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Ken Miles, il re mancato di Le Mans

Il film “Le Mans ‘66 – La grande sfida” ha il grande merito di far conoscere al grande pubblico Ken Miles, un personaggio fino a qualche mese fa noto solo ad alcuni appassionati di motorsport. Scopriamo insieme la storia del pilota britannico, re mancato della Sarthe nonché uomo fondamentale – con l’amico Carroll Shelby – nello sviluppo della Ford GT40.
Ken Miles: la storia
Ken Miles nasce l’1 novembre 1918 a Sutton Coldfield (Regno Unito). Appassionato di motori fin da bambino, lascia la scuola a 15 anni per lavorare come apprendista presso la Casa automobilistica Wolseley.
Durante la Seconda Guerra Mondiale è carrista nell’esercito britannico e nel 1944 prende parte allo sbarco in Normandia. Dopo il conflitto inizia a correre con le quattro ruote in gare locali inglesi.
Il trasferimento negli USA
Nel 1951 Ken Miles si trasferisce negli USA (più precisamente in California) e inizia a farsi notare nelle corse locali con una MG personalizzata: il primo podio arriva il 24 agosto 1952 a Stockton mentre la prima vittoria il 19 aprile 1953 a Pebble Beach.
Risale al 1954 il primo podio con una vettura diversa (secondo a Santa Barbara con una Troutman-Barnes Special) mentre l’anno seguente sale sul gradino più alto del podio di Palm Springs con una Maserati 150 S.
Porsche e le prime gare importanti
Ken Miles nel 1956 passa alla Porsche 550 e a fine stagione si cimenta con una vettura costruita in casa: la Cooper Miles R3. Continua a correre e a vincere con entrambi i mezzi e nel 1957 prende parte alla prima gara importante della sua carriera: la 12 Ore di Sebring (9° assoluto in coppia con lo statunitense Jean-Pierre Kunstle con una Porsche 550 RS).
Nel 1958 ottiene altri successi a livello locale con la Porsche e la Jaguar D-Type e l’anno successivo porta a casa un’ottava piazza a Sebring con una Porsche 718 RSK insieme allo statunitense Jack McAfee.
Crescita continua
Ken Miles diventa nel 1961 l’unico pilota straniero capace di conquistare il campionato statunitense USAC Road Racing (primo con una Porsche 718 RS grazie a un successo a Castle Rock) e nello stesso anno trionfa a Riverside con una Sunbeam Alpine (ricevuta come compenso dal marchio britannico per aver contribuito allo sviluppo della Tiger).
Nel 1962 Ken vince numerose corse con diverse vetture (oltre alla Sunbeam le Ferrari 625 TRC e 250 GT) e a fine stagione viene chiamato da Carroll Shelby per lavorare come pilota-collaudatore presso il suo team Shelby-American. Debutta al volante di una Cobra il 9 dicembre a Nassau (Bahamas): ritiro.
L’era Shelby
Nel 1963 Ken Miles è capo collaudatore del team Shelby-American: corre regolarmente con le Cobra (11° alla 12 Ore di Sebring in coppia con lo statunitense Ed Hugus, secondo nella 500 km di Bridgehampton rivolta alle GT e prima vittoria con la sportiva di Carroll in un evento minore a Lake Garnett) ma non disdegna le altre vetture visto che continua a salire sul gradino più alto del podio di altre corse con la Porsche.
Il 1964 è l’anno del quarto posto a Bridgehampton e del debutto assoluto alla 24 Ore di Le Mans (ritiro, in coppia con lo statunitense Bob Holbert).
La svolta con Ford
La svolta nella carriera di Ken Miles arriva nel 1965 quando Carroll Shelby viene chiamato dalla Ford per gestire il progetto GT40. Ken diventa pilota collaudatore e sorprende tutti con una vittoria al debutto (2000 km di Daytona in coppia con l’americano Lloyd Ruby) e con un secondo posto nella seconda gara disputata con la supercar dell’Ovale Blu (alla 12 Ore di Sebring insieme al neozelandese Bruce McLaren).
Sempre con McLaren arriva terzo alla 1000 km di Monza ma è costretto al ritiro a Le Mans per un problema al cambio. Il tutto in una stagione nella quale il driver inglese riesce a vincere altre corse locali con la Shelby.
1966: un ottimo inizio
Ken Miles inizia alla grande il 1966 con due successi in meno di due mesi (24 Ore di Daytona e 12 Ore di Sebring) in coppia con Ruby.
La 24 Ore di Le Mans 1966
Per la 24 Ore di Le Mans 1966 Ken viene accoppiato al neozelandese Denny Hulme in quanto Ruby viene coinvolto in un incidente aereo poche settimane prima. Miles deve fermarsi ai box al primo giro per chiudere la portiera dopo un contatto con il britannico John Whitmore, alla quarta ora prende il comando della corsa e lo perde due ore più tardi quando comincia a piovere.
Nella notte le Ferrari si ritirano e Ken Miles è saldamente in testa alla gara ma McLaren e Henry Ford II propongono di fare un arrivo in parata con le tre GT40 per scattare una foto che simboleggi la superiorità della Casa americana.
Miles passa per primo all’ultima curva e si fa raggiungere da McLaren, taglia per primo il traguardo per pochi metri ma la vittoria viene assegnata a McLaren e a un altro neozelandese – Chris Amon – in quanto (partiti quarti anziché secondi) hanno percorso più strada nell’arco di 24 ore.
Ken Miles, deluso dall’esito della corsa, continua a lavorare allo sviluppo della vettura e scompare il 17 agosto 1966 sul circuito di Riverside mentre sta testando l’erede della GT40 Mk II.
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La partenza in stile Le Mans

La partenza in stile Le Mans – quella con le auto allineate su un lato della pista e i piloti sull’altro lato che devono raggiungerle di corsa, accomodarsi a bordo, accendere il motore e scattare – è stata usata in tutte le edizioni della 24 Ore di Le Mans disputate tra il 1925 e il 1969 ed è stata recentemente rappresentata al cinema nel film “Le Mans ‘66 – La grande sfida” con Matt Damon e Christian Bale.
Oggi vi racconteremo la storia della partenza in stile Le Mans, una tradizione abolita negli anni ‘70 in quanto troppo pericolosa (negli ultimi anni i piloti per partire prima degli altri non indossavano la cintura di sicurezza e questo portava a incidenti molto gravi nei primi turni della celebre corsa endurance francese). La maggiore sicurezza delle gare sul circuito della Sarthe è dovuta a tre eventi che si verificarono alla fine degli anni ‘60: l’incidente nel 1968 che mise fine alla carriera (e alla vita) di Willy Mairesse e – nel 1969 – la camminata lenta di Jacky Ickx e la morte di John Woolfe.
Partenza in stile Le Mans: la storia
La partenza in stile Le Mans non è nata – come si potrebbe immaginare – con la 24 Ore di Le Mans: le prime due edizioni della corsa di durata transalpina vedono infatti una griglia tradizionale e solo due anni più tardi si decide di optare per una partenza di corsa, con l’aggiunta dell’obbligo di montare la capote prima di partire e di conservarla per almeno 20 giri (regola che favorisce le vetture chiuse e che sarà abolita nel 1928).
Il via dell’edizione del 1932 – entrata nella storia per la prima vittoria di un pilota italiano (Luigi Chinetti sull’Alfa Romeo 8C 2300 in coppia con il francese Raymond Sommer) – viene fatto ripetere più volte in seguito a numerose false partenze.
Gli anni ‘50
Gli anni ‘50 vedono numerosi piloti famosi faticare con la partenza in stile Le Mans: nel 1954 il britannico Ken Wharton ha un lieve contatto al via al volante della Jaguar D-Type e nel 1955 l’argentino Juan Manuel Fangio scatta in ritardo rispetto agli altri con la Mercedes 300 SLR perché i suoi pantaloni si impigliano nella leva del cambio.
Nel 1957 il britannico Stirling Moss (solitamente tra i più veloci a correre fino alla vettura, infilarsi nell’abitacolo, avviare il motore e partire) fatica più del previsto ad accomodarsi nello stretto abitacolo della Maserati 450S Zagato Coupé e due anni più tardi il francese Jean Behra spegne per due volte il motore della sua Ferrari 250 TR/59.
Gli anni ‘60
Negli anni ‘60 la partenza in stile Le Mans inizia a diventare oggetto di dibattito: nel 1960 lo statunitense Masten Gregory dimostra involontariamente che lo start a piedi non è fondamentale in una corsa lunga 24 ore quando – dopo essere scattato tra gli ultimi per problemi tecnici con la Maserati Tipo 60/61 – riesce a conquistare la testa della gara al primo giro dopo aver superato venti vetture.
Il problema della sicurezza diventa sempre più reale: i piloti del primo turno di gara salgono in auto senza allacciarsi la cintura in quanto troppo impegnati ad avviare il motore e ad inserire la prima marcia (per velocizzare la procedura Porsche monterà la chiave sulla sinistra, soluzione ancora oggi presente sui modelli della Casa di Zuffenhausen). Nel 1962 la partenza in stile Le Mans – adottata anche in altre parti del mondo e non solo durante la mitica 24 Ore d’oltralpe – viene vietata dal RAC (l’Automobile Club del Regno Unito) ma bisognerà aspettare la fine del decennio per vedere questa tradizione abolita anche sul circuito della Sarthe.
Cambia l’ordine di partenza
Nel 1963 gli organizzatori della 24 Ore di Le Mans modificano leggermente il regolamento per cercare di aumentare la sicurezza durante la corsa: l’ordine di partenza viene deciso dai tempi ottenuti nelle prove e non più dalla cilindrata dell’auto (la prima pole di sempre la ottiene il messicano Pedro Rodríguez con la Ferrari 330 TRI/LM) e viene “raccomandato” l’uso delle cinture di sicurezza (suggerimento che continua a non essere rispettato dai piloti impegnati nella partenza).
Nel 1964 Phil Hill ha problemi ad avviare la sua Ford GT40 e il britannico David Piper con la Ferrari 250 LM lascia una scia d’olio subito dopo la partenza. Nel 1965, invece, Colin Davis resta fermo a bordo pista per un paio di minuti nel tentativo di avviare il motore della sua Porsche 904/8.
Willy Mairesse
Alla partenza della 24 Ore di Le Mans 1968 il belga Willy Mairesse per la fretta chiude male la portiera della sua Ford GT40. La porta si apre alla fine del rettilineo di Mulsanne e Willy, nel tentativo di richiuderla, perde il controllo della vettura. La sportiva statunitense si schianta contro un albero e Mairesse (che subisce diverse fratture ed entra in coma) mette fine alla sua carriera. Si suiciderà l’anno seguente in un albergo di Ostenda.
La 24 Ore di Le Mans 1969: Ickx e Woolfe
Nella 24 Ore di Le Mans 1969 Jacky Ickx – amico di Mairesse – per protesta contro la partenza in stile Le Mans prende una decisione che cambierà la storia del motorsport: cammina lentamente verso la sua Ford GT40, si accomoda allacciandosi le cinture di sicurezza e parte dopo tutti gli altri. Nonostante questo si aggiudicherà la corsa in coppia con il britannico Jackie Oliver.
L’evento determinante nella scelta degli organizzatori della 24 Ore di Le Mans di abolire questa tradizione è però la morte del britannico John Woolfe al volante della Porsche 917: partito bene (ma senza indossare le cinture), perde il controllo della vettura alla Maison Blanche e viene sbalzato fuori dall’abitacolo. Il neozelandese Chris Amon con la Ferrari 312P centra in pieno il serbatoio della sportiva tedesca: la Rossa prende fuoco ed esplode ma il driver oceanico riesce ad uscire dal veicolo senza un graffio.
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Max Hoffman: molto più di un importatore

Max Hoffman non era un progettista, non era un designer e non era un amministratore delegato di una Casa automobilistica. Nonostante questo è stato uno dei personaggi più significativi dell’automotive del Vecchio Continente.
Questo imprenditore austriaco è stato negli anni ‘50, ‘60 e ‘70 uno degli importatori più rilevanti degli USA ed è grazie a lui che i marchi europei sono riusciti a fare breccia nel cuore degli statunitensi. Ma non solo: quest’uomo, infatti, ha anche contribuito alla creazione di alcune delle sportive più leggendarie di sempre. Scopriamo insieme la sua storia.
Max Hoffman: la biografia
Max Hoffman nasce il 12 novembre 1904 a Vienna (all’epoca nell’Impero austro-ungarico): da ragazzo lavora nell’azienda del padre (riparatore di biciclette), negli anni ‘20 corre come pilota per la Grofri (Casa automobilistica austriaca che produce su licenza le francesi Amilcar) e diventa anche concessionario di questo marchio.
Nel 1934 appende il casco al chiodo e si concentra sulle vendite: prima come dipendente di una società che importa auto americane in Austria e in seguito come imprenditore. Nasce la Hoffman & Huppert, azienda specializzata nell’importazione di Bentley, Delahaye, Rolls-Royce e Volvo.
La guerra
Per sfuggire ai nazisti (il padre è ebreo) Max Hoffman si trasferisce a Parigi e nel 1941 si sposta a New York: durante la Seconda Guerra Mondiale realizza articoli di bigiotteria e alla fine del conflitto torna a concentrarsi sulle automobili.
Nasce la Hoffman Motor Company
Nel 1947 vede la luce la Hoffman Motor Company, società importatrice di autovetture europee: l’anno seguente gestisce le Jaguar per tutta la zona est degli Stati Uniti e nel 1949, colpito dai primi Maggiolini, prova a vendere le Volkswagen negli States.
Crescita continua
Max Hoffman nel 1952 abbandona la Jaguar e punta su altri marchi europei come Alfa Romeo, Austin-Healey, BMW, Fiat, Mercedes e Porsche.
Proprio durante un incontro con Ferry Porsche Hoffman sottolinea la necessità di un logo per identificare meglio le vetture di Zuffenhausen: lo stemma che conosciamo oggi prende forma quel giorno su un tovagliolo.
Nel 1953 Max Hoffman – in una delle poche decisioni errate della sua vita – lascia Volkswagen dopo quattro anni passati, senza successo, a cercare di vendere il Maggiolino agli americani. Il boom arriverà due anni più tardi grazie alla creazione di Volkswagen USA.
1954
Nel 1954 Hoffman apre un esclusivo showroom a New York (e più precisamente su Park Avenue) progettato nientepopodimeno che da Frank Lloyd Wright. Nello stesso anno vedono la luce due sportive leggendarie nate grazie a un suggerimento di Max: la Mercedes 300 SL e la Porsche 356 Speedster.
La prima – quella famosa per le ali di gabbiano – non convince inizialmente i vertici della Stella e solo un ordine di 1.000 esemplari di Max Hoffman li convincerà a cambiare idea. La vettura – presentata addirittura al Salone di New York anziché nei consueti appuntamenti di Ginevra e Francoforte – seduce il pubblico “yankee” al punto che l’80% della produzione va a finire negli Stati Uniti.
La seconda nasce invece quando Hoffman intuisce le potenzialità sul mercato californiano di una variante scoperta ed essenziale della Porsche 356.
Sempre più spider
Tra il 1955 e il 1956 debuttano sul mercato altre tre spider nate da un suggerimento di Max Hoffman: la Mercedes 190 SL, l’Alfa Romeo Giulietta Spider e la BMW 507. Per quanto riguarda quest’ultima è proprio Hoffman a chiedere al designer tedesco Albrecht von Goertz di lavorare sullo stile della vettura.
Solo BMW
Intorno alla metà degli anni ‘60 Hoffman si concentra solo su BMW e cede tutti gli altri brand: l’ultimo modello nato da un suo consiglio è la 2002 del 1968, variante sportiva della serie 02 creata montando un motore 2.0 sotto il cofano della 1600.
Nel 1975, dopo anni di trattative, Hoffman perde anche BMW e si ritira ufficialmente dall’attività. Scompare il 9 agosto 1981.
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Aprilia RS 660, la nuova sportiva media di Noale
La nuova Aprilia RS 660 è una delle novità più interessanti che il mercato 2020 ci propone. È stata presentata a Eicma in veste definitiva e arriverà sul mercato entro la metà del 2020 ad un prezzo che sembrerebbe preannunciarsi inferiore agli 11.000 euro.
Sportiva media non troppo estrema
Ha l’aspetto e la tecnica di una vera sportiva non troppo estrema di media cilindrata, pensata più per un utilizzo stradale che per i track day. Ha un look molto accattivante e moderno, con il cupolino in perfetto stile Aprilia – con il triplo faro che rappresenta se vogliamo un vero e proprio marchio di fabbrica della linea racing – e una coda snella e compatta. È la prima moto della nuova piattaforma di Noale basata sul bicilindrico parallelo da 660 cc: dopo di lei arriveranno la Tuono 660 (già vista a Eicma come concept) e più avanti la Tuareg.
100 CV di potenza
A sottolineare l’aspetto racing della RS 660 ci pensano la carenature e le appendici aerodinamiche che richiamano il mondo delle corse. La base è composta da telaio e forcellone in alluminio leggero, con il propulsore da 100 CV che svolge anche la funzione di elemento portante. Davanti c’è una forcella Kayaba regolabile con steli rovesciati di 41 mm, mentre l’impianto frenante è firmato Brembo con all’anteriore una coppia di dischi in acciaio da 320 mm.
Piattaforma inerziale IMU e APRC
Di primissimo livello è anche il pacchetto elettronico, con la piattaforma inerziale IMU a sei assi che permette all’APRC di gestire al meglio tutti i principali ed evoluti sistemi tecnologici. Due, infine, le varianti cromatiche disponibili al lancio, una con i classici colori del brand di Noale e l’altra total black.
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Audi RS Q8: cugina della Urus

“Per la prima volta nei 25 anni di storia dei modelli Audi RS, abbiamo realizzato un SUV coupé con il DNA di un’autentica sportiva”, con queste parole Oliver Hoffmann, Amministratore Delegato di Audi Sport GmbH, ha presentato in anteprima mondiale, al Salone di Los Angeles 2019, la nuova Audi RS Q8.
V8 4.0 TFSI con sistema mild-hybrid a 48 Volt
Il V8 4.0 TFSI della nuova Audi RS Q8 eroga 600 CV e 800 Nm di coppia tra 2.200 e 4.500 giri/min. Con questo powertrain da super sportiva, la SUV coupé dei Quattro Anelli scatta da 0 a 100 km/h in 3,8 secondi, che diventano 13,7 secondi per raggiungere i 200 km/h. La velocità massima è autolimitata elettronicamente a 250 km/h. Optando per il pacchetto Dynamic plus, a richiesta, è possibile toccare i 305 km/h.
Grazie alla rete di bordo principale a 48 Volt, il V8 biturbo coniuga straordinarie prestazioni ed elevata efficienza. L’alternatore-starter azionato a cinghia (RSG) costituisce il cuore del sistema mild-hybrid (MHEV). Nelle fasi di decelerazione possono essere recuperati sino a 12 kW di potenza: questa energia viene immagazzinata in una specifica batteria agli ioni di litio, da cui viene successivamente veicolata ai dispositivi integrati nella rete di bordo. Qualora il guidatore rilasci il pedale dell’acceleratore a velocità comprese tra 55 e 160 km/h,la nuova RS Q8 è in grado di avanzare per inerzia “in folle” o di veleggiare a motore spento per un massimo di 40 secondi. Secondo Audi, nella guida di tutti i giorni, la tecnologia MHEV riduce i consumi fino a 0,8 litri ogni 100 chilometri.
Al contenimento dei consumi contribuisce in modo decisivo anche la tecnologia COD (cylinder on demand) che disattiva i cilindri 2,3, 5 e 8 ai carichi medi e ridotti, disattivando le fasi d’iniezione e accensione e chiudendo le valvole di aspirazione e scarico. Nel funzionamento a 4 cilindri, la fasatura dei cilindri attivi viene adeguata in funzione della nuova mappa d’erogazione, così da ottenere il massimo rendimento, mentre le camere di combustione inattive vedono i pistoni muoversi senza dissipazioni d’energia. Non appena viene premuto con decisione il pedale dell’acceleratore, i cilindri “spenti” tornano attivi.
L’8 cilindri a V della RS Q8 è abbinato alla trasmissione tiptronic a 8 rapporti con convertitore di coppia, ottimizzata negli innesti, e alla trazione integrale permanente quattro. In condizioni di marcia ordinarie, il differenziale centrale autobloccante ripartisce la coppia secondo il rapporto 40:60 tra avantreno e retrotreno. In caso di perdite d’aderenza, la maggior parte della spinta viene trasferita verso l’assale che garantisce una superiore trazione: in funzione delle condizioni di guida, fino a un massimo del 70% all’avantreno e fino all’85% al retrotreno.
Sospensioni pneumatiche e sterzo integrale
La nuova Audi RS Q8 è inoltre dotata di avanzate soluzioni tecniche che la rendono agile come una vera sportiva, nonostante le sue dimensioni e il suo peso. Un motore elettrico, collocato in corrispondenza di ciascuno degli assali, gestisce l’azione dei due segmenti della barra stabilizzatrice. Durante la guida in rettilineo, i segmenti della barra antirollio vengono separati, con una conseguente attenuazione delle sollecitazioni cui è sottoposto il corpo vettura in presenza di strade sconnesse e un sensibile incremento del comfort. Se, invece, il guidatore adotta uno stile di guida sportivo, le semibarre vengono unite, così da ridurre al minimo il coricamento laterale.
Il pacchetto Dynamic plus, a richiesta, oltre all’incremento della velocità massima include la stabilizzazione antirollio attiva, il differenziale sportivo e i freni carboceramici. Di serie, l’Audi RS Q8 dotta anche lo sterzo integrale. L’assale posteriore, nello specifico, mediante un sistema a vite e tiranti trasversali vede le ruote sterzare – a bassa velocità – in controfase rispetto a quelle anteriori fino a un massimo di cinque gradi. Diversamente, ad andatura media ed elevata, le ruote posteriori sterzano fino a un massimo di 1,5 gradi nella stessa direzione di quelle anteriori, a vantaggio della stabilità della vettura.
Sempre di serie, poi, la nuova Audi RS Q8 adotta cerchi in lega a 10 razze a stella da 22 pollici, equipaggiati con pneumatici 295/40. A richiesta, sono disponibili ruote in lega da 23 pollici a 5 razze a Y in diverse tonalità.
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Mini John Cooper Works GP 2020

Al Salone di Los Angeles 2019 Mini ha svelato la nuova generazione della sua top di gamma più famosa: la John Cooper Works GP 2020. Sarà prodotta e commercializzata a partire dal prossimo anno, con una serie limitata a 3.000 esemplari destinati a tutti i mercati del mondo. In Italia sono già aperte le prevendite per questa che sarà la Mini più potente mai realizzata in serie, con un prezzo fissato a 45.900 euro.
Oltre 300 CV di potenza
Partendo dal cuore pulsante, la nuova Mini John Cooper Works GP è spinta dal quattro cilindri turbo da 2.0 litri in un’inedita variante potenziata in grado di erogare fino a 306 CV tra 5.000 e 6.250 giri e 450 Nm di coppia massima tra 1.750 e 4.500 giri. Questo powertrain permette alla piccola anglotedesca arrabbiata di raggiungere i 100 km/h da ferma in 5,2 secondi e di toccare i 265 km/h di velocità massima. Per la prima volta, inoltre, la Mini John Cooper Works GP verrà proposta unicamente con la trasmissione automatica a otto rapporti, con trazione anteriore e differenziale autobloccante meccanico. Specifici per questa versione sono stati sviluppati anche il sistema di raffreddamento e lubrificazione, il sistema di scarico e l’aspirazione.
Aerodinamica innovativa
Esteticamente la nuova Mini John Cooper Works GP è facilmente riconoscibile soprattutto per il vistoso aero-kit con l’enorme alettone posteriore fisso, montato sul tetto e per gli inediti “spats” montati sui passaruota. Tra gli altri dettagli ci sono le prese d’aria maggiorate e un’apertura sul cofano per il raffreddamento del motore, i passaruota in fibra di carbonio allargati e i cerchi forgiati da 18 pollici con pinze dei freni (a quattro pistoncini all’anteriore) verniciate in rosso.
Anche nell’abitacolo della nuova Mini John Cooper Works GP 2020 si respira un’aria puramente racing, con elementi come i sedili contenitivi, il volante in pelle traforata, le leve del cambio metalliche e le rifiniture specifiche sulla plancia realizzate con tecnica di stampa in 3D. I sedili posteriori e i rivestimenti per l’isolamento acustico sono stati eliminati per risparmiare peso.
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Il gioco automobilistico del Natale 2019? Monopoly Citroën Origins

Sei alla ricerca di un regalo natalizio per un amico o un’amica appassionati del marchio Citroën? Un gioco da tavolo particolare potrebbe fare al caso tuo.
Fra le tante iniziative per festeggiare il suo centenario, che cadeva proprio nel 2019, Citroën ha lanciato anche una nuova linea di prodotti che richiamano i codici grafici della comunicazione degli anni Venti del secolo e che rendono omaggio allo spirito innovativo di André Citroën. L’imprenditore, un innovatore per la sua epoca, fu il primo, per esempio, a realizzare oggetti “brandizzati” per fare in modo che il nome Citroën entrasse nelle case dei francesi, diventando parte della loro quotidianità. Nel 1922 nacquero così i giocattoli con il marchio del Double Chevron: macchinine di diverse dimensioni, la tombola, album da colorare, libri, rompicapo e tanti altri oggetti.
È in scia a questa filosofia che è nata in queste settimane un’edizione 100% Citroën di Monopoly, disponibile nella boutique online lifestyle a partire dalla fine di ottobre.
Si tratta di un’edizione speciale del celebre gioco da tavolo amato da grandi e piccini: ne segue le regole classiche, reinterpretandole però in chiave Citroën. Il percorso sul tabellone è lo stesso ma al posto delle vie i giocatori possono acquistare le vetture Citroën (come 2CV, 5 HP, Traction, Nuovo SUV C5 Aircross e altre ancora). Le stazioni sono sostituite dalle concept car: Activa 1, C-Métisse, GTbyCitroën e CXperience. Al posto dei servizi pubblici, i giocatori trovano una società di carburante e una compagnia assicurativa. Infine, l’imposta sul reddito e la tassa sul lusso diventano un parcheggio a pagamento e un pedaggio autostradale.
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MotoGP, le foto più belle del test di Valencia
Si sono conclusi i test ufficiali della stagione 2020 della MotoGP a Valencia, con i piloti che hanno potuto iniziare a provare alcune componenti in vista del prossimo mondiale. In termini di cronometraggio, Maverick Vinales è stato il più veloce della giornata piazzandosi davanti a Fabio Quartararo (Petronas Yamaha SRT) e a Franco Morbidelli.
Cal Crutchlow e Joan Mir (Team Suzuki Ecstar) hanno chiuso rispettivamente in quarta e quinta posizione. A seguire Alex Rins (Team Suzuki Ecstar), con Marc Marquez settimo. Nono e decimo posto, infine, per Valentino Rossi e Andrea Dovizioso.
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Delahaye Type 165 (1938): bella e impossibile

La Delahaye Type 165 del 1938 è universalmente riconosciuta come una delle auto più belle del mondo: un capolavoro di stile realizzato dalla carrozzeria Figoni et Falaschi e una base tecnica derivata nientepopodimeno che da una vettura da corsa. Due gli esemplari rimasti su sei costruiti: uno appartiene a una collezione privata mentre l’altro è visibile presso il museo Mullin di Oxnard, in California.
Delahaye Type 165 (1938): le caratteristiche principali
La Delahaye Type 165 viene presentata ufficialmente al Salone di Parigi del 1938 e non è altro che la versione stradale della 145 da corsa svelata l’anno prima. Una spider esclusiva carrozzata da Figoni et Falaschi e caratterizzata dalla carenatura di tutte le ruote.
Una seconda vettura priva di motore ma impreziosita da un originale parabrezza abbassabile con una manovella è la protagonista dello stand della Francia all’Esposizione Universale di New York del 1939. Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale interrompe i progetti dell’azienda transalpina, fermatasi a sei esemplari prodotti e carrozzati da Figoni et Falaschi e da Chapron.
Delahaye Type 165 (1938): la tecnica
La Delahaye Type 165 del 1938 ospita sotto il cofano lo stesso motore 4.5 V12 della 145 da corsa opportunamente depotenziato (da 240 a 187 CV).
Delahaye Type 165 (1938): le quotazioni
I due esemplari rimasti della Delahaye Type 165 non sono in vendita: quello appartenente alla collezione privata potrebbe comparire in futuro in qualche asta mentre quello del museo Mullin è destinato a rimanere per sempre un’opera d’arte su quattro ruote da ammirare.
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La Mazda3 è l’auto preferita dalle donne nel 2019

La Mazda3 è stata proclamata “Vincitrice assoluta” della Women’s World Car of the Year 2019. Oltre a ricevere il massimo premio, il modello ha conquistato anche il titolo di Women’s World Family Car of the Year. Istituiti nel 2010, i premi Women’s World Car of the Year vengono assegnati da una giuria di donne provenienti da oltre 30 diversi Paesi, invitate a votare in base ai criteri utilizzati dalle donne nell’acquisto di un’auto.
L’evoluzione del Kodo Design
La Mazda3 adotta l’evoluto linguaggio stilistico Kodo, che incarna l’essenza dell’estetica giapponese. Mentre la silhouette della vettura riproduce un semplice movimento unico, piccole ondulazioni rendono vivo il design attraverso giochi di luce e riflessi che scorrono sulla superficie della carrozzeria. Il risultato è un’espressione di vitalità più naturale e potente rispetto alle precedenti espressioni del linguaggio stilistico della Casa giapponese.
Tecnologia e motorizzazioni all’avanguardia
Il modello adotta la Skyactiv-Vehicle Architecture di Mazda, concepita per aiutare le persone a sfruttare al massimo il loro naturale senso di equilibrio. La gamma dei propulsori comprende i più recenti motori Skyactiv-X, Skyactiv-G e Skyactiv-D. Basandosi sulla sua filosofia di progettazione umanocentrica, Mazda ha ulteriormente affinato le caratteristiche di marcia fondamentali del modello, per rendere completamente naturali le sensazioni in accelerazione, sterzata e frenata.+
Gli altri riconoscimenti
Vincitrice del “Best of the Best” Red Dot 2019, che ne ha riconosciuto lo stile innovativo ed emozionale e premiata con le cinque stelle da Euro NCAP per l’eccellente sicurezza, la Mazda3 coniuga il massimo in termini di design e tecnologia e si dimostra attenta alle esigenze delle donne, che si sentono pienamente a loro agio e in totale controllo quando ne sono alla guida.
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