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Renault Alpine A442B: l’ultima vittoria tutta francese a Le Mans

La Renault Alpine A442B è uno dei simboli della “grandeur” francese: questa vettura, infatti, conquistò la 24 Ore di Le Mans nel 1978 con piloti (Jean-Pierre Jaussaud e Didier Pironi) e pneumatici (Michelin) transalpini. Un evento – mai più ripetuto da nessun’altra nazione – che non si verificava dalla prima edizione della più importante corsa di durata del mondo, nel 1923. Scopriamo insieme la storia di questa sportiva.Renault Alpine A442B: la storiaLa Renault Alpine A442B non è altro che un’evoluzione della Renault Alpine A442, nata nel 1976 (anno in cui la Alpine viene acquistata dalla Régie) per conquistare la 24 Ore di Le Mans ma reduce da due ritiri nel 1976 e nel 1977.Dotata di un telaio in alluminio rinforzato con elementi in acciaio e di una carrozzeria in vetroresina, monta un motore 2.0 V6 sovralimentato con potenze comprese tra 496 e 503 CV. La A442B si distingue dalla A442 per la presenza di un curioso parabrezza avvolgente a forma di bolla che consente di migliorare l’aerodinamica e di incrementare la velocità in rettilineo. Molti piloti, però, non apprezzano la scarsa visibilità e la sensazione di claustrofobia all’interno dell’abitacolo.La 24 Ore di Le Mans 1978In occasione della 24 Ore di Le Mans del 1978 la Renault Alpine schiera un solo esemplare di A442B, affidato ai driver transalpini Didier Pironi e Jean-Pierre Jaussaud, e affiancato da due A442 e da una A443 (un’evoluzione della A442B più pesante di 30 kg, dotata di un passo più lungo di 15 cm e di un propulsore 2.1 da 520 CV).Quest’ultima vettura – guidata da Jean-Pierre Jabouille e da Patrick Depailler – balza subito al comando della gara e per 18 ore, prima di essere costretta al ritiro, forza il ritmo per spingere le Porsche a sollecitare il motore più del dovuto. La tattica funziona, le vetture di Zuffenhausen accusano problemi tecnici e la A442B trionfa con cinque giri di vantaggio sulla seconda classificata: una Porsche 936/78 guidata dal trio composto dal tedesco Jürgen Barth, dal belga Jacky Ickx e dal francese Bob Wollek.

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Le mille doti di W. O. Bentley

Walter Owen Bentley (meglio noto come W. O. Bentley) è noto per aver fondato la Casa automobilistica che ancora oggi porta il suo cognome. Tuttavia nel corso della sua (lunga) vita questo ingegnere (nonché progettista e imprenditore) britannico ha realizzato tante altre cose: scopriamo insieme la sua storia.W. O. Bentley, la biografiaW. O. Bentley nasce il 16 settembre 1888 ad Hampstead (Regno Unito). Appassionato di treni fin da ragazzo, lascia gli studi a 16 anni per lavorare come apprendista ingegnere alla Great Northern Railway a Doncaster. In questa azienda impara a progettare componenti meccaniche e dopo cinque anni viene assunto come fuochista. Poco tempo dopo, però, decide di abbandonare il settore ferroviario per concentrarsi sulle automobili.Le automobiliDopo aver studiato ingegneria presso il King’s College di Londra Walter si occupa per breve tempo di gestire una flotta di 250 vetture di una compagnia di taxi. Nel 1912 fonda insieme al fratello Horace Millner Bentley la “Bentley and Bentley”, specializzata nella commercializzazione di vetture della Casa francese DFP.Per incrementare le vendite di questo brand W. O. Bentley decide di puntare sulle competizioni: elabora i motori di questi veicoli adottando diverse soluzioni tecniche tra cui i pistoni in lega di alluminio e ottiene diversi record di velocità prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale.La Prima Guerra MondialeDurante la Prima Guerra Mondiale la tecnologia dei pistoni in lega di alluminio (più affidabili e in grado di sopportare velocità elevate) viene utilizzata in ambito militare e più precisamente sui motori aeronautici: Rolls-Royce e Sunbeam decidono di adottare la soluzione di Walter, che nel frattempo realizza il propulsore BR.1, un’evoluzione (oltretutto meno costosa da produrre) del Clerget 9B.Nasce la BentleyLa Casa automobilistica Bentley – fondata da W. O. insieme al fratello Horace – vede la luce nel gennaio del 1919. Il primo motore viene completato nel mese di ottobre mentre bisogna aspettare il 1921 per vedere la prima vettura del brand: la 3 Litre, dotata di un motore 3.0 a quattro cilindri.Questo modello – tanto veloce (160 km/h) quanto pesante – conquista due edizioni della prestigiosa 24 Ore di Le Mans, nel 1924 e nel 1927, ma non impedisce alla Casa britannica di entrare in crisi. Nel 1926 Walter cede la maggioranza delle azioni della sua società al pilota e imprenditore britannico Woolf “Babe” Barnato ma continua a lavorare in azienda come impiegato.Vetture più potentiNella seconda metà degli anni Venti W. O. Bentley continua a progettare automobili per la Casa automobilistica da lui fondata: nel 1926 è la volta della 6 1/2 Litre – con un motore 6.5 a sei cilindri – mentre l’anno successivo tocca alla 4 1/2 Litre (propulsore 4.4 a quattro cilindri), che nel 1928 si aggiudica la terza 24 Ore di Le Mans del marchio britannico. La Speed Six, variante sportiva della 6 1/2 Litre, trionfa in due occasioni (1929 e 1930) nella celebre corsa di durata francese.La seconda crisiLa Bentley si ritrova nuovamente in crisi all’inizio degli anni Trenta a causa della Grande Depressione: la Napier & Son (Casa automobilistica inglese attiva anche nella produzione di motori aeronautici) tenta di acquistarla ma l’offerta di questa società viene superata all’ultimo momento da quella della Rolls-Royce.L’azienda britannica è obbligata dal tribunale a mantenere fino al 1935 W. O. Bentley ma gli affida ruoli di secondo piano: rapporti con la clientela e collaudi di veicoli.La LagondaNella seconda metà del decennio Walter diventa direttore tecnico della Lagonda e nel 1937 progetta un motore 4.5 V12 da 182 CV. Durante la Seconda Guerra Mondiale si occupa di forniture militari e al termine del conflitto lavora su un nuovo propulsore a sei cilindri in linea: un 2.6 da 106 CV che inizia ad essere commercializzato nel 1948.L’Aston MartinNel 1948 la Lagonda viene acquistata dall’imprenditore britannico David Brown, che decide di montare il sei cilindri progettato da W. O. Bentley sulla nuova Aston Martin (marchio acquistato dallo stesso Brown l’anno prima) DB2, svelata nel 1950.Gli ultimi anniNella prima metà degli anni Cinquanta Walter progetta il suo ultimo motore per il marchio “british” Armstrong Siddeley. Scompare a Woking (Regno Unito) il 13 agosto 1971.

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Vittorio Jano, il più grande progettista italiano

Vittorio Jano è ancora oggi considerato uno dei più grandi progettisti automobilistici italiani, forse il più grande in assoluto. Ha realizzato le auto da corsa più veloci degli anni ’20 e ’30 e successivamente è passato ai modelli di serie risultando altrettanto geniale. Scopriamo insieme la sua storia.Vittorio Jano, la biografiaVittorio Jano nasce il 22 aprile 1891 a San Giorgio Canavese (Torino). Dopo aver conseguito il diploma tecnico viene assunto nel 1909 dalla Casa automobilistica piemontese STAR. Due anni più tardi si trasferisce alla Fiat: inizia la propria carriera in questa azienda come disegnatore, successivamente si occupa della progettazione di vetture di serie e in un secondo tempo partecipa attivamente alla realizzazione dei modelli da corsa.Le soddisfazioni più importanti con questo brand arrivano all’inizio degli anni ’20: nel 1922 le 804 conquistano i due GP più importanti della stagione (quello di Francia con Felice Nazzaro e quello d’Italia con Pietro Bordino) mentre l’anno seguente Carlo Salamano trionfa a Monza con la 805/405.L’Alfa RomeoNel 1923 – pochi giorni dopo il successo Fiat a Monza – Vittorio Jano riceve una visita da Enzo Ferrari, all’epoca pilota e collaudatore Alfa Romeo, che gli chiede di trasferirsi a Milano per diventare responsabile dell’ufficio progettazione della Casa del Biscione.Il tecnico piemontese accetta la proposta e si concentra immediatamente sul motore 2.0 a otto cilindri della P2: questa vettura debutta in gara nel 1924 portando a casa il GP di Francia con Giuseppe Campari e quello d’Italia con Antonio Ascari e l’anno successivo si aggiudica addirittura il campionato del mondo grazie ai successi di Ascari in Belgio e di Gastone Brilli-Peri in Italia.Questi trionfi, ottenuti grazie a Vittorio Jano, trasformano l’Alfa Romeo nel marchio italiano più vincente nel motorsport e costringono la Fiat a ritirarsi dalle competizioni.Le 6CNel 1927 inizia la produzione della seconda Alfa progettata da Jano: la 6C 1500, un’auto da corsa più compatta e leggera. La versione Sport Spider Zagato guidata da Campari conquista la Mille Miglia del 1928.Nel 1929 è invece la volta della più potente Alfa Romeo 6C 1750, considerata il capolavoro di Vittorio Jano: le versioni di serie conquistano gli automobilisti facoltosi che cercano prestazioni ed eleganza mentre quelle da gara dominano nel motorsport portando a casa due Mille Miglia (1929 con Campari e 1930 con Tazio Nuvolari).Gli anni TrentaNegli anni Trenta Jano continua a progettare automobili ma si occupa anche di sviluppare motori destinati agli aerei. In questo decennio le vetture sviluppate dal tecnico torinese trionfano ovunque: tra il 1930 e il 1938 arrivano otto Mille Miglia, sei vittorie alla Targa Florio, quattro successi alla 24 Ore di Le Mans e due campionati europei nella categoria Grand Prix.Il ritiro ufficiale dalle corse dell’Alfa Romeo nel 1933, unito all’arrivo del nuovo direttore generale Ugo Gobbato, non è una buona notizia per Vittorio Jano. Il progettista piemontese, molto accentratore, si ritrova progressivamente con meno poteri e nel 1937 decide di lasciare la Casa del Biscione per la Lancia.La LanciaIn Lancia Jano si ritrova a realizzare numerosi progetti per vetture di serie: sue sono la Ardea (1939), il camion Esatau (1947) e la Aurelia (1950).Alla fine del 1954 debutta la D50, prima e unica monoposto di F1 della Casa torinese. La vettura, realizzata da Vittorio Jano, è molto innovativa (serbatoi laterali, baricentro più basso rispetto alle rivali, peso contenuto) ma anche molto fragile. Il 27 marzo 1955 ottiene la prima vittoria al GP del Valentino (corsa non valida per il Mondiale) con Alberto Ascari e pochi giorni dopo Vittorio abbandona il marchio piemontese rimanendo consulente tecnico.La morte di Ascari nel maggio 1955 mette fine all’avventura Lancia nel Circus: le monoposto vengono cedute gratuitamente alla Ferrari e la Casa di Maranello ingaggia Jano come consulente.La morteVittorio Jano muore suicida a Torino il 13 marzo 1965 dopo aver scoperto di essere malato di cancro.

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Michio Suzuki, dai telai alle auto

Michio Suzuki, fondatore della Casa automobilistica e motociclistica che ancora oggi porta il suo cognome, è il classico esempio di “self made man” alla giapponese. Ha creato un impero partendo da zero e dopo aver iniziato nel settore tessile ha deciso di concentrarsi sul mondo dei motori: scopriamo insieme la sua storia.Michio Suzuki, la biografiaMichio Suzuki nasce il 10 febbraio 1887 nel piccolo villaggio rurale di Nezumino (Giappone), composto da sole 32 case. Secondo figlio di una famiglia di agricoltori, aiuta i genitori a raccogliere cotone già da bambino e cresce in mezzo ai telai.Nell’adolescenza inizia a prendere in considerazione l’idea di diventare un imprenditore tessile ma per guadagnare soldi lavora per sette anni come apprendista in un’azienda del settore svolgendo anche le mansioni più umili.Mettersi in proprioMichio si mette in proprio nel 1908, quando termina il periodo di apprendistato. L’anno seguente crea la Suzuki, azienda specializzata nella produzione di telai: i macchinari prodotti dalla sua società, superiori a quelli della concorrenza, conquistano rapidamente il mercato nipponico negli anni ’10.Gli anni Venti e TrentaNegli anni Venti l’impresa creata da Michio Suzuki si espande e nel 1929 inizia ad esportare addirittura all’estero grazie ad un nuovo telaio brevettato. Nel decennio successivo – in seguito all’uscita del Giappone (nel 1932) dalla Società delle Nazioni – il manager nipponico vede diminuire drasticamente i propri affari a causa della riduzione delle esportazioni e decide quindi di differenziare la propria attività puntando sul mercato locale e sui veicoli a motore: inizia con le biciclette dotate di un propulsore termico, successivamente sviluppa le motociclette e nel 1937 realizza il primo prototipo di un’automobile.La Seconda Guerra Mondiale e le prime autoLa Seconda Guerra Mondiale interrompe l’attività della Suzuki. Negli anni Cinquanta la Casa nipponica si riprende e realizza la sua prima automobile – la Suzulight – nel 1955.Gli ultimi anniMichio Suzuki attraversa buona parte della storia dell’azienda da lui fondata: riesce a vedere il suo brand diventare il secondo costruttore automobilistico nipponico, costruire i primi piccoli fuoristrada e iniziare a vendere i propri veicoli addirittura negli USA. Muore nel 1982 ad Hamamatsu (Giappone), l’anno prima il 5,3% delle azioni della sua società viene acquistato dalla General Motors.

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Louis Chevrolet, pilota e imprenditore

Louis Chevrolet è noto per aver contribuito a fondare la Casa automobilistica che ancora oggi porta il suo nome ma nel corso della sua vita ha avuto modo di incidere anche in altri modi nella storia delle quattro ruote. Scopriamo insieme la sua biografia.Louis Chevrolet: la storiaLouis Chevrolet nasce il 25 dicembre 1878 a La Chaux-de-Fonds (Svizzera) ma già all’età di sette anni si trasferisce in Francia, più precisamente in Borgogna. Appassionato fin da bambino di meccanica, inizia a lavorare a diciassette anni in un’officina locale.L’AmericaNel 1899 si trasferisce a Parigi ma poco dopo abbandona l’Europa per cercare fortuna in America. Nel 1900 lavora in Canada – a Montreal – come meccanico e l’anno successivo si trasferisce negli USA, a New York.Nella Grande Mela Louis Chevrolet trova inizialmente lavoro presso una società di ingegneria diretta da un imprenditore svizzero e successivamente si occupa degli affari statunitensi della Casa transalpina de Dion-Bouton, all’epoca una delle più importanti del mondo.Diventare pilotaNel 1905 viene assunto dalla Fiat come pilota e successivamente passa alla Buick: nell’azienda statunitense ha modo di conoscere il proprietario – William C. Durant – e di imparare a progettare automobili.Nasce la ChevroletIl 3 novembre 1911 Louis fonda a Detroit, insieme a Durant e ad altri investitori, la Chevrolet. L’avventura del pilota elvetico (diventato nel frattempo cittadino statunitense) nella nuova azienda termina però già nel 1915, quando in seguito a divergenze di opinione con gli altri soci vende la sua quota societaria a Durant.La FrontenacNel 1916 Louis crea insieme ai suoi fratelli la Frontenac, ditta specializzata nella produzione di parti sportive per la Ford T. Nello stesso anno vede la luce nel New Jersey la American Motors Corporation, che vede Chevrolet come vicepresidente e capo ingegnere: la società sparisce negli anni Venti.La carriera come pilota e gli ultimi anniIl miglior risultato ottenuto da Louis Chevrolet come pilota arriva nel 1919, quando si piazza al settimo posto nella prestigiosa 500 Miglia di Indianapolis. Negli anni Venti abbandona il mondo delle corse e quello dell’imprenditoria e scompare il 6 giugno 1941 a Detroit (USA).

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Dindo Capello, 50 anni di successi

Rinaldo Capello – meglio conosciuto con il soprannome “Dindo” – non è molto noto tra chi si professa appassionato di motorsport ma in realtà segue solo la F1. Questo pilota piemontese, infatti, non ha mai corso un GP iridato al volante di una monoposto ma è uno dei driver italiani più vincenti nell’endurance. Ha trionfato più volte nelle gare di durata più importanti e oggi – a cinquant’anni – è un imprenditore di successo. Scopriamo insieme la sua storia.Dindo Capello: la biografiaDindo Capello nasce il 17 giugno 1964 ad Asti. Dopo aver mosso i primi passi – come la stragrande maggioranza dei suoi colleghi – sui kart debutta a 19 anni al volante di una monoposto nel campionato Formula Fiat Abarth.Nel 1985 sale di livello e affronta il campionato italiano di Formula 3: gareggia in questa categoria fino alla fine del decennio ottenendo numerose vittorie ma senza tuttavia portare a casa il titolo.Le ruote coperteLa svolta per Dindo Capello arriva nel 1990 con il passaggio alle ruote coperte: diventa campione nazionale turismo Gruppo A con una Volkswagen Golf e l’anno successivo viene ingaggiato dall’Audi. Corre numerose gare – anche in Germania – e nel 1996 ottiene il risultato più importante, diventando campione italiano Superturismo con la A4.L’enduranceLe maggiori soddisfazioni arrivano nella categoria Endurance: debutta alla 24 Ore di Le Mans nel 1998 con una McLaren F1 in un equipaggio composto dal tedesco Thomas Bscher e dal nostro Emanuele Pirro e dal 1999 decide di impegnarsi a tempo pieno in questa disciplina con l’Audi.Il primo successo rilevante nelle gare di durata per Dindo Capello arriva nel 2000 con la vittoria alla Petit Le Mans insieme a Michele Alboreto e al britannico Allan McNish mentre nel 2001 e nel 2002 è la volta dei due trionfi consecutivi alla 12 Ore di Sebring: il primo con Alboreto e il francese Laurent Aïello, il secondo con il britannico Johnny Herbert e il nostro Christian Pescatori.Le MansIl 2003 è l’anno della prima vittoria alla 24 Ore di Le Mans, con una Bentley, insieme al danese Tom Kristensen e al britannico Guy Smith. Il successo si ripete l’anno seguente sempre con Kristensen ma con un’Audi e con un nuovo compagno di squadra: il giapponese Seiji Ara.Il DTM e il ritorno alle gare di durataDopo una parentesi deludente nel DTM (0 punti) con l’Audi A4 nel 2005 Dindo Capello torna nel 2006 nell’endurance ottenendo subito risultati impressionanti: vince a Sebring con Kristensen e McNish e insieme a quest’ultimo si aggiudica il campionato American Le Mans Series (trionfo, quest’ultimo, ripetuto anche l’anno successivo).L’ultima Le Mans e la fine della carrieraNel 2008 Dindo Capello sale per la terza e ultima volta sul gradino più alto del podio della 24 Ore di Le Mans insieme a Kristensen e McNish e con i due coéquipier porta a casa anche la 12 Ore di Sebring (successo ottenuto anche nel 2009).Il trio anglo-italiano-danese trionfa anche negli States nel 2012: in quell’anno Dindo decide di abbandonare il mondo delle corse per concentrarsi sulla gestione delle sue quattro concessionarie Audi sparse per il Piemonte.

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Lancia Stratos, icona dei rally

La Lancia Stratos ha rivoluzionato il mondo dei rally: è stata la prima auto progettata appositamente per questo sport, la prima a vincere il Mondiale Piloti ed è grazie a lei che la Casa torinese ha conquistato ben cinque titoli iridati. Scopriamo insieme la storia di questo “mostro” e dei suoi trionfi.Lancia Stratos: la storiaLa storia della Lancia Stratos inizia al Salone di Torino del 1970 quando il carrozziere Bertone, nel tentativo di farsi commissionare dei lavori dalla Casa torinese, presenta il prototipo Stratos Zero. Questa concept, caratterizzata da forme squadrate e da una ridotta altezza da terra, nasce da un’idea del designer Marcello Gandini ed è dotata di un motore montato in posizione posteriore centrale derivato da quello della Fulvia.Cesare Fiorio, all’epoca responsabile della Squadra Corse Lancia, è alla ricerca di una vettura da rally che possa sostituire la Fulvia Coupé e chiede all’atelier piemontese di realizzare un modello specifico per questa disciplina, che viene svelato – sempre a Torino – nel 1971.La Lancia Stratos impiega pochissimo tempo a sedurre il pubblico grazie alle sue forme originali e sexy e anche gli addetti ai lavori non possono non apprezzare le numerose soluzioni tecniche introdotte per primeggiare nel motorsport. Il motore – un 2.4 V6 da 190 CV derivato da quello della Ferrari Dino 246 montato in posizione posteriore centrale trasversale – viene scelto nonostante l’iniziale opposizione di Enzo Ferrari mentre le dimensioni esterne compatte – 3,67 metri di lunghezza e 2,16 metri di passo – unite ad un peso inferiore ai 1.000 kg garantiscono un comportamento stradale agilissimo nelle curve. Solo i piloti più talentuosi, però, riescono a tenere a bada questo puledro a trazione posteriore tutt’altro che facile da guidare.Il cofano anteriore e quello posteriore hanno un’apertura di 90° per agevolare il lavoro dei meccanici, l’ampio parabrezza offre una buona visibilità al pilota e al navigatore e la parte posteriore del padiglione, in scatolato, funge da roll-bar. Da non sottovalutare, inoltre, il telaio a piattaforma con strutture a profilati d’acciaio, le sospensioni a quattro ruote indipendenti, il differenziale autobloccante e i freni a disco. La posizione rialzata del propulsore, un po’ troppo vicino agli occupanti, riscalda rapidamente l’abitacolo ma è di grande aiuto quando si devono affrontare i guadi.1972In attesa che vengano terminati i 500 esemplari prodotti (condizione necessaria per ottenere l’omologazione Gruppo 4) la Lancia Stratos viene schierata nelle competizioni aperte alle Gruppo 5.Il debutto ufficiale in gara – il 4 novembre al Tour de Corse con Sandro Munari – non è però dei migliori: la vettura è infatti costretta al ritiro a causa di un problema alla sospensione posteriore.1973La Lancia Stratos – che può vantare un propulsore più potente (230 CV) – ottiene la prima vittoria ufficiale l’8 aprile in Spagna (Firestone Rally) con Munari. Il pilota veneto si aggiudica anche il prestigioso Tour de France, rifilando quattro minuti di distacco alla vettura seconda classificata.1974L’omologazione Gruppo 4 arriva solo l’1 ottobre, con tre gare Mondiali su otto già disputate. Nonostante questo la Casa torinese – che ha ottenuto punti al Safari grazie al terzo posto di Munari con la Fulvia Coupé – riesce a portare a casa il primo titolo iridato Marche della sua storia con un’impressionante rimonta.Munari trionfa a Sanremo e due settimane più tardi si ripete in Canada al Rideau Lakes. Degna di nota anche la vittoria del francese Jean-Claude Andruet al Tour de Corse.1975La Lancia Stratos porta al debutto la mitica livrea Alitalia e domina la stagione conquistando il secondo titolo Marche: Munari sale sul gradino più alto del podio a Monte Carlo, lo svedese Björn Waldegård conquista due successi (Svezia e Sanremo) mentre il transalpino Bernard Darniche termina il Tour de Corse davanti a tutti.1976La sportiva torinese è imbattibile e permette al marchio piemontese di conquistare il terzo Mondiale Marche: Munari vince in tre occasioni (Monte Carlo, Portogallo e Tour de Corse) mentre Waldegård si deve “accontentare” del Sanremo. Nello stesso anno Darniche diventa campione europeo.1977Per non penalizzare la Fiat 131 Abarth, al debutto ufficiale proprio in quell’anno, la Lancia è costretta a schierare la Stratos solo nei rally più importanti. Nonostante questo Munari riesce a diventare il primo pilota campione del mondo grazie alla vittoria a Monte Carlo e al terzo posto al Safari. Nello stesso anno Darniche è nuovamente campione continentale.Alla fine della stagione, il 5 dicembre, viene annunciata la creazione della Squadra Corse Unificata, nata dalla fusione dei reparti motorsport di Fiat e Lancia. Il responsabile di questa nuova struttura è Cesare Fiorio.1978L’unione tra Fiat e Lancia porta risultati: il finlandese Markku Alén vince il Mondiale Piloti alternandosi alla guida della 131 Abarth e della Stratos (con quest’ultima conquista il Sanremo). In ambito europeo la sportiva torinese continua a farsi valere e permette a Tony Carello di primeggiare nel campionato continentale.1979Termina la carriera “ufficiale” della vettura ma questo non impedisce alla coupé torinese di ottenere altre due vittorie iridate con Darniche (primo a Monte Carlo e al Tour de Corse). Tony Fassina sale sul gradino più alto del podio al Rally di Sanremo.1980La Lancia Stratos è sul viale del tramonto ma non ha alcuna intenzione di andare in pensione: con lei Darniche arriva secondo a Monte Carlo e conquista altre prove minori come il Tour de France.1981Darniche trionfa al Tour de Corse: si tratta dell’ultima vittoria della Stratos in un rally valido per il Mondiale.1982Gli ultimi successi della Lancia Stratos avvengono in Italia con Fabrizio Tabaton (primo all’Elba e al Colline di Romagna) e con Federico Ormezzano, davanti a tutti al Rally di Monza.

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Lancia, la storia della Casa torinese

La Lancia non sta passando dei bei momenti: nei prossimi anni, infatti, opererà solo in Italia e si limiterà a commercializzare la Ypsilon. Pensare che la Casa torinese ha una lunga storia alle spalle, fatta di eleganza e sportività: ha lanciato una quantità impressionante di modelli entrati nel mito e ha portato a casa parecchi successi nel motorsport. Scopriamo insieme com’è diventata grande.Lancia: la storiaLa Lancia viene fondata ufficialmente il 29 novembre 1906 da Vincenzo Lancia (ex collaudatore ed ex pilota Fiat) e dall’amico Claudio Fogolin. Il mitico stemma contraddistinto dal volante e dalla bandiera – adottato, con varie modifiche, per oltre un secolo – viene creato dal conte Carlo Biscaretti di Ruffia, futuro fondatore del Museo dell’Automobile di Torino.La prima autoLa prima automobile Lancia – la 12HP – viene presentata al Salone di Torino del 1908. Ben rifinita e comoda, può vantare la trasmissione a cardano e un motore 2.5 a quattro cilindri che le permette di raggiungere una velocità massima di 90 km/h. L’anno prima Vincenzo, dopo aver realizzato il primo prototipo della vettura, si ritrova costretto ad allargare a colpi di piccone la porta dello stabilimento per far uscire il veicolo e per poterlo collaudare.L’azienda si espandeLe Lancia impiegano poco tempo a conquistare il pubblico e questo permette all’azienda torinese di espandersi: nel 1911 viene inaugurato il nuovo stabilimento di Via Monginevro (che resterà in funzione fino agli anni ’80 del XX secolo) e due anni più tardi viene lanciata la Theta. Questo apprezzatissimo modello (il primo del brand a superare le 1.000 unità costruite) è anche la prima automobile della storia ad essere dotata di impianto elettrico completo.La Prima Guerra MondialeDurante la Prima Guerra Mondiale la Casa torinese si concentra sulla produzione di materiale bellico e più precisamente sugli autocarri destinati all’esercito. Al termine del conflitto Vincenzo Lancia si ritrova senza il socio Fogolin – ritiratosi dall’azienda – e riprende la produzione di serie nel 1919 con l’innovativa Kappa, dotata di motore con testata separata, del cambio a leva tra i due sedili e di ruote in lamiera anziché in legno.La Lambda e la DilambdaLa svolta per la Lancia arriva nel 1922 in occasione del debutto – ai Saloni di Parigi e Londra – della rivoluzionaria Lambda: non si tratta solo della prima auto al mondo dotata di scocca portante ma anche di una delle prime con sospensioni anteriori a ruote indipendenti.Nel 1927 tocca invece alla più lussuosa Dilambda: rivolta soprattutto al mercato nordamericano e caratterizzata da un possente propulsore a otto cilindri, conquista i facoltosi automobilisti europei mentre viene snobbata negli USA.Gli anni TrentaNegli anni ’30 la Lancia realizza una serie di vetture particolarmente riuscite: la Artena del 1931 si rivela una delle auto più affidabili del periodo mentre con la Augusta lanciata due anni più tardi (che si aggiudicherà nel 1936 la Targa Florio con Costantino Magistri) la scocca portante viene proposta su un modello più accessibile e debuttano altre soluzioni tecniche interessanti come il motore (a quattro cilindri) a V stretto e le portiere con apertura ad armadio senza montante centrale.La seconda metà del decennio è altrettanto ricca di novità interessanti: nel 1936 viene presentata l’aerodinamica Aprilia (ultima Lancia progettata con Vincenzo, scomparso l’anno seguente, ancora in vita) e nel 1939 tocca alla piccola Ardea, contraddistinta da un motore 1.0.La seconda Guerra MondialeAnche durante la Seconda Guerra Mondiale – come nella prima – la produzione della Lancia si concentra sulle forniture militari. La fabbrica di Torino viene danneggiata dai bombardamenti anglo-americani nel 1942 e la maggior parte degli autocarri per l’esercito viene quindi assemblata nello stabilimento di Bolzano.Al termine del conflitto la società passa a Gianni Lancia, figlio di Vincenzo, che decide di rilanciare il marchio puntando soprattutto sulle competizioni sportive.I successi dei primi anni CinquantaGli anni Cinquanta per Lancia si aprono con la presentazione della Aurelia, la prima auto di serie al mondo a montare un motore V6. Non è solo questa, tuttavia, la novità di questa vettura, che presenta anche le sospensioni a quattro ruote indipendenti. L’anno seguente debutta la seducente versione coupé B20, che conquista nel 1952 la Targa Florio con Felice Bonetto e il Rally di Monte Carlo del 1954 con Louis Chiron. La Casa torinese si aggiudica altre due edizioni della prestigiosa corsa siciliana nel 1953 (con una D20 guidata da Umberto Maglioli) – anno in cui Juan Manuel Fangio trionfa alla Carrera Panamericana con una D24 – e nel 1954 (con una D24 condotta da Piero Taruffi).Nel 1953 è la volta della berlina compatta Appia mentre l’anno successivo è destinato ad entrare nella storia del brand piemontese: inizia la costruzione del Grattacielo Lancia (nuova sede di rappresentanza, inaugurata nel 1957), arriva l’unica vittoria alla Mille Miglia (Alberto Ascari su D24) e inizia la breve (quattro GP) ma intensa (un podio) avventura in F1, conclusasi nel 1955 dopo la morte del pilota milanese.La famiglia Lancia lasciaLa seconda metà del decennio non è altrettanto fortunata per la famiglia Lancia: nel 1955 vede la luce la Aurelia B24 – ancora oggi considerata una delle spider più belle di sempre – ma nello stesso anno Gianni – oberato dai debiti – cede la maggioranza della società alla famiglia Pesenti.Sotto la nuova gestione la Casa torinese continua però a progettare e a vendere modelli di elevata qualità: la Flaminia del 1957 diventa rapidamente un punto di riferimento tra le ammiraglie dell’epoca mentre la sorella minore Flavia del 1960 è la prima auto italiana di serie dotata di trazione anteriore.La FulviaLa Lancia Fulvia debutta nel 1963, nello stesso anno in cui la Casa torinese – che vede le proprie immatricolazioni crescere sempre di più – si ritrova obbligata ad aprire un nuovo stabilimento a Chivasso. La versione più nota – la Coupé – vede la luce due anni più tardi e conquista numerose vittorie nei rally: tra le più rilevanti segnaliamo il Sanremo del 1966 con Leo Cella, il Tour de Corse 1967 con Sandro Munari, il titolo europeo del 1970 con lo svedese Harry Källström e il Campionato Internazionale Costruttori del 1972, anno in cui Munari sale sul gradino più alto del podio a Monte Carlo.Il passaggio a FiatNel 1969 la Lancia – in crisi a causa dell’assenza di investimenti da parte della famiglia Pesenti – viene ceduta alla Fiat al prezzo simbolico di una lira. Il colosso torinese apporta numerosi tagli, sospende la produzione di veicoli industriali e nel 1972 lancia il primo modello della nuova gestione: la Beta.Nello stesso anno vede la luce la Stratos, una delle vetture più note della Lancia: realizzata per competere nei rally, conquista ben quattro Mondiali (uno Piloti con Sandro Munari e tre Marche) tra il 1974 e il 1977 e contribuisce a valorizzare il lato sportivo del marchio piemontese.Le vittorie degli anni ’80Nel 1979 è la volta della Delta, una compatta realizzata sullo stesso pianale della Fiat Ritmo che nel 1980 diventa la prima (e finora unica) Lancia ad aggiudicarsi il prestigioso riconoscimento di Auto dell’anno. Il mito di questa vettura nasce però nella seconda metà del decennio quando riesce a portare a casa nove Mondiali rally tra il 1987 e il 1992: tre titoli Piloti (due con Miki Biasion e uno con il finlandese Juha Kankkunen) e sei Costruttori.Prima di questi successi segnaliamo i tre Mondiali sportprototipi (nella categoria sopra i due litri) conquistati dalla Lancia Beta Montecarlo Turbo tra il 1979 e il 1981 e il campionato del mondo rally Marche ottenuto dalla 037 nel 1983.Dopo la Thema il declinoL’ultimo modello rappresentativo della Casa torinese è senza dubbio la Thema, presentata al Salone dell’Automobile di Torino del 1984, disegnata da Giorgetto Giugiaro e realizzata sullo stesso pianale di altre tre ammiraglie (Alfa Romeo 164, Fiat Croma e Saab 9000). Degna di nota la versione 8.32, dotata di un motore Ferrari.Negli anni Novanta inizia il declino Lancia, complice l’abbandono del mondo delle corse e una mancanza di appeal dei nuovi modelli. Nel 1994 lo stabilimento di Chivasso viene ceduto alla Carrozzeria Maggiora e l’anno seguente si segnala il debutto del marchio nel segmento delle monovolume con il lancio della Z. La prima piccola con lo scudo sul cofano, la Y, vede invece la luce nel 1996: grazie a lei le immatricolazioni non crollano.Il terzo millennioL’originale (pure troppo) ammiraglia Thesis del 2002 illude i lancisti ma non conquista il pubblico: colpa di forme non apprezzate da tutti ma soprattutto di motori poco potenti. Dopo quel tentativo di rilancio il Gruppo Fiat decide di ridurre progressivamente gli investimenti sul marchio e nel 2011, in seguito all’accordo con la Chrysler, inserisce in listino due vetture americane rimarchiate – la Thema (gemella della 300) e la monovolume Voyager – seguite nel 2012 dalla Flavia, nient’altro che una 200 Cabrio con una mascherina diversa.Il futuro della Lancia non è affatto roseo: nei prossimi anni un marchio che ha fatto la storia dell’automobilismo italiano verrà venduto esclusivamente nel nostro Paese e la gamma sarà composta da un solo modello, la piccola Ypsilon.

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Colt e Space Star, la storia delle piccole Mitsubishi

Le piccole Mitsubishi non sono molto apprezzate nel nostro Paese: eppure da quasi trentacinque anni le “segmento B” della Casa giapponese riescono, grazie soprattutto alla loro affidabilità, a conquistare parecchi clienti in Europa.Attualmente in listino troviamo la seconda generazione della Space Star: non si tratta più di una monovolume compatta ma di un’auto da città – presentata al Salone di Tokyo del 2011, prodotta in Thailandia e commercializzata in Italia nel 2013 – caratterizzata da un’elevata aerodinamica e da motori (due a benzina – 1.0 da 71 CV e 1.2 da 80 CV – e un 1.0 a GPL da 71 CV) poco assetati di carburante. Scopriamo insieme la storia delle sue antenate.Mitsubishi Colt prima generazione (1980)La prima generazione della Mitsubishi Colt, progettata alla fine degli anni Settanta come risposta alla crisi petrolifera, viene presentata nel 1978 ma arriva nel nostro Paese solo nel 1980. La versione  in vendita da noi – a cinque porte e dotata di un motore 1.4 a benzina da 69 CV – resta in listino fino al 1987 e beneficia di un leggero restyling nel 1982.Mitsubishi Colt seconda generazione (1984)La seconda generazione della piccola nipponica vede la luce nel 1983 e debutta nei nostri listini l’anno seguente. In questo caso è commercializzata esclusivamente a tre porte e il propulsore è un 1.2 a benzina da 55 CV.Mitsubishi Colt terza generazione (1991)La Mitsubishi Colt terza generazione – mostrata nel 1987 e arrivata in Italia nel 1991 – ha un design sportivo e originale che conquista i giovani. Non è un caso che da noi sia venduta – solo fino al 1992 – nella versione a tre porte e con motori a benzina (1.5 da 90 CV e 1.8 da 136 CV) particolarmente vivaci.Mitsubishi Colt quarta generazione (1994)In occasione della quarta generazione (nata nel 1991 ed entrata nei nostri listini nel 1994) la “baby” nipponica cresce e diventa quasi una compatta. Disponibile in Italia solo a tre porte, ha una gamma motori al lancio composta da tre unità: 1.3 da 75 CV, 1.6 da 113 CV e 1.8 da 140 CV. Nel 1996 il 1.3 e il 1.8 abbandonano le scene, seguiti un anno più tardi dal 1.6.Mitsubishi Colt quinta generazione (1997)La quinta generazione della Mitsubishi Colt – presentata nel 1995 e lanciata nel nostro Paese due anni dopo – non è altro che un profondo restyling (che ha coinvolto il frontale e, soprattutto, la coda) della quarta serie. Da noi viene venduta solo con la carrozzeria a tre porte fino al 2001 con due motori a benzina: 1.3 da 75 CV e 1.6 da 90 CV.Mitsubishi Colt sesta generazione (2004)La rivoluzione per la Casa nipponica arriva con il debutto, nel 2002 (nel 2004 in Italia), della sesta generazione: realizzata sullo stesso pianale della Smart forfour e assemblata in Olanda, ha un design simile a quello di una piccola monovolume.Disponibile inizialmente solo a cinque porte, la Mitsubishi Colt ha una gamma motori al lancio composta da tre unità a benzina (1.1 da 75 CV, 1.3 da 95 CV e 1.5 da 109 CV) e da un 1.5 turbodiesel DI-D da 95 CV. Nel 2005 debutta la versione a tre porte CZ3 e sbarca in listino un 1.5 turbo a benzina da 150 CV mentre l’anno successivo è la volta della cabriolet (con tetto in metallo) CZC, in vendita solo con propulsori 1.5 a ciclo Otto e prodotta da Pininfarina in Piemonte.Il restyling del 2008 (che non coinvolge la CZC, uscita dal listino nel 2009) porta un frontale più aggressivo e un motore 1.1 da 75 CV a GPL. Il 1.5 Turbo sparisce temporaneamente dalle scene per poi ritornare l’anno successivo, quando abbandonano il listino il 1.5 da 109 CV e il turbodiesel e arriva un 1.3 a GPL da 95 CV.La gamma della Mitsubishi Colt sesta generazione si assottiglia con il passare degli anni: nel 2010 smette di essere commercializzato il 1.3 a gas mentre nel 2011 l’unico propulsore in listino resta il 1.1 a benzina.

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Dal J7 al Boxer, la storia dei veicoli commerciali Peugeot medi e grandi

Nell’ultimo mezzo secolo la Peugeot ha realizzato numerosi veicoli commerciali medi e grandi che hanno saputo conquistare i lavoratori europei. Nel listino attuale la Casa del Leone può vantare due proposte appartenenti a questo segmento: l’Expert e il Boxer.La seconda generazione dell’Expert inizia ad essere commercializzata nel 2007 insieme ai gemelli Citroën Jumpy e Fiat Scudo e beneficia di un restyling (che porta un frontale più elegante) nel 2012. Oggi la gamma motori è composta da quattro unità turbodiesel HDi – 1.6 da 90 CV e 2.0 da 98, 128 e 163 CV – e recentemente il van compatto del Leone è stato affiancato da un altro furgone simile nel design e nei contenuti: il Toyota ProAce.La terza serie del più grande Peugeot Boxer vede invece la luce nel 2014 ma non è altro che un lifting profondo della seconda. Gemella di Citroën Jumper, Fiat Ducato e Ram ProMaster (disponibile solo sul mercato nordamericano), monta quattro motori a gasolio HDi: un 2.2 da 110, 130 e 150 CV e un 3.0 da 180 CV. Scopriamo insieme la storia dei veicoli commerciali medi e grandi prodotti dalla Casa francese negli ultimi cinquant’anni.Peugeot J7 (1965)Il Peugeot J7 vede la luce nel 1965. Dotato di trazione anteriore e disponibile in numerose varianti di carrozzeria, ha una gamma motori composta da un 1.5 a benzina e da un 1.8 a gasolio.Peugeot J5 (1981)Il Peugeot J5, svelato nel 1981, non è altro che un “gemello” di numerosi altri furgoni – Alfa Romeo AR6, Citroën C25 e Fiat Ducato – oggetto di un restyling nel 1991. Sei i propulsori disponibili: tre a benzina (1.8 da 69 CV e 2.0 da 75 e 84 CV) e tre diesel (1.9 da 70 CV, 2.5 da 74 CV e 2.5 turbo da 95 CV).Peugeot J9 (1981)Il Peugeot J9 nasce per rimpiazzare il J7 e si distingue per un design più moderno e per una gamma motori più completa (benzina e diesel da 1,6, 2, 2,2, 2,3 e 2,5 litri). Entra in listino nel 1981 e subisce un restyling nel 1991.Peugeot Boxer prima generazione (1994)La prima generazione del Peugeot Boxer – gemella di Citroën Jumper e Fiat Ducato – viene mostrata per la prima volta nel 1994. Contraddistinta da un frontale tondeggiante, ha una gamma motori al lancio composta da un 2.0 a benzina da 109 CV e da quattro unità a gasolio (1.9 da 69 e 92 CV e 2.5 da 86 e 103 CV).Nel 1998 la potenza del 2.5 da 103 CV sale fino a quota 107 e debutta un 2.8 da 122 CV mentre l’anno seguente scende la potenza dei 1.9 a gasolio (68 e 90 CV anziché 69 e 92). Nel 2000 il 2.5 da 107 CV viene rimpiazzato da un più prestante 2.8 da 128 CV, affiancato l’anno successivo da un 2.0 turbodiesel da 84 CV.Il Peugeot Boxer prima generazione beneficia di un restyling che porta un frontale più raffinato e una gamma motori più completa, composta da un 2.0 a benzina da 110 CV (disponibile anche a GPL e a metano) e da tre turbodiesel HDi (2.0 da 84 CV, 2.2 da 101 CV e 2.8 da 128 CV). Nel 2004 sbarca in listino un più grintoso 2.8 – sempre a gasolio – da 146 CV.Peugeot Expert prima generazione (1995)Con la prima generazione del Peugeot Expert – presentato nel 1995 e gemello di Citroën Jumpy e Fiat Scudo – la Casa del Leone debutta nel segmento dei van compatti sfruttando una piattaforma condivisa anche con le monovolume Citroën Evasion, Fiat Ulysse, Lancia Z e Peugeot 806.La gamma motori al lancio – composta da un 1.6 a benzina da 79 CV e da due 1.9 diesel da 69 e 92 CV – beneficia di alcune modifiche nel 1999, quando il 1.9 a gasolio più potente viene rimpiazzato da un 2.0 HDi da 94 e 109 CV. Nel 2000 il 1.6 cede il passo ad un due litri a ciclo Otto da 136 CV mentre nel 2004 è la volta di un restyling che migliora il frontale.Peugeot Boxer seconda generazione (2006)La seconda generazione del Peugeot Boxer – nato nel 2006 – ha un frontale originale e aggressivo e una gamma motori al lancio composta da un 3.0 a metano da 136 CV e da tre turbodiesel HDi: un 2.2 da 100 e 120 CV e un 3.0 da 157 CV.Nel 2011 la potenza del 2.2 a gasolio sale rispettivamente a 110 e 130 CV e si aggiunge una variante più briosa da 150 CV. Il tre litri, inoltre, viene portato a 177 CV.

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