring Zanardi offre una delle migliori prestazioni della sua carriera: dopo aver effettuato diversi sorpassi si ritrova addirittura in testa e niente sembra poter ostacolare il suo cammino verso la vittoria.La situazione cambia, però, dopo l’ultima sosta ai box: nella fase di rientro in pista la monoposto di Alex Zanardi perde il controllo a bassa velocità su un tratto sporco e viene centrata in pieno lateralmente dalla vettura del canadese Alex Tagliani.Nell’impatto (avvenuto ad una velocità di 320 km/h) la Reynard Ford di Tagliani spezza a metà la Reynard Honda di Zanardi, il quale subisce l’amputazione immediata di entrambe le gambe (quella sinistra al di sopra del ginocchio, quella destra sotto).Alex Zanardi inizialmente non sembra rendersi conto di quanto è avvenuto: prima di perdere i sensi per lo choc cerca infatti di aprirsi la visiera del casco e di slacciarsi le cinture di sicurezza.Le cureZanardi viene portato in elicottero all’ospedale di Berlino in condizioni gravissime e dopo essere stato in coma farmacologico per tre giorni viene operato per rimuovere il ginocchio destro.Il 31 ottobre 2001 – dopo un mese e mezzo di ricovero e 14 interventi chirurgici – Alex Zanardi viene dimesso dalla clinica tedesca, pronto ad affrontare la seconda parte della sua straordinaria vita.
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Bugatti Type 22 Brescia (1921): 16 valvole e tanta leggerezza
La Bugatti Type 22 Brescia, svelata nel 1921, non è altro che una variante a passo corto della Type 23 Brescia. Questa sportiva francese è entrata nella storia dell’automobilismo nel 2010, quando un esemplare rimasto sul fondo del Lago Maggiore per oltre 70 anni è stato ripescato e venduto ad un’asta (in condizioni piuttosto malmesse) a 260.500 euro. Non fatevi quindi ingannare dalle quotazioni di 180.000 euro relative a modelli sani.Bugatti Type 22 Brescia (1921): le caratteristiche principaliLa Bugatti Type 22 Brescia del 1921 – variante sportiva della Type 22 “normale” svelata due anni prima – si distingue dalla Type 23 Brescia per il passo più corto di 15 cm (2,40 metri contro 2,55): più adatta, quindi, ad un uso agonistico.La scelta di adottare il nome della città lombarda per identificare le versioni più grintose dei propri modelli nasce l’8 settembre 1921 quando la prima edizione del Gran Premio delle Vetturette d’Italia a Brescia (vinta dal francese Ernest Friderich) viene dominata dalla Bugatti con quattro Type 22 nelle prime quattro posizioni.La Bugatti Type 22 Brescia, nata per rimpiazzare la Type 15, si differenzia dall’antenata per le dimensioni maggiorate, per le sospensioni migliorate e per il radiatore ovale.Bugatti Type 22 Brescia (1921): la tecnicaLa Bugatti Type 22 Brescia puntava tutto sull’eccellente rapporto tra peso (inferiore a 500 kg) e potenza (di oltre 30 CV). Il motore 1.5 quattro cilindri a benzina può vantare – a differenza della Type 22 “standard” – le 16 valvole, caratteristica tecnica tipica di tutte le vetture della Casa francese battezzate col nome del comune lombardo.Bugatti Type 22 Brescia (1921): le quotazioniNon fatevi ingannare dalle quotazioni di 180.000 euro relative alla Bugatti Type 22 Brescia. Sei anni fa un esemplare malconcio della sportiva francese ripescato dal Lago Maggiore dopo 70 anni è stato venduto all’asta a oltre 260.000 euro. Fate i vostri conti.
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F1 – I più grandi piloti USA
Nonostante la F1 non sia molto seguita negli USA i piloti statunitensi si sono fatti valere spesso nel Circus: due di questi (Mario Andretti e Phil Hill) sono stati addirittura capaci di conquistare il Mondiale.Di seguito troverete la classifica dei cinque piloti “yankee” più vincenti in Formula 1, curiosamente tutti impegnati almeno una volta in una gara iridata negli anni ’60.1° Mario AndrettiNato il 28 febbraio 1940 a Montona (Italia).
14 stagioni (1968-1972, 1974-1982)
128 GP disputati6 costruttori (Lotus, March, Ferrari, Parnelli, Alfa Romeo, Williams)
PALMARÈS: Mondiale F1 (1978), 12 vittorie, 18 pole position, 10 giri veloci, 19 podiPALMARÈS EXTRA-F1: 2 campionati USAC (1965, 1966), 3 12 Ore di Sebring (1967, 1970, 1972), Daytona 500 (1967), 500 Miglia di Indianapolis (1969), 6 Ore di Daytona (1972), campione CART (1984)2° Phil HillNato il 20 aprile 1927 a Miami (USA) e morto il 28 agosto 2006 a Salinas (USA).
7 stagioni (1958-1964)
47 GP disputati5 costruttori (Maserati, Ferrari, Cooper, A-T-S, Lotus)
PALMARÈS: Mondiale F1 (1961), 3 vittorie, 6 pole position, 6 giri veloci, 16 podiPALMARÈS EXTRA-F1: 3 24 Ore di Le Mans (1958, 1961, 1962), 3 12 Ore di Sebring (1958, 1959, 1961), 2 1000 km di Buenos Aires (1958, 1960), 2 1000 km del Nürburgring (1962, 1966)3° Richie GintherNato il 5 agosto 1930 a Granada Hills (USA) e morto il 20 settembre 1989 a Touzac (Francia).
7 stagioni (1960-1966)
52 GP disputati4 costruttori (Ferrari, BRM, Honda, Cooper)PALMARÈS: 3° nel Mondiale F1 (1963), 1 vittoria, 3 giri veloci, 14 podi4° Dan GurneyNato il 13 aprile 1931 a Port Jefferson (USA).
11 stagioni (1959-1970)
86 GP disputati7 costruttori (Ferrari, BRM, Porsche, Brabham, Eagle, McLaren)
PALMARÈS: 4° nel Mondiale F1 (1961-1965), 4 vittorie, 3 pole position, 6 giri veloci, 19 podiPALMARÈS EXTRA-F1: 24 Ore Le Mans (1967)5° Peter RevsonNato il 27 febbraio 1939 a New York (USA) e morto il 22 marzo 1974 a Midrand (Sudafrica).
5 stagioni (1964, 1971-1974)
30 GP disputati4 costruttori (Lotus, Tyrrell, McLaren, Shadow)
PALMARÈS: 5° nel Mondiale F1 (1972, 1973), 2 vittorie, 1 pole position, 8 podiPALMARÈS EXTRA-F1: campionato Can-Am (1971)
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Le dieci auto più sexy degli anni ’70
Poche auto sanno essere sexy come quelle degli anni ’70: questo decennio è stato caratterizzato infatti dalla presenza di un numero impressionante di sportive che fanno ancora oggi battere forte il cuore degli appassionati.Di seguito troverete i dieci modelli che – a nostro avviso – rappresentano meglio questo periodo storico: la maggior parte di questi proviene dal nostro Paese ma non mancano proposte tedesche e statunitensi. Scopriamole insieme.Alfa Romeo GTAm (1970)L’Alfa Romeo GTAm (“m” come “maggiorata”) nasce nel 1970 sulla base della 1750 GTV e monta un motore 2.0 da 220 CV ad iniezione. Si distingue dal modello da cui deriva per la carrozzeria più larga, l’assetto più rigido e gli pneumatici più grandi. L’anno seguente è la volta di una nuova variante da 240 CV basata sulla 2000 GTV.BMW M1 (1979)La BMW M1 del 1979 monta un motore 3.5 a sei cilindri da 277 CV. Disegnata da Giorgetto Giugiaro e dotata di una carrozzeria in fibra di vetro, viene realizzata in soli 400 esemplari stradali. Prestazioni da urlo: 262 km/h di velocità massima e 5,6 secondi per accelerare da 0 a 100 chilometri orari.Dino 246 GTS (1972)La Dino 246 GTS del 1972 non è altro che la variante spider – decisamente più difficile da rintracciare – della 246 GT. Il motore è un 2.4 V6 (lo stesso utilizzato dalla Fiat Dino e dalla Lancia Stratos) da 195 CV.Ferrari Daytona Spider (1970)La Ferrari Daytona Spider del 1970 – nome ufficiale 365 GTS/4 – è la versione scoperta della 365 GTB/4 creata per soddisfare le richieste dei clienti nordamericani. Caratterizzata dai fari a scomparsa e disponibile in poco più di 100 esemplari, monta un motore 4.4 V12 da 352 CV.Iso Grifo Can Am (1971)La Can Am del 1971 è la versione più cattiva della Iso Grifo: dotata di un possente motore 7.0 V8 di origine Chevrolet, ha un design seducente realizzato da Bertone.Lamborghini Miura SV (1971)La SV del 1971 si distingue dalle Lamborghini Miura “normali” per il motore più potente (3.9 V12 da 390 CV) e per l’assenza delle “ciglia” intorno ai fari anteriori. Prodotta in soli 150 esemplari, può essere considerata come l’ultima evoluzione della supercar di Sant’Agata.Lancia Stratos (1973)La Lancia Stratos del 1973 – disegnata da Bertone (e più precisamente da Marcello Gandini) – viene realizzata per correre nei rally. La variante stradale – prodotta in circa 500 esemplari – monta un motore 2.4 V6 da 192 CV.Maserati Ghibli SS Spyder (1970)La Maserati Ghibli SS Spyder del 1970 monta un motore 4.9 V8 da 335 CV. Rispetto alla versione “base” è più potente e ha una dotazione di serie più ricca che comprende – tra le altre cose – il piantone dello sterzo regolabile, i sedili in pelle, gli alzacristalli elettrici e l’aria condizionata.Plymouth Superbird (1970)La Plymouth Superbird del 1970 viene realizzata per correre nelle gare NASCAR e ottiene il successo l’anno seguente con Richard Petty al volante. Basata sulla Road Runner, si distingue per il frontale più aerodinamico con fari a scomparsa e per il vistoso spoiler posteriore. La versione stradale – disponibile con due motori V8 (7.0 e 7.2) – viene prodotta in poco meno di 2.000 esemplari.Porsche 911 Carrera RS 2.7 (1972)La Carrera RS 2.7 del 1972 è una delle Porsche 911 più desiderate. Il motore è un 2.7 da 210 CV mentre tra le differenze più evidenti rispetto alle altre versioni segnaliamo lo spoiler posteriore, le sospensioni riviste, i freni più grandi e gli pneumatici posteriori più grossi.
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Le dieci auto americane più sexy di sempre
Le auto americane non sono mai state quelle più evolute tecnicamente ma non hanno mai avuto rivali in quanto a personalità.Di seguito troverete i dieci modelli a nostro avviso più sexy di sempre: vetture a stelle e strisce (nate soprattutto negli anni ’50, periodo d’oro per i modelli “yankee”) caratterizzate da uno stile inconfondibile.Buick Skylark (1953)La prima generazione della Buick Skylark – nata nel 1953 – è un’esclusiva cabriolet realizzata sulla stessa piattaforma della Roadmaster dotata di un motore 5.3 V8 e caratterizzata dall’impianto elettrico da 12 V. Molto originale nel design, presenta una linea di cintura che tende verso il basso per poi risalire nella zona della coda.Cadillac Eldorado (1953)La prima serie della Cadillac Eldorado viene prodotta per un solo anno in soli 532 esemplari. Disponibile esclusivamente cabriolet e con quattro colori, ospita sotto il cofano un motore 5.4 V8 e può vantare finiture curatissime.Chevrolet Corvette C1 (1953)La Chevrolet Corvette C1 – capostipite della famiglia di quella che può essere considerata la più famosa sportiva americana di sempre – vede la luce nel 1953 per offrire al pubblico statunitense una scoperta a basso prezzo. Dotata di una carrozzeria in fibra di vetro, non riesce a sedurre gli automobilisti all’inizio: colpa di un motore fiacco (3.9 a sei cilindri in linea da 150 CV), di un cambio (automatico a due rapporti) lento e di freni a tamburo. La situazione cambia nel 1955, anno in cui entra nell’elenco degli optional un 4.3 V8.Chrysler 300 Convertible (1957)Mastodontica (5,57 metri di lunghezza), potente (motore 6.4 V8 da 381 o 394 CV) e con una mascherina aggressiva come poche altre: sono queste le caratteristiche principali della Chrysler 300 Convertible del 1957.Dodge Charger Daytona (1969)La Dodge Charger Daytona è una variante sportiva della seconda generazione della coupé americana: in pratica non è altro che la versione 500 con un frontale più affusolato e con un vistoso spoiler posteriore.Ford GT (2004)La Ford GT del 2004 riprende in chiave moderna lo stile della mitica GT40 con contenuti in linea con quanto offerto dalle supercar in commercio all’inizio del XXI secolo: motore 5.4 V8 sovralimentato da 557 CV, carrozzeria in alluminio e freni Brembo.Mercury Sportsman Convertible (1946)La Mercury Sportsman Convertible del 1946 è una delle auto americane più affascinanti dell’immediato dopoguerra: prodotta in poco più di 200 esemplari, si distingue per i pannelli in legno presenti sulla carrozzeria.Oldsmobile Fiesta Convertible (1953)La Oldsmobile Fiesta Convertible viene lanciata nel 1953 dalla General Motors insieme alla Buick Skylark e alla Cadillac Eldorado precedentemente citate per coprire la parte alta del mercato. Basata sulla variante scoperta della 98 e dotata di un motore a 8 cilindri, si differenzia dalla “cugina” per le finiture più curate.Plymouth Superbird (1970)Difficile trovare un’auto americana più sexy della Plymouth Superbird del 1970: realizzata per correre nelle gare NASCAR (e capace di vincere il titolo l’anno seguente con Richard Petty), non è altro che una Road Runner impreziosita dal frontale più aerodinamico con fari a scomparsa e dal vistoso spoiler posteriore. La variante stradale – prodotta in poco meno di 2.000 esemplari – ha una gamma motori composta da due unità V8 (7.0 e 7.2).Shelby Mustang GT 350 Convertible (1967)La Shelby Mustang GT 350 Convertible del 1967 – variante “cattiva” della mitica cabriolet Ford – ospita sotto il cofano un motore 4.9 V8 (5.7 dal 1969) più sfruttabile del “big block” 7.0 della GT 500.
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F1 e l’11 settembre – La Ferrari nera a Monza 2001
Nel GP d’Italia 2001 – il primo Gran Premio di F1 disputato dopo l’11 settembre – la Ferrari scese in pista a Monza pochi giorni dopo l’attentato alle torri gemelle di New York con una vernice nera sul muso in segno di lutto e con una carrozzeria priva di sponsor (scelta adottata anche sulle tute dei piloti: Michael Schumacher e Rubens Barrichello) per rispetto nei confronti delle vittime e anche altre scuderie presero simili iniziative. Scopriamo insieme cosa successe quei giorni.GP Italia 2001: la prima gara di F1 dopo l’11 settembreLa settimana del GP d’Italia 2001 di F1 – corsa prevista per domenica 16 settembre – inizia a mostrare il suo lato tragico martedì 11 settembre con l’attentato al World Trade Center di New York. Al termine del Mondiale – già deciso il mese prima con il trionfo iridato di Michael Schumacher tra i Piloti e della Ferrari tra i Costruttori – mancano ancora tre gare.Il 13 settembre 2001 la FIA (Federazione Internazionale dell’Automobile) conferma il regolare svolgimento della corsa di Monza e gli organizzatori dell’evento cercano di rendere la manifestazione più sobria possibile per rispetto nei confronti delle vittime del terrorismo annullando tutti gli appuntamenti prima del Gran Premio (compreso il passaggio delle Frecce Tricolori) e i festeggiamenti sul podio.Venerdì 14 settembre 2001Il GP d’Italia 2001 – il primo Gran Premio di F1 dopo la strage dell’11 settembre – si apre con le prime prove libere. Due i cambiamenti tra i piloti al via del Mondiale: il malese Alex Yoong – dotato di un portafoglio molto sostanzioso – prende il posto del portoghese Tarso Marques alla Minardi mentre il ceco Tomáš Enge rimpiazza il brasiliano Luciano Burti (reduce da un brutto incidente due settimane prima in Belgio) al volante della Prost.La Ferrari – scesa in pista con una livrea priva di sponsor e con il muso nero in segno di lutto – ottiene subito la prima e la terza piazza nelle prove libere 1 con il tedesco Michael Schumacher e il brasiliano Rubens Barrichello (entrambi con una tuta senza pubblicità) mentre nelle prove libere 2 prevale la Williams con il teutonico Ralf Schumacher e il colombiano Juan Pablo Montoya nelle prime due posizioni.Sabato 15 settembre 2001Nella terza e ultima sessione di prove libere del GP d’Italia 2001 Schumacher ottiene il miglior tempo ma nelle qualifiche è Montoya a portare a casa la pole position con la Williams dotata del potentissimo motore BMW. La Jaguar – per omaggiare le vittime dell’11 settembre – scende in pista con il cofano motore verniciato di nero e impreziosito dalla bandiera degli USA.Nello stesso giorno, durante una gara del campionato CART sul circuito tedesco del Lausitzring, il nostro Alex Zanardi perde il controllo della propria monoposto, viene travolto dalla vettura del canadese Alex Tagliani e perde entrambe le gambe.Domenica 16 settembre 2001I piloti, profondamente scossi dall’incidente di Alex Zanardi e ancora segnati dalla tragedia dell’11 settembre, chiedono di non correre il GP d’Italia 2001 di F1 ma la loro richiesta viene respinta da Bernie Ecclestone.Durante il warm-up (miglior tempo di Schumacher) la Jordan scende in pista con la bandiera a stelle e strisce sul cofano motore al posto del tradizionale sponsor Deutsche Post mentre la gara si apre con Montoya davanti a tutti seguito dai due piloti Ferrari.Al 9° giro del GP d’Italia 2001 Barrichello supera il colombiano ma gli cede nuovamente il primato al 19° giro quando perde troppo tempo al pit-stop per un problema al bocchettone della benzina. Ralf Schumacher sfrutta la sosta ai box del compagno di scuderia per ritrovarsi temporaneamente in testa alla gara ma quando tocca a lui rifornire – alla 35° tornata – è costretto a lasciare il primato a Barrichello.Il pilota brasiliano del Cavallino, però, ha una strategia a due soste e quindi al 42° giro lascia definitivamente la vittoria a Montoya, al primo successo in carriera nel Mondiale F1.F1 – I risultati del GP d’Italia 2001 a Monza
1 Juan Pablo Montoya (Williams) 1h16:58.493
2 Rubens Barrichello (Ferrari) + 5,2 s
3 Ralf Schumacher (Williams) + 17,3 s
4 Michael Schumacher (Ferrari) + 25,0 s5 Pedro de la Rosa (Jaguar) + 65,0 s
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NSU Spider (1964): la prima Wankel
La NSU Spider del 1964 rappresenta un pezzo di storia dell’automobilismo: la prima vettura di serie dotata del motore rotativo Wankel si trova ormai solo nelle aste a prezzi che superano i 50.000 euro.NSU Spider (1964): le caratteristiche principaliLa NSU Spider vede la luce nel 1964: realizzata sulla stessa base della Sport Coupé del 1959 (e molto simile anche nel design), è lunga solo 3,58 metri e può vantare potenti freni a disco anteriori e finiture curate. Comoda e brillante, è penalizzata da una posizione di guida scomoda e da uno sterzo poco comunicativo.NSU Spider (1964): la tecnicaIl motore della NSU Spider è il primo propulsore rotativo Wankel di sempre montato su un’auto di serie: un’unità da 0,5 litri con potenze comprese tra 50 e 54 CV (che spinge alla grande agli alti regimi ma delude ai bassi) abbinata ad un cambio manuale a quattro marce.La presenza di un propulsore così piccolo (montato posteriormente) ha permesso ai tecnici tedeschi di ricavare – oltre al bagagliaio anteriore – anche un vano supplementare nel retro sopra il motore.NSU Spider (1964): le quotazioniNon fatevi ingannare dalle quotazioni della NSU Spider del 1964 che recitano 20.000 euro. La sportiva teutonica – in quanto prima auto Wankel di sempre – è molto richiesta ma anche molto rara visto che è stata prodotta in poco più di 2.000 esemplari. Oramai si trova solo nelle aste a prezzi che superano i 50.000 euro.
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