Category Archives: Auto Classiche
Ferves Ranger (1966): quando la Fiat 500 diventò SUV
Una Fiat 500 SUV? È già esistita negli anni Sessanta e si chiamava Ferves Ranger. Questo mini fuoristrada (lunghezza inferiore a tre metri) adatto ai percorsi off-road più duri è stato prodotto dal 1966 al 1971 in circa 600 esemplari e oggi le sue quotazioni non superano i 10.000 euro.Ferves Ranger (1966): le caratteristiche principaliLa Ranger, realizzata dalla carrozzeria torinese Ferves (FERrari VEicoli Speciali) e presentata al Salone di Torino del 1966, è disponibile in due varianti di carrozzeria: normale e Cargo (con una portata utile di 300 kg).Lunga 2,63 metri e inizialmente disponibile solo a trazione posteriore, ha due porte e quattro posti: la dotazione di serie comprende, tra le altre cose, un pratico parabrezza abbattibile in avanti mentre tra gli optional segnaliamo un’utile capote in tela sorretta da centine smontabili. La più versatile variante 4×4 a trazione integrale, svelata nel 1968, si distingue per la prima marcia ridotta e per il differenziale posteriore bloccabile.Ferves Ranger (1966): la tecnicaTecnicamente la Ferves Ranger del 1966 era un mix di numerose vetture: scatola dello sterzo e motore posteriore da 499 cc e 18 CV (con il carburatore ruotato di 90° in senso antiorario per impedire alla vaschetta del galleggiante di svuotarsi durante le salite) abbinato ad un cambio manuale a quattro marce presi in prestito dalla Fiat 500 F, semiassi anteriori della Autobianchi Primula e gruppi ottici posteriori della Fiat 850.Ferves Ranger (1966): le quotazioniÈ abbastanza facile trovare delle Ferves Ranger circolanti (specialmente nei raduni dedicati alla Fiat 500), più difficile rintracciare proprietari disposti a venderla. Le quotazioni ufficiali recitano 8.000 euro: il nostro consiglio è quello di non spenderne più di 10.000 e di puntare solo sulle versioni 4×4.

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Volkswagen Porsche 914 1.8 (1973): tra Wolfsburg e Stoccarda
La Volkswagen Porsche 914 1.8 è l’ultima evoluzione della spider (in realtà sarebbe una targa visto che monta un roll-bar fisso) frutto della collaborazione tra le due Case tedesche. Questa sportiva, mai del tutto apprezzata dagli appassionati del brand di Stoccarda a causa di numerose componenti meccaniche condivise con Wolfsburg, sta però beneficiando di una forte rivalutazione e ora ci vogliono 10.000 euro per acquistarla.Volkswagen Porsche 914 1.8 (1973): le caratteristiche principaliLa Volkswagen Porsche 914 1.8 vede la luce nel 1973, un anno dopo l’abbandono del progetto da parte del marchio di Wolfsburg: esteticamente presenta le stesse leggere modifiche (paraurti neri opachi anziché cromati) introdotte nel 1972 dalla più potente 2.0.Il motore montato in posizione posteriore-centrale contribuisce a migliorare il piacere di guida (merito anche del peso contenuto, inferiore ai 1.000 kg, e di uno sterzo molto diretto) e la praticità (due bagagliai: uno anteriore e uno posteriore nel quale è possibile riporre il tetto) ma scalda un po’ troppo l’abitacolo, spazioso per due adulti e ben rifinito.Tra gli altri difetti della Volkswagen Porsche 914 1.8 segnaliamo la leva del cambio che tende spesso ad impuntarsi quando si guida in modo allegro. Prima dell’acquisto consigliamo di dare un’occhiata alla carrozzeria (spesso attaccata dalla ruggine) e allo stato di salute delle parti meccaniche, visto che i ricambi – facili da trovare – sono piuttosto costosi.Volkswagen Porsche 914 1.8 (1973): la tecnicaIl motore è un 1.8 boxer a quattro cilindri da 85 CV abbinato ad un cambio manuale a cinque marce: questa unità, la stessa adottata dalla Volkswagen 412, offre prestazioni tutt’altro che vivaci (178 km/h di velocità massima e 12 secondi per accelerare da 0 a 100 chilometri) ma regala una buona spinta già ai bassi regimi ed è, oltretutto, molto affidabile.Volkswagen Porsche 914 1.8 (1973): le quotazioniLa Volkswagen Porsche 914 1.8 del 1973 ha venduto più della 2.0 ma in Italia è impossibile da trovare (da noi la maggioranza dei clienti preferì puntare al massimo): più semplice trovare esemplari ben tenuti all’estero (in Germania e nei paesi anglosassoni) a circa 10.000 euro. Le versioni a sei cilindri prodotte dal 1969 al 1972 sono però le uniche che sono destinate ad avere un futuro come auto d’epoca.

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Giovanni Battista Ceirano, grazie a lui nacque la Fiat
Giovanni Battista Ceirano non è un personaggio molto conosciuto: eppure senza di lui la Fiat non sarebbe mai nata. Scopriamo insieme la storia di questo imprenditore piemontese.Giovanni Battista Ceirano, la biografiaGiovanni Battista Ceirano nasce l’1 ottobre 1860 a Cuneo: figlio di un orologiaio e appassionato di meccanica, si trasferisce nel 1880 a Torino per fare pratica presso alcune officine del capoluogo pienontese.Mettersi in proprioNel 1888 crea una società specializzata della vendita e nella riparazione di velocipedi e sei anni più tardi inizia a produrli con il marchio Welleyes. Nello stesso periodo deposita il brevetto di una ruota per auto più facile da smontare rispetto a quelle allora in commercio.La prima automobileIl 1898 è l’anno in cui Giovanni Battista Ceirano decide di puntare sulla realizzazione di automobili e fonda l’azienda Accomandita Ceirano, nella quale lavorano – tra gli altri – un certo Vincenzo Lancia (fondatore dell’omonima Casa automobilistica) e Felice Nazzaro, vincitore di due edizioni della Targa Florio (1907 e 1913).La prima vettura Ceirano – la Welleyes (dotata di un motore bicilindrico da 663 cc) – piace ma mancano i soldi e gli spazi per produrla in piccola serie.Nasce la FiatAlcuni soci dell’Accomandita Ceirano, alla ricerca di fondi per proseguire l’attività, contattano aristocratici e industriali torinesi: l’11 luglio 1899 nasce la Fiat e Giovanni Battista viene liquidato con 30.000 lire e nominato agente generale per le vendite in Italia del neonato marchio piemontese.Addio alla FiatNel 1901 Giovanni Battista lascia la Fiat e fonda insieme ai fratelli Ernesto, Giovanni e Matteo la Fratelli Ceirano. Due anni più tardi – in seguito ad una discussione in famiglia – crea in coppia con Giovanni la G.G. Ceirano ma il rapporto tra i due cessa però già nel 1904, anno di nascita della Star (Società Torinese Automobili Rapid).Gli ultimi anniGiovanni Battista Ceirano lascia la Star, l’ultima azienda da lui fondata, già nel 1905 per problemi di salute, si ritira nella sua casa di Bordighera e scompare a Torino il 24 settembre 1912.

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Mitsubishi Eclipse, la storia della sportiva giapponese
La Mitsubishi Eclipse è una sportiva giapponese che per qualche anno (dal 1992 al 1998) è stata venduta anche in Italia. Scopriamo insieme la storia di questo modello, prodotto in quattro generazioni per oltre un ventennio.Mitsubishi Eclipse prima generazione (1989)La prima generazione della Mitsubishi Eclipse vede la luce nel 1989: disponibile solo coupé a trazione anteriore o integrale viene commercializzata negli USA – in seguito all’accordo del marchio del Sol Levante con Chrysler – anche con i nomi Eagle Talon e Plymouth Laser.Nel 1992 (anno del restyling: i fari a scomparsa vengono rimpiazzati da gruppi ottici più tradizionali) sbarca nel nostro Paese: solo 2WD e con un motore 2.0 da 150 CV.Mitsubishi Eclipse seconda generazione (1995)La Mitsubishi Eclipse seconda generazione – svelata nel 1995 e venduta anche come Eagle Talon – ha un design più originale e tondeggiante rispetto all’antenata ed è sempre disponibile a trazione anteriore o integrale.Nel 1996 arriva la versione cabriolet (mai commercializzata in Italia: nel nostro Paese viene venduta solo la coupé a due ruote motrici dotata di un motore 2.0 da 145 CV) mentre l’anno seguente, in concomitanza con il lancio nel Bel Paese della variante “Targa”, arriva un lifting che porta un frontale più aggressivo.Mitsubishi Eclipse terza generazione (2000)La terza generazione della Mitsubishi Eclipse, mostrata nel 2000, punta soprattutto al mercato nordamericano: realizzata sullo stesso pianale delle versioni coupé di Chrysler Sebring e Dodge Stratus, monta sospensioni più morbide che portano un incremento del comfort ed è disponibile esclusivamente a trazione anteriore.La gamma motori al lancio è composta da due unità: un 2.4 da 150 CV e un 3.0 V6 da 204 CV (potenza aumentata a 218 CV nel 2002).Mitsubishi Eclipse quarta generazione (2005)La Mitsubishi Eclipse quarta generazione del 2005 non ha più rapporti con la Chrysler e questo spiega la piattaforma condivisa con la berlina Galant. Il design, particolarmente riuscito, è caratterizzato da un frontale aggressivo mentre la gamma motori è composta da due unità: un 2.4 da 165 CV e un 3.8 V6 da 266 CV.Nel 2007 viene presentata la versione cabriolet, nel 2009 arriva un primo restyling (contraddistinto da una mascherina più sobria) e nel 2011 è la volta di un secondo lifting: assetto ribassato per migliorare il piacere di guida e una calandra “single frame” ispirata a quelle Audi.

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Masten Gregory, un nerd a Le Mans
Masten Gregory non è stato solo uno dei piloti più riconoscibili della storia della F1 (merito dei grandi occhiali da nerd che indossava quasi sempre) ma è stato anche uno dei protagonisti dell’ultima vittoria Ferrari alla 24 Ore di Le Mans (nell’edizione del 1965). Scopriamo insieme la sua storia.Masten Gregory, la storiaMasten Gregory nasce il 29 febbraio 1932 a Kansas City (USA): ultimo di tre figli di un facoltoso uomo d’affari, perde il padre a soli tre anni. A 21 anni decide di usare i soldi dell’eredità per correre: acquista una Allard, prende parte alla 12 Ore di Sebring e al volante di una Jaguar C-Type ottiene il primo risultato rilevante sul circuito di Bergstrom in una gara valida per il campionato statunitense SCCA (3°) e sale sul gradino più alto del podio per la prima volta in carriera a San Francisco.I primi anniNel 1954 termina in quarta posizione la 12 Ore di Reims insieme al nostro Clemente Biondetti su una Ferrari 375 MM e con la stessa vettura conquista il primo successo all’estero trionfando sul circuito britannico di Aintree. Nel biennio 1955-1956 scarseggiano invece i risultati.La svolta e il debutto in F1La svolta per Masten Gregory arriva il 20 gennaio 1957 quando – al volante di una Ferrari 290 MM guidata insieme ai nostri Eugenio Castellotti e Luigi Musso – si aggiudica la 1.000 km di Buenos Aires.Questo successo apre a Gregory le porte della F1 e più precisamente quelle della Scuderia Centro Sud, che gli affida una Maserati: debutta a Monte Carlo salendo subito sul podio (3°: meglio del compagno di squadra, il francese André Simon), arriva 8° in Germania (meglio del driver locale Hans Herrmann) e nelle ultime due prove stagionali a Pescara e a Monza chiude in quarta posizione risultando più veloce del coéquipier svedese Joakim Bonnier.Delusioni nel CircusLa carriera di Masten Gregory in F1 inizia alla grande (6° nel Mondiale 1957 pur avendo disputato solo quattro GP su otto) ma prosegue senza grandi picchi: nel 1958 corre in Olanda e in Belgio portando a casa due ritiri e facendo peggio del compagno francese Maurice Trintignant ed è costretto a saltare diverse gare quando nel mese di luglio viene coinvolto in brutto incidente sul circuito di Silverstone mentre sta guidando un prototipo Lister.Torna nel Circus a settembre a Monza (4°) e arriva sesto in Marocco correndo con il team statunitense Temple Buell e questi risultati gli consentono nel 1959 di trovare un posto da pilota ufficiale alla Cooper. Termina al terzo posto in Olanda e al secondo in Portogallo ma non riesce a fare meglio dei due prestigiosi compagni di scuderia: l’australiano Jack Brabham (che nello stesso anno diventa campione del mondo) e il neozelandese Bruce McLaren.I primi anni ’60Nel 1960, in seguito alla rottura del contratto con la Cooper, Masten Gregory torna a correre in F1 con team privati: disputa con una Porsche della squadra statunitense Camoradi il primo GP della stagione in Argentina e poi torna alla Scuderia Centro Sud (stavolta con una Cooper) risultando più rapido dei due coéquipier, il britannico Ian Burgess e Trintignant.L’anno seguente arrivano i primi successi con le vetture Sport (1° alla 1.000 km del Nürburgring con una Maserati Tipo 61 in coppia con il connazionale Lloyd Casner) e altre delusioni nel Circus: corre le prime cinque gare della stagione con una Cooper del team Camoradi e gareggia in Italia e negli USA con una Lotus della scuderia britannica UDT Laystall: in entrambe le gare si ritira, a differenza dei compagni (l’inglese Henry Taylor e il belga Olivier Gendebien).Masten Gregory si riscatta nel 1962 quando, sempre con la Lotus UDT Laystall torna a punti dopo tre anni con un sesto posto negli USA. Più veloce del compagno britannico Innes Ireland, vince un GP in Svezia non valido per il Mondiale. Nella stagione 1963 gareggia invece con il team inglese Reg Parnell (prima con una Lotus e poi con una Lola) senza brillare particolarmente.I successi con le SportIl 1964 è l’anno in cui Gregory viene chiamato dalla Ford per sviluppare un’auto destinata ad entrare nel mito (la GT40) mentre l’anno seguente affronta l’ultima stagione in F1 correndo 4 GP con una BRM della Scuderia Centro Sud: si ritira in Belgio (a differenza del compagno di scuderia, il driver locale Lucien Bianchi) e ottiene come miglior risultato un’ottava piazza in Germania (meglio del nostro Roberto Bussinello).La più grande soddisfazione nella carriera di Masten Gregory arriva però con la vittoria nella 24 Ore di Le Mans 1965 con una Ferrari 250 LM (ultima vettura italiana a trionfare nella prestigiosa corsa endurance francese) guidata insieme al connazionale Ed Hugus e all’austriaco Jochen Rindt.Tra gli altri risultati rilevanti ottenuti da Masten con le Sport segnaliamo il secondo posto alla 1.000 km di Monza del 1966 con la Ford GT40 e la terza piazza alla 12 Ore di Sebring con l’Alfa Romeo T33/3.Il ritiroNel 1972 Masten Gregory decide di ritirarsi dal mondo delle corse dopo aver assistito durante la 24 Ore di Le Mans alla morte dell’amico e collega Bonnier. Si trasferisce ad Amsterdam dove si occupa di commercio di diamanti e di oggetti in vetro e perde la vita l’8 novembre 1985 nella sua casa di Porto Ercole (Italia).

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Skoda, la storia della Casa ceca
La Skoda è una Casa che ha vissuto molte vite: nata come produttrice di biciclette, si è successivamente concentrata sulla realizzazione di automobili eleganti e raffinate molto apprezzate prima della Seconda Guerra Mondiale. Con l’arrivo del comunismo la qualità dei modelli è calata vistosamente ma ora, grazie a Volkswagen, questo marchio è diventato simbolo di vetture costruite con cura e caratterizzate da un prezzo non troppo elevato. Scopriamo insieme la storia del brand ceco.Skoda, la storiaLa storia della Skoda in campo automobilistico inizia ufficialmente nel 1894 quando il libraio Václav Laurin e il meccanico Václav Klement aprono a Mladá Boleslav (ora in Repubblica Ceca ma all’epoca appartenente all’Impero austro-ungarico) un’azienda – la Laurin & Klement – specializzata nella produzione e nella riparazione di biciclette.Nel 1898 inizia l’assemblaggio di bici motorizzate mentre bisogna aspettare il 1905 per vedere la prima automobile del brand: la Voiturette mod. A, una scoperta bicilindrica a due tempi con un motore rimpiazzato dopo poco da una più moderna unità a quattro tempi.La Prima Guerra MondialeNel 1912 la Laurin & Klement (il nome Skoda arriverà più avanti) decide di concentrarsi esclusivamente sui mezzi a quattro ruote ma in seguito allo scoppio, due anni più tardi, della Prima Guerra Mondiale la produzione viene convertita ad uso bellico.Al termine del conflitto nella neonata Cecoslovacchia sono ben poche le persone in grado di permettersi l’acquisto di un’automobile (oggetto di lusso destinato a clienti facoltosi) e questo porta ad una rapida crisi dell’azienda, che nel tentativo di risollevare la situazione finanziaria nel 1924 sigla un accordo con il governo per la realizzazione di motori aeronautici.Nasce la SkodaNel 1925 la Laurin & Klement viene assorbita dalla Skoda, un colosso locale specializzato nella metallurgia e nella produzione di armi che si era già cimentato nella realizzazione di auto due anni prima costruendo carrozzerie da montare su telai Hispano-Suiza.La crisi di vendite, però, continua senza sosta e per assistere ad un’inversione di tendenza bisogna attendere il lancio di tre modelli più accessibili – Popular e Superb nel 1934 e Rapid nel 1935 – che consentono al marchio cecoslovacco di conquistare il mercato locale.La Seconda Guerra MondialeNel 1938 la Germania occupa la Cecoslovacchia e gli stabilimenti Skoda vengono utilizzati dai nazisti per produrre mezzi militari e armi. La fabbrica di Mladá Boleslav viene distrutta durante la Seconda Guerra Mondiale dai bombardamenti britannici e statunitensi e riprende l’attività nel 1945 con la 1101, nient’altro che un’evoluzione della Popular.L’arrivo del comunismoIn seguito al colpo di stato comunista in Cecoslovacchia nel 1948 il regime nazionalizza l’azienda e separa il reparto automobilistico Skoda dal resto della società. I modelli realizzati nel secondo dopoguerra conservano un livello di tecnologia e affidabilità paragonabile a quello della concorrenza occidentale ma con il passare degli anni il divario tecnico diventa sempre più marcato.Nel 1964 debutta la 1000 MB, prima Skoda con telaio monoscocca nonchè ultimo modello degno di nota realizzato durante la Guerra Fredda. Le vetture del brand prodotte negli anni ’70 e nella prima metà del decennio successivo, infatti, sono talmente inaffidabili e prive di qualità da trasformare il marchio cecoslovacco in uno dei peggiori in circolazione.La svolta con VolkswagenNel 1987 vede la luce la Favorit, una piccola a cinque porte dotata di motore anteriore e trazione anteriore caratterizzata da un design moderno (firmato Bertone). In seguito al crollo del muro di Berlino nel 1989 il governo cecoslovacco si mette alla ricerca di un partner occidentale per migliorare i prodotti della Casa automobilistica di sua proprietà.Il 1991 è l’anno in cui Volkswagen (marca preferita a Renault: la Casa francese intendeva solamente sfruttare le fabbriche locali per produrre la Twingo) acquista il 30% della Skoda, percentuale che sale al 60,3% nel 1994 (anno in cui nasce la Felicia, un’evoluzione della Favorit profondamente rivista dai tecnici di Wolfsburg) e al 70% nel 1995.I modelli della rinascitaLa berlina Octavia del 1996 – costruita sul pianale della Golf – è la prima auto del marchio ceco progettata interamente da Volkswagen, nel 1999 è la volta della piccola Fabia (realizzata sulla stessa piattaforma della Polo) mentre tra i modelli più interessanti lanciati nel Terzo millennio segnaliamo l’originale monovolume Roomster del 2006, la SUV Yeti e la citycar Citigo, gemella della Seat Mii e della Volkswagen up!.

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Robert Bosch il benefattore
Robert Bosch non ha semplicemente fondato il colosso che ancora oggi porta il suo nome: questo imprenditore tedesco, infatti, è stato un precursore del capitalismo dal volto umano (non ha pensato solo al profitto) ed è stato oltretutto uno dei pochi tedeschi ad opporsi al nazismo. Scopriamo insieme la sua storia.Robert Bosch, la biografiaRobert Bosch nasce il 23 settembre 1861 ad Albeck (Regno di Württemberg): undicesimo di dodici figli, si trasferisce con la famiglia nella vicina Ulm a nove anni e nel 1876 – dopo un breve apprendistato come meccanico di precisione – inizia a lavorare presso diverse aziende tedesche.Nel 1884 parte per gli USA – più precisamente per New York – e trova un posto presso la Edison mentre l’anno seguente si trasferisce nel Regno Unito alla Siemens.Nasce la BoschIl 15 novembre 1886 Robert si mette in proprio e fonda a Stoccarda la Robert Bosch GmbH, azienda specializzata in meccanica di precisione ed elettrotecnica composta da sole tre persone.La svolta arriva nel 1897 con l’acquisto e la modifica di un dispositivo di accensione brevettato dal produttore di propulsori Deutz. La prima applicazione di questo sistema in ambito automobilistico fa crescere in misura esponenziale le potenzialità del motore a scoppio e il conto in banca del signor Bosch, il quale apre nel 1898 la prima filiale estera della sua azienda (nel Regno Unito).La candela e l’etica aziendaleNel 1902 un ingegnere Bosch – un certo Gottlob Honold – inventa la prima candela di accensione per scariche ad alta tensione. Un’altra innovazione che consente a Robert Bosch di espandersi: l’imprenditore teutonico, però, non punta esclusivamente al profitto visto che nel 1906 introduce la giornata lavorativa di otto ore per organizzare il lavoro su due turni e per offrire migliori condizioni ai propri operai.Il 1910 è l’anno in cui viene aperto negli USA il primo stabilimento all’estero e quattro anni più tardi, in seguito allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, la produzione viene convertita ad uso bellico ma buona parte dei proventi viene destinata ad opere benefiche.Gli ultimi anniNella seconda metà degli anni ’20 del XX secolo Robert Bosch – dopo aver iniziato a produrre in serie pompe ad iniezione per motori diesel – decide di superare la crisi economica ampliando il proprio business. Nel 1928 nascono i primi elettroutensili e nel 1933 è la volta dei frigoriferi.Nel 1936 Robert – per celebrare il proprio 75° compleanno e il mezzo secolo di attività della sua società – regala alla città di Stoccarda un ospedale che ancora oggi porta il suo nome. Durante la Seconda Guerra Mondiale il nosocomio verrà anche utilizzato per nascondere ebrei e perseguitati politici.Robert Bosch non è stato un santo – durante il conflitto ha impiegato numerosi prigionieri come operai – ma ha salvato molte vite ed è stato uno dei pochi oppositori tedeschi del nazismo. Scompare a Stoccarda (Germania) il 12 marzo 1942.

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Honda Pilot, la storia della SUV giapponese
La Honda Pilot è la SUV più versatile della Casa giapponese. Realizzata per il mercato nordamericano e dotata di sette posti, ha conquistato numerosi clienti: merito soprattutto del grande spazio a disposizione dei passeggeri.La terza generazione della Sport Utility nipponica – quella attualmente in commercio – debutta ufficialmente al Salone di Chicago del 2015, ha uno stile ispirato a quello della sorella minore CR-V e monta un motore 3.5 V6 a benzina. Scopriamo insieme la storia delle antenate di questo modello.Honda Pilot prima generazione (2002)La prima generazione della Honda Pilot vede la luce nel 2002: realizzata sullo stesso pianale della berlina Accord, ospita sotto il cofano un motore 3.5 V6 a benzina da 243 CV.Dotata di otto posti (merito della presenza di tre sedili anche in terza fila), diventa disponibile anche a trazione anteriore nel 2005. L’anno seguente, invece, è la volta di un restyling che porta alcune modifiche al frontale.Honda Pilot seconda generazione (2009)La Honda Pilot seconda generazione – presentata nel 2009 – ha un design più originale rispetto all’antenata ed è disponibile esclusivamente con il cambio automatico e con un motore 3.5 V6 da 258 CV. Nel 2012 debutta la versione restyling, caratterizzata da una mascherina più elegante e da altre leggere modifiche estetiche.

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Lanchester 21 (1923): l’anti Rolls-Royce
La Lanchester non è una Casa automobilistica molto conosciuta: eppure questo marchio britannico (chiuso nel 1955 ma ancora nelle mani della Tata, proprietaria della Jaguar) ha rappresentato, specialmente nel periodo precedente alla Seconda Guerra Mondiale, una valida alternativa alla Rolls-Royce. Di seguito analizzeremo la 21 (prodotta dal 1923 al 1926) e la sua evoluzione 23 (assemblata dal 1926 al 1931).Lanchester 21 (1923): le caratteristiche principaliLa 21 nasce nel 1923 quando la Lanchester decide di creare un modello più compatto e accessibile della 40 svelata quattro anni prima. Creata per rubare clienti (prevalentemente esponenti della nobilità e della borghesia britannica) alla Rolls-Royce, è una delle auto meglio costruite di quel decennio: presenta finiture eccezionali, un comfort di altissimo livello (merito soprattutto del motore silenzioso) e freni molto potenti per l’epoca. Difficile stabilire il numero di varianti di carrozzeria disponibili visto che la maggioranza dei possessori di questa vettura acquistò solo il telaio per farlo personalizzare da atelier di fiducia.Lanchester 21 (1923): la tecnicaIl motore della Lanchester 21 è un 3.1 a sei cilindri in linea da 21 CV. Nel 1926, in seguito all’introduzione di un più potente ed elastico 3.3 a sei cilindri da 23 CV, vede la luce la Lanchester 23.Lanchester 21 (1923): le quotazioniLe Lanchester 21 e 23 sono introvabili in Italia e abbastanza facili da rintracciare nel Regno Unito. Non fidatevi delle quotazioni ufficiali che recitano 30.000 euro: bisogna sborsarne almeno 50.000 per un esemplare da restaurare.

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Ferrari 750 Monza: l’ultima auto di Alberto Ascari
La Ferrari 750 Monza non ha vinto molte gare ma ricopre comunque un ruolo importantissimo nella storia del Cavallino: è stata infatti l’ultima auto guidata da Alberto Ascari e il suo stile ha influenzato quello della 250 GTO, la Rossa più sexy di sempre. Scopriamo insieme la sua storia.Ferrari 750 Monza: la storiaLa Ferrari 750 Monza vede la luce nel 1954: la carrozzeria, disegnata da Dino Ferrari e realizzata da Sergio Scaglietti, è un capolavoro di stile (il frontale basso servirà da ispirazione per la 250 GTO del 1962) e il motore (un 3.0 a quattro cilindri da 260 CV – derivato dall’unità progettata tre anni prima da Aurelio Lampredi per la F2 – che permette alla vettura di raggiungere una velocità massima di 264 km/h) è un piccolo gioiello della tecnica.Prodotta in 28 esemplari, monta un telaio tubolare, sospensioni anteriori indipendenti con balestra trasversale (rimpiazzata alla fine del 1955 da ammortizzatori telescopici) e al posteriore il ponte De Dion e un cambio manuale a cinque marce in blocco con il differenziale. Poco amata dai piloti, era molto difficile da guidare: un “cavallino” imbizzarrito che pochi campioni sono stati in grado di domare…Ferrari 750 Monza: i successi sportiviIl debutto ufficiale in gara della Ferrari 750 Monza risale al 27 giugno 1954: in occasione del GP Supercortemaggiore sul circuito di Monza un esemplare guidato dall’argentino José Froilán González e dal francese Maurice Trintignant termina la gara in seconda posizione.Per la prima vittoria bisogna invece attendere il 25 luglio, quando González sale sul gradino più alto del podio sul circuito portoghese di Monsanto. Il primo e unico successo rilevante arriva l’11 settembre: il britannico Mike Hawthorn e Trintignant conquistano il Tourist Trophy in Irlanda del Nord e consentono alla Casa di Maranello di conquistare matematicamente con una gara di anticipo il Mondiale Sportprototipi.La Ferrari 750 Monza può vantare numerosi successi di classe ma pochi trionfi assoluti in quanto non costruita per puntare a questo. Nonostante il deficit prestazionale riesce però a prendersi parecche soddisfazioni: nel 1955, ad esempio, arriva 2° alla 12 Ore di Sebring con lo statunitense Phil Hill e sesta alla Mille Miglia con Sergio Sighinolfi.L’ultimo risultato importante risale al 18 settembre, quando il belga Jacques Sweaters chiude in 13° posizione il Tourist Trophy.La Ferrari 750 Monza e Alberto AscariIl 26 maggio 1955 Alberto Ascari (due volte campione del mondo F1 nel 1952 e nel 1953) mentre si trova nella sua casa di Milano riceve una telefonata dai colleghi (e amici) Luigi Villoresi ed Eugenio Castellotti che lo invitano a recarsi sul circuito di Monza dove stanno testando una Ferrari 750 Monza.Il pilota lombardo chiede di poterla guidare ma dopo tre giri perde il controllo del mezzo (in circostanze mai chiarite) e la vita (in seguito al capovolgimento della vettura).

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