Category Archives: Auto Classiche

I 50 anni di Alex Caffi

Nel 2014 Alex Caffi compirà 50 anni: nel corso della sua carriera il pilota lombardo – ancora oggi in attività – ha dimostrato, a differenza di altri colleghi più “specializzati”, di andare veloce con qualsiasi mezzo. Ha corso in F1, nei rally, nelle gare endurance e nei rally raid ottenendo sempre risultati interessanti, specialmente a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta: scopriamo insieme la sua storia.Alex Caffi: la biografiaAlex Caffi nasce il 18 marzo 1964 a Rovato (Brescia). Appassionato di moto, inizia la propria carriera nel motocross prima di passare alle quattro ruote. Vince la sua prima corsa – con i kart – nel 1980 e l’anno seguente si cimenta con le Formula 4.I primi successiAlex inizia a farsi notare tra gli addetti ai lavori nel 1983 quando, al secondo anno di Formula Abarth, vince il titolo Under 23. Questo successo gli apre le porte della Formula 3: nel 1984 diventa vicecampione italiano e l’anno successivo conquista addirittura il titolo europeo sul circuito Paul Ricard di Le Castellet (Francia).Il debutto in F1Alex Caffi debutta in F1 nel 1986 quando al volante di una Osella prende parte al GP d’Italia. L’anno seguente affronta l’intera stagione con una vettura tutt’altro che affidabile (13 ritiri in 14 GP, 12° a San Marino in una gara in cui rimane senza benzina) ma si rivela costantemente più veloce dei propri compagni di squadra – lo svizzero Franco Forini e il nostro Gabriele Tarquini – nelle occasioni in cui la scuderia piemontese decide di schierare una seconda monoposto.Il passaggio alla DallaraLa situazione migliora nel 1988 con il trasferimento alla Dallara, vettura che gli consente di ottenere come miglior piazzamento un 7° posto in Portogallo. L’anno successivo ottiene risultati peggiori del compagno Andrea de Cesaris ma riesce comunque a realizzare due exploit: il quarto posto a Monte Carlo e il sesto in Canada.L’avventura Arrows FootworkLa migliore stagione di Alex Caffi in F1 è quella del 1990 con la Arrows: il suo miglior piazzamento è un quinto posto (sempre a Monte Carlo) ma conquista il 16° posto nel Mondiale Costruttori e, soprattutto, è più veloce del coéquipier, un certo Michele Alboreto.Più deludente l’annata seguente, quando il team viene ufficialmente ribattezzato Footwork: resta più veloce di Alboreto e del nuovo compagno Stefan Johansson ma si deve accontentare di un 10° posto in Giappone.La delusione Andrea ModaNel 1992 Alex Caffi viene ingaggiato dalla Andrea Moda ma non riesce a correre: nel primo GP, in Sudafrica, viene rifiutata l’iscrizione alla scuderia mentre nella seconda, in Messico, la vettura non è pronta per gareggiare.Dopo la F1Alex abbandona la F1 ma non il motorsport: nel 1993 partecipa al Mondiale Sport Prototipi con la Mazda mentre nel 1995 affronta il campionato turismo spagnolo al volante di una Opel Vectra.L’enduranceNella seconda metà degli anni Novanta Alex Caffi si concentra sulle gare di durata: nel 1996 (anno in cui si aggiudica la 6 Ore di Vallelunga nel Gruppo N con una BMW M3) e nel 1997 prende parte alla serie nordamericana IMSA mentre l’anno successivo si cimenta nel campionato ISRS.Nel 1999 corre nella American Le Mans Series con la Ferrari 333 SP e disputa la sua prima 24 Ore di Le Mans (l’unica delle tre terminata, 6° posto assoluto) con i connazionali Andrea Montermini e Domenico Schiattarella mentre l’anno successivo affronta senza brillare particolarmente altre prove endurance.Il terzo millennioNel terzo millennio Alex Caffi continua con l’endurance ma le vittorie più importanti arrivano con le storiche: al volante di una Porsche RSR del 1974 porta infatti a casa nel 2004 (anno in cui corre la seconda Le Mans con una Porsche 911 GT3) la 2 Ore del Mugello e sale sul gradino più alto del podio sul circuito Paul Ricard.Il 2005 è l’anno in cui Alex vince una gara in un’altra nuova categoria: con una Lola domina il Trofeo Valle Camonica (6° tappa del Campionato europeo della montagna).Alex Caffi si conferma un pilota versatile anche nel 2006: diventa campione italiano GT2 con una Ferrari F430 in coppia con Denny Zardo e vince il Rally Ronde Camuna con una Peugeot 206 WRC.Nel 2007 corre l’ultima Le Mans con una Spyker C8 e due anni più tardi sale nuovamente sul gradino più alto del podio di un rally aggiudicandosi il Benacus nella classe R3C con una Renault Clio R3.Gli ultimi exploit di Alex Caffi – in attesa di vederlo trionfare ancora in futuro – sono il successo nella classe GT del Driver Rally Show nel 2010 con una Porsche GT3 RS, la seconda vittoria al Trofeo Valle Camonica (non più valido, però, per il campionato europeo della montagna) e – nei rally raid – il trionfo di classe alla Baja Espana Aragon del 2012 con un Unimog.

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Dalla Santamo alla ix20, la storia delle monovolume piccole e compatte Hyundai

Dalla fine del secolo scorso le monovolume piccole e compatte firmate Hyundai rappresentano una soluzione intelligente e conveniente per le famiglie non troppo numerose. La proposta attualmente in listino, la ix20 (strettamente imparentata con la Kia Venga), viene presentata al Salone di Parigi 2010 e conquista il pubblico grazie ad un design riuscito.La gamma motori al lancio comprende due unità a benzina (1.4 da 90 CV e 1.6 da 125 CV) e un 1.4 turbodiesel CRDi da 77 e 90 CV. L’anno seguente debutta in listino un 1.6 turbodiesel CRDi da 115 e 128 CV. Scopriamo insieme la storia delle sue antenate.Hyundai Santamo (1999)La Hyundai Santamo – variante rimarchiata della prima generazione della Mitsubishi Space Runner – inizia ad essere commercializzata nel 1996 ma arriva nel nostro Paese solo nel 1999.Dotata di un solo motore – un 2.0 a benzina da 139 CV – non ottiene un grande successo ed esce di scena già nel 2001.Hyundai Matrix (2002)La Hyundai Matrix si distingue dalle altre proposte di inizio secolo della Casa coreana per il design originale, opera di Pininfarina.La gamma motori al lancio comprende due propulsori a benzina (1.6 da 103 CV e 1.8 da 122 CV) e un 1.5 turbodiesel CRDi da 82 CV. Nel 2005 si aggiunge un 1.5 a gasolio CRDi da 102 CV la cui potenza nel 2006 (anno in cui sparisce l’unità diesel da 82 CV) sale fino a quota 110 CV.Il restyling del 2007 porta una mascherina più estesa mentre l’anno seguente abbandona le scene l’unità 1.8 a benzina.

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Dalla Istana alla Rodius, la storia delle monovolume Ssangyong

Poche monovolume sanno essere spaziose come quelle prodotte dalla Ssangyong: da quasi vent’anni la Casa coreana realizza e mette in commercio vetture tanto ingombranti quanto accoglienti.Il modello attualmente in listino – la seconda generazione della Rodius, presentata al Salone di Ginevra 2013 e in listino dal 2014 – è particolarmente voluminoso: è lungo infatti 5,13 metri, ha un passo di tre metri e accoglie comodamente sette persone e relativi bagagli. Disponibile a trazione posteriore o integrale, ha un design che strizza l’occhio al mondo delle SUV e monta un motore 2.0 turbodiesel Xdi da 155 CV. Scopriamo insieme la storia delle sue antenate.Ssangyong Istana (1995)La Ssangyong Istana rappresenta il primo tentativo della Casa coreana di cimentarsi con le vetture da famiglia. Derivata dal furgone Mercedes MB100 e capace di ospitare fino a 15 persone, monta un motore 2.9 a gasolio.Ssangyong Rodius prima generazione (2004)La prima generazione della Ssangyong Rodius viene svelata nel 2004 ma debutta ufficialmente nel nostro Paese l’anno successivo con un motore 2.7 turbodiesel Xdi da 165 CV e la trazione posteriore o integrale.In Italia è disponibile esclusivamente in configurazione a sette posti ma in altre nazioni viene commercializzata in varianti in grado di accogliere fino a undici passeggeri. Originale – anche se non molto gradevole – il design, che prende spunto dal mondo degli yacht.La Ssangyong Rodius prima serie rimane nei listini italiani fino al 2009: non si vedrà mai nelle nostre concessionarie, tuttavia, il restyling (caratterizzato da un frontale più elegante) presentato due anni prima.

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Ayrton Senna e la Honda NSX all’asta: tutta la verità

In questi giorni si è fatto un gran parlare della Honda NSX di Ayrton Senna che verrà messa all’asta il prossimo 22 febbraio nel Regno Unito da Silverstone Auctions. La verità, però, è che questo esemplare del 1992 con poco più di 51.000 km percorsi non è mai appartenuto ufficialmente al pilota brasiliano e quindi, a nostro avviso, troverà difficilmente un acquirente.Il tre volte campione del mondo F1 possedeva infatti un esemplare identico – nero con interni in pelle nera e cambio manuale – in Brasile mentre guidava questo solo quando si recava nella villa di Sintra, nel nord del Portogallo, del vero proprietario della supercar giapponese: l’imprenditore brasiliano Antonio Carlos de Almeida Braga, suo amico personale.L’assenza di documenti ufficiali che riportino il nome di Ayrton Senna su questa Honda NSX  – dotata di un motore 3.0 V6 a benzina da 286 CV e progettata grazie anche al contributo del driver sudamericano – non aiuta, quindi, a rendere appetibile questo modello. La stessa vettura, oltretutto, era già stata offerta su eBay lo scorso agosto a poco più di 57.000 euro ma l’asta era andata deserta: siamo davvero convinti che fra un mese (con un prezzo stimato ben superiore, circa 100.000 euro) la situazione cambierà?

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Rally ’70: la passione in un libro

Il libro “Rally ’70. Una storia, tante storie” scritto dal giornalista automobilistico Emanuele Sanfront (già autore di “Reparto Corse Lancia”) è un omaggio agli anni d’oro di questo sport, ad un periodo nel quale le auto italiane erano assolute protagoniste.In questo volume di oltre 350 pagine con immagini rigorosamente in bianco e nero – che sarà pubblicato entro fine febbraio dalla casa editrice Ananke (ma è già prenotabile al costo di 22 euro, spese di spedizione comprese) – si trovano numerose testimonianze di persone che hanno vissuto in prima persona le gare degli anni Settanta e Ottanta: meccanici, piloti, copiloti, giornalisti, fotografi, tifosi, collezionisti e creatori di modellini.Il libro “Rally ’70. Una storia, tante storie” contiene inoltre un DVD con il filmato “La lunga corsa” nel quale viene celebrata la stagione agonistica 1975 del Gruppo Fiat, culminata con il secondo titolo Mondiale conquistato dalla Lancia Stratos.La presentazione del volume avverrà l’8 febbraio 2014 alle 12:00 al Padiglione 2 di Automotoretrò presso il Lingotto Fiere di Torino. Nello stand, condiviso con l’associazione “Amici di Nino Fornaca”, saranno presenti due star dei rally anni ’70 – la Lancia Fulvia HF e la Fiat 124 Abarth – e una Mini Cooper degli anni ’60 appartenuta a Enzo Ferrari. In esposizione sarà inoltre possibile ammirare storiche tute Sparco facenti parte della collezione di Francesco Buffi.Si terrà un’altra presentazione del libro “Rally ’70. Una storia, tante storie” il prossimo 1 marzo 2014 alle 11:00 a Milano presso l’Archivio di Stato in via Senato 10.

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Singer Vogue (1961): eleganza british

La Singer Vogue del 1961 non ha niente a che vedere con le macchine da cucire. Questa compatta britannica – appartenente ad un marchio scomparso nel 1970 – sconosciuta nel nostro Paese non è altro che la variante lussuosa della Hillman Super Minx.Singer Vogue (1961): le caratteristiche principaliLa Singer Vogue  – disponibile nelle varianti berlina e station wagon – viene svelata nel 1961 e si distingue dalla “cugina” Hillman nata nello stesso anno per i quattro gruppi ottici anteriori e per un propulsore più potente. La seconda generazione del 1963 ha i freni a disco anteriori di serie.La terza serie – mostrata nel 1964 – offre prestazioni più grintose e una coda meno originale contraddistinta da un terzo finestrino laterale mentre l’ultima evoluzione del 1965 si presenta con un propulsore più grosso.La tecnicaL’unico motore della Singer Vogue nel 1961 è un 1.6 a benzina in grado di generare una potenza di 66 CV, incrementata a 84 in occasione del lancio della terza generazione. In concomitanza con il debutto della quarta serie questa unità beneficia di un aumento di cilindrata (a 1,7 litri) ma non di potenza.Le quotazioniLe quotazioni di questa vettura – introvabile in Italia, più semplice da rintracciare nel Regno Unito – sono particolarmente basse: 3.500 euro. Ė una delle rappresentanti di un segmento scomparso dai nostri listini: quello delle compatte inglesi, vetture capaci di offrire tanta eleganza in dimensioni esterne contenute.

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Mercedes: la storia della Casa tedesca

La Mercedes ha una storia particolare: la Casa tedesca è nata ufficialmente nel 1926 ma le sue radici – molto più profonde – risalgono addirittura a quarant’anni prima. A quando cioè, nel 1886, Karl Benz, inventò la prima automobile dotata di motore a scoppio.Scopriamo insieme l’evoluzione del brand della Stella, simbolo di eleganza ma anche di sportività.Mercedes: la storiaLa Mercedes nasce nel 1926, in seguito alla fusione tra le due Case tedesche Benz e Daimler. Quest’ultima azienda utilizza il nome Mercedes già dal 1902, anno in cui Emil Jellinek – console dell’Impero austro-ungarico a Nizza – ordina 36 vetture da corsa e chiede di poter battezzare i motori (che si rivelano estremamente performanti e vincenti) con il nome della figlia.Il capoprogettista della Daimler – un certo Ferdinand Porsche – viene assunto nella nuova azienda ma la abbandona nel 1929 per divergenze con la dirigenza. Nel 1931 viene presentata la 170 W15: la prima auto di serie con sospensioni a quattro ruote indipendenti.Il nazismo e il dieselLa salita al potere di Adolf Hitler, nel 1933, porta diversi vantaggi alla Mercedes e alle altre Case automobilistiche tedesche: la riduzione delle tasse sull’acquisto di mezzi a quattro ruote, ad esempio, regala nuova linfa al mercato. Nel 1934 arriva la prima vittoria sportiva importante (il tedesco Rudolf Caracciola e il nostro Luigi Fagioli a Monza) e la 260D – svelata nel 1936 – è la prima auto di serie dotata di un motore diesel.Durante la Seconda Guerra Mondiale la produzione della Casa della Stella viene convertita a scopi militari ma nel 1944 gli stabilimenti più importanti vengono distrutti dai bombardamenti alleati.La rinascitaDopo il conflitto la Mercedes impiega un po’ di tempo per riprendersi: nel 1946 produce e vende un solo modello – la 170V  – mentre tre anni più tardi torna in commercio il motore a gasolio con la 170D.La 300 del 1951 diventa famosa come auto di rappresentanza del cancelliere della Germania Ovest Konrad Adenauer e nel 1953 è la volta del debutto della scocca portante con la 180.Lo sportNel 1954 la Mercedes 300 SL (stesso nome della vettura vincitrice due anni prima della 24 Ore di Le Mans e della Carrera Panamericana) rivoluziona il mondo delle sportive: merito del design originale e seducente (caratterizzato dalle porte ad ali di gabbiano) e di un innovativo motore ad iniezione diretta di benzina. Nello stesso anno il pilota argentino Juan Manuel Fangio diventa campione del mondo con una vettura della Casa tedesca, successo ripetuto nel 1955.I legami con l’Auto UnionLa Casa della Stella nel 1958 acquista il pacchetto di maggioranza della Auto Union con l’obiettivo di conquistare le fasce di mercato più economiche: la decisione non è tra quelle più azzeccate e il marchio di Ingolstadt viene ceduto alla Volkswagen tra il 1965 e il 1966.La sicurezzaAlla fine degli anni Cinquanta – e più precisamente nel 1959 – la Mercedes inventa (grazie all’ingegnere ungherese Béla Barenyi) la scocca a deformazione programmata, elemento chiave per la sicurezza di tutte le automobili moderne, e introduce questa soluzione sul modello W111. Risale allo stesso anno il tentativo, non riuscito, di acquistare la BMW.Gli anni Sessanta e SettantaGli anni Sessanta sono caratterizzati da due modelli epocali, entrambi svelati nel 1963: la berlinona 600 e la seconda generazione della spider SL.Nel decennio successivo – contraddistinto dal debutto della prima classe S della storia (l’unica Mercedes nominata Auto dell’Anno, nel 1974) – la scelta di nominare (nel 1975) il designer friulano Bruno Sacco responsabile dello stile rende le vetture della Stella più sexy e meno banali.La 300SD del 1977 è la prima automobile di serie dotata di un propulsore turbodiesel mentre nel 1979 – anno in cui debutta l’ABS in Europa (come optional) – nasce una vettura destinata a diventare un’icona nel mondo delle 4×4: la classe G.Gli anni Ottanta e NovantaI modelli più interessanti presentati dalla Mercedes negli anni Ottanta sono la 190 del 1983 (all’epoca la vettura più piccola mai prodotta dalla Casa tedesca) e la quarta serie della SL del 1989, ancora oggi una delle più belle auto mai realizzate dal brand di Stoccarda.Negli anni Novanta si assiste ad un ampliamento della gamma: nel 1996 viene lanciata la spider SLK e l’anno seguente tocca alla rivoluzionaria piccola monovolume classe A e alla SUV classe M. Nel 1998 è la volta dell’accordo con la Chrysler.Questo decennio è caratterizzato anche da un ritorno vincente della Mercedes nelle corse: tra il 1991 e il 1995 conquista quattro titoli costruttori nel campionato turismo tedesco DTM e uno nella serie mondiale ITC, fornisce motori alla McLaren e nel biennio 1997-1998 si aggiudica due titoli FIA GT nella categoria GT1 con la CLK.Il terzo millennioGli anni Duemila si aprono male per Mercedes per via degli scarsi risultati di vendite della Chrysler, ceduta nel 2007. Per risollevare la situazione nel 2010 arriva una nuova alleanza con il gruppo Renault-Nissan.La gamma di modelli si allarga ulteriormente con il lancio delle supercar SLR (nel 2003) e SLS (nel 2010) e della SUV compatta GLK (2009).

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Mercedes classe A, 3 generazioni in foto: storia e futuro della piccola con la stella

La terza generazione della Mercedes classe A sarà molto diversa dai modelli che l’hanno preceduta e molto simile alla Concept classe A presentata lo scorso aprile al Salone di Shanghai: una compatta sportiva a tre porte (sempre a trazione anteriore) che punterà a rubare clienti a Opel Astra GTC, Renault Mégane Coupé e Volkswagen Golf.I suoi punti di forza? La Stella sul cofano, una carrozzeria accattivante, degli interni ispirati ai jet e un motore 2.0 turbo a iniezione diretta di benzina da 210 CV abbinato a un cambio automatico a doppia frizione.Una vettura lontana anni luce dalla filosofia che ha da sempre caratterizzato il modello più economico della Casa di Stoccarda: un’auto che ha saputo conquistare un pubblico (specialmente femminile) desideroso di praticità ma anche di eleganza.Il debuttoLa prima Mercedes classe A nasce nel 1997: è una piccola monovolume che offre in soli 3,61 metri di lunghezza (quanto una Renault Twingo, giusto per rendere l’idea) tanto spazio per i passeggeri e le valigie.La ricca gamma motori comprende unità a quattro cilindri benzina e turbodiesel da 1,4 a 2,1 litri (da 60 a 140 CV).Alti e bassi per quanto riguarda la sicurezza: in caso di urto il propulsore scivola sotto il pianale invece di penetrare nell’abitacolo ma poco prima del lancio sul mercato la rivista svedese Teknikens Värld scopre che la vettura si ribalta durante il test dell’alce (scartamento improvviso di un ostacolo).I primi 2.600 esemplari vengono richiamati e su tutta la gamma vengono irrigidite le sospensioni e aggiunto di serie l’ESP (il controllo elettronico di stabilità).Il primo restyling della Mercedes classe A risale al 2001: poche modifiche estetiche e tante tecniche. Arriva la versione Lunga: il passo cresciuto di 17 cm porta a 3,78 metri (come una Nissan Micra) l’ingombro longitudinale. La sua carriera termina nel 2004 dopo oltre un milione di esemplari prodotti.La seconda serieLa seconda serie del 2004 è un’auto più matura: più lunga (3,88 metri) ma soprattutto più larga di prima, presenta una plancia meno giocosa e più raffinata.Debutta una versione sportiva a tre porte (poco apprezzata dal pubblico) e la gamma dei propulsori è più completa: ci sono quattro unità a benzina (1.5 da 95 CV, 1.7 da 116 CV e 2.0 da 136 e 193 CV) e un 2.0 turbodiesel CDI da 82, 109 e 140 CV.Il restyling del 2008 serve solo a rinfrescare una vettura talmente amata da essere ancora oggi una delle MPV più vendute nel nostro Paese.Il futuroOrfani delle monovolume Mercedes? Non temete.La seconda generazione della classe B, in listino da qualche settimana (prezzi compresi tra 24.353 e 32.390 euro) e con una gamma motori che comprende due 1.6 a benzina da 122 (180) e 156 CV (200) e due 1.8 turbodiesel CDI da 109 (180) e 136 CV (200), può fare al caso vostro.La nuova Mercedes classe A sarà invece rivolta agli amanti delle prestazioni e del divertimento.

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J Mays: il padre del design retrò

J Mays può essere considerato il padre della filosofia retrò che ha imperversato nel car design degli ultimi vent’anni: nel corso della sua carriera l’ex responsabile dello stile Ford – da pochi giorni in pensione – ha infatti rivisto in chiave moderna diverse icone dell’automobilismo come la Volkswagen Maggiolino e due sportive dell’Ovale Blu (la GT e la Thunderbird). Scopriamo insieme la sua storia.J Mays: la biografiaJ Mays nasce il 15 ottobre 1954 a Pauls Valley (USA) e si appassiona fin da piccolo al mondo delle quattro ruote visto che la sua famiglia gestisce un negozio di autoricambi. Dopo il diploma si laurea a 26 anni in Transportation Design all’Art Center College of Design di Pasadena.Il trasferimento in GermaniaJ inizia la propria carriera in Germania: viene assunto dall’Audi per occuparsi del design degli esterni e contribuisce alla realizzazione della berlina 80 B3 (1986). Nel 1983 si trasferisce temporaneamente alla BMW (l’ammiraglia serie 5 E34 del 1988 e la coupé serie 8 del 1989 sono anche opera sua) ma dopo poco ritorna nella Casa dei quattro anelli.Ad Ingolstadt J Mays collabora anche con la Volkswagen intervenendo sullo stile della Golf III (1993) ma i suoi lavori più rilevanti di quel periodo sono firmati Audi: interviene sull’ammiraglia 100 C4 del 1991 e nello stesso anno realizza la sexy concept Avus.Ritorno negli USANel 1989 Mays viene chiamato al centro stile californiano della Volkswagen: qui realizza la Concept 1 del 1994 (da cui deriverà la New Beetle)  mentre nel 1993 torna nuovamente in Germania dove viene nominato responsabile design Audi.Il passaggio in FordJ Mays passa alla Ford nel 1997 con il ruolo di responsabile del design per tutti i marchi del Gruppo: tra le sue creazioni più note per la Casa dell’Ovale Blu segnaliamo la supercar GT (2004) e le ultime generazioni della cabriolet Thunderbird (2002), della piccola Fiesta (2008) e della compatta Focus (2011). Passando ad altri brand è impossibile non citare l’originale SUV Land Rover Discovery 3 (2004).

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Giovanna Amati, l’ultima donna in F1

L’ultima donna a correre in F1 è stata Giovanna Amati. La pilota romana ha partecipato a tre GP nel 1992 ma non è mai riuscita a qualificarsi: scopriamo insieme la storia di questa donna, nota anche per altre vicende extra-automobilistiche.Giovanna Amati: la biografiaGiovanna Amati nasce il 20 luglio 1959 a Roma. Suo padre è Giovanni Amati – proprietario di numerose sale cinematografiche nella Capitale – mentre la madre è l’attrice Anna Maria Pancani.Rapimento e riscattoIl 12 febbraio 1978 viene rapita dalla banda dei Marsigliesi allo scopo di ottenere il riscatto dal padre e viene stuprata dal leader Daniel Nieto, del quale successivamente si innamora.Giovanna Amati viene rilasciata dopo 75 giorni di prigionia in seguito al pagamento di un riscatto di 800 milioni di vecchie lire, Nieto viene arrestato pochi giorni dopo in Via Veneto durante un appuntamento romantico con la sua vittima.Il mondo delle corseGiovanna debutta nel mondo del motorsport all’inizio degli anni Ottanta: nel 1981 corre in Formula Abarth mentre nel 1985 passa al campionato italiano di F3. Nel 1987 si cimenta in F3000.Nel 1989 Giovanna Amati prende parte – senza successo – al campionato giapponese di F3000 e l’anno seguente torna ad affrontare la serie internazionale ottenendo come miglior risultato in questa categoria un 7° posto a Le Mans nel 1991.  Alla fine della stagione ha l’opportunità di testare una Benetton di F1.La F1Giovanna debutta ufficialmente in F1 nel 1992 quando viene ingaggiata dalla Brabham. Partecipa ai primi tre GP della stagione, prima di essere sostituita da un certo Damon Hill, ma non riesce mai a qualificarsi terminando sempre in 30° posizione e rimediando distacchi abissali dal compagno di scuderia, il belga Eric Van De Poele (quasi quattro secondi in Sudafrica, quasi tre in Messico e addirittura quasi sei in Brasile).Oltre la F1Terminata la deludente esperienza nel Circus Giovanna Amati continua a correre in altre categorie: si aggiudica il titolo europeo femminile nella Porsche SuperCup e tra il 1994 e il 1996 prende parte al Ferrari Challenge.Dopo un anno sabbatico ritorna alle corse nel 1998: gareggia nel monomarca del Cavallino, nell’International Sports Racing Series e partecipa alla 12 Ore di Sebring al volante di una BMW M3.Il risultato più rilevante nella carriera di Giovanna Amati arriva nella stagione 1999 della Sports Racing World Cup quando grazie a due successi di categoria al Nürburgring e a Magny-Cours al volante di una Tampolli motorizzata Alfa Romeo ottiene il terzo posto assoluto nel campionato SR2.

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