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Alfa Romeo, la storia del Biscione in F1

L’Alfa Romeo è un pezzo di storia della F1: la Casa del Biscione ha disputato nove stagioni nel Circus conquistando oltretutto i primi due Mondiali di sempre. Scopriamo insieme l’evoluzione del marchio lombardo nella classe regina del motorsport.Alfa Romeo in F1: 1950L’Alfa Romeo si presenta al via del primo Mondiale F1 della storia, quello del 1950, da favorita dopo i numerosi successi ottenuti nel secondo dopoguerra nella categoria Grand Prix. La vettura scelta per correre – la 158 (nata ufficialmente nel lontano 1938) – monta un eccezionale motore 1.5 sovralimentato a otto cilindri in linea.Nel primo GP di sempre – quello di Gran Bretagna (disputato il 13 maggio a Silverstone) – si assiste ad un dominio del Biscione: le quattro monoposto schierate – guidate dall’argentino Juan Manuel Fangio, dal britannico Reg Parnell e dai nostri Luigi Fagioli e Giuseppe Farina – monopolizzano i primi quattro posti della griglia e il podio vede tre piloti del marchio lombardo: Farina (autore della pole), Fagioli e Parnell.A Monte Carlo Fangio, favorito per il titolo iridato ma fermato in Inghilterra per un perdita d’olio, si riscatta con una vittoria condita da una pole mentre in Svizzera, dopo essere di nuovo partito davanti a tutti, deve ritirarsi nuovamente per un problema al motore e lascia la vittoria a Farina e la seconda piazza a Fagioli.Il duello in casa Alfa Romeo nel Mondiale F1 tra Farina e Fangio prosegue in Belgio con il successo dell’argentino e il secondo posto di Fagioli. Il pilota sudamericano conquista la vetta del campionato vincendo in Francia (con Fagioli ancora secondo) e sfruttando il ritiro per noie meccaniche di Farina.Il titolo Piloti viene deciso nell’ultima gara in Italia: a Monza Fangio ottiene la pole ma si deve ritirare per un problema al cambio e cede la vittoria della corsa (con Fagioli terzo) e del campionato a Farina.F1 1950 – La classifica del Mondiale Piloti
1 GIUSEPPE FARINA (ALFA ROMEO) 30 PUNTI
2 Juan Manuel Fangio (Alfa Romeo) 27 punti
3 Luigi Fagioli (Alfa Romeo)    24 punti
4 Louis Rosier (Talbot Lago)    13 punti
5 Alberto Ascari (Ferrari)     11 punti11 Reg Parnell (Alfa Romeo)    4 puntiAlfa Romeo in F1: 1951L’Alfa Romeo schiera per il Mondiale F1 1951 la 159, un’evoluzione della 158 più potente e con sospensioni posteriori riviste. Fangio, deluso dal titolo perso l’anno prima all’ultima gara, fa subito capire di voler recitare un ruolo da protagonista dominando in Svizzera (pole position e vittoria) lasciando a Farina la terza posizione.Il pilota torinese si riscatta in Belgio salendo sul gradino più alto del podio (Fangio in pole ma 9°) mentre in Francia è Fagioli a trionfare in coppia con il driver sudamericano autore della pole (all’epoca era permesso cambiare guidatore durante un GP: i punti conquistati venivano divisi equamente).Il GP di Gran Bretagna del 1951 è la prima gara europea nella storia della F1 che non viene vinta dall’Alfa Romeo:  Fangio, tuttavia, riprende il comando del Mondiale grazie al secondo posto unito al ritiro di Farina. Anche in Germania il pilota argentino deve accontentarsi della seconda piazza ma ha come nuovo rivale Alberto Ascari, al volante di una Ferrari sempre più in forma.In Italia le cose si complicano: l’unico pilota del Biscione a salire sul podio è Felice Bonetto (3°) mentre Fangio (in pole ma frenato da un guasto al motore) è sempre in testa ma con pochi punti di vantaggio su Ascari.Anche il Mondiale F1 1951 si decide all’ultima gara in Spagna: Ascari conquista la pole ma la sua Ferrari consuma troppo gli pneumatici. Fangio ne approfitta per conquistare GP (corredato dal 3° posto di Farina) e titolo iridato.F1 1951 – La classifica del Mondiale Piloti
1 JUAN MANUEL FANGIO (ALFA ROMEO) 31 PUNTI
2 Alberto Ascari (Ferrari)     25 punti
3 José Froilán González (Talbot Lago/Ferrari) 24 punti
4 Giuseppe Farina (Alfa Romeo)  19 punti
5 Luigi Villoresi (Ferrari)     15 punti
8 Felice Bonetto (Alfa Romeo)  7 punti
11 Luigi Fagioli (Alfa Romeo)   4 punti
12 Consalvo Sanesi (Alfa Romeo)  3 punti17 Toulo de Graffenried (Alfa Romeo) 2 puntiIl ritiro e il ritornoAl termine del Mondiale F1 1951 l’Alfa Romeo decide di ritirarsi dal Circus per via dei crescenti costi e della maggiore competitività della Ferrari. Negli anni ’60 e ’70 alcune monoposto montano motori del Biscione ma per vedere la Casa lombarda tornare come costruttrice bisogna attendere il 1979.Alfa Romeo in F1: 1979L’Alfa Romeo che si presenta al via del Mondiale F1 1979 è molto diversa dal Biscione dominatore delle prime due stagioni del Circus. Il team – gestito da Autodelta – schiera la monoposto 177, dotata di un motore 3.0 boxer 12 cilindri aspirato, e la affida inizialmente solo al nostro Bruno Giacomelli.Bisogna attendere il sesto GP della stagione, in Belgio, per vedere scendere finalmente in pista la vettura: a Zolder Giacomelli parte 14° ma si ritira per un incidente. Dopo aver saltato Monte Carlo la Casa lombarda torna in pista in Francia e Bruno taglia per la prima volta il traguardo terminando la corsa in 17° posizione.L’Alfa Romeo si ripresenta nel Mondiale F1 1979 solo nelle ultime tre gare stagionali con la più evoluta 179 ma ottiene come miglior risultato un 12° posto in Italia con la “vecchia” 177 grazie a Vittorio Brambilla.F1 1979 – La classifica del Mondiale Piloti
1 JODY SCHECKTER (FERRARI) 51 PUNTI
2 Gilles Villeneuve (Ferrari)   47 punti
3 Alan Jones (Williams)    40 punti
4 Jacques Laffite (Ligier)    36 punti5 Clay Regazzoni (Williams)   29 puntiF1 1979 – La classifica del Mondiale Costruttori
1 FERRARI        113 PUNTI
2 Williams-Ford Cosworth   75 punti
3 Ligier-Ford Cosworth    61 punti
4 Lotus-Ford Cosworth    39 punti5 Tyrrell-Ford Cosworth    28 puntiAlfa Romeo in F1: 1980Dopo un 1979 di “prova” l’Alfa Romeo affronta tutto il Mondiale F1 1980 con la 179 sperimentata l’anno prima sponsorizzata da Marlboro. L’anno inizia bene in Argentina grazie al quinto posto di Giacomelli che regala al Biscione i primi punti Costruttori della sua storia.Il resto della stagione non è particolarmente entusiasmante: tanti ritiri e un altro quinto posto di Giacomelli (autore, oltretutto, di una pole a sorpresa nell’ultima gara dell’anno negli USA Est) in Germania. L’1 agosto sul circuito di Hockenheim perde la vita il pilota francese Patrick Depailler mentre sta effettuando dei test privati con il Biscione in vista del GP tedesco.F1 1980 – La classifica del Mondiale Piloti
1 ALAN JONES (WILLIAMS)   67 PUNTI
2 Nelson Piquet (Brabham)   54 punti
3 Carlos Reutemann (Williams)  42 punti
4 Jacques Laffite (Ligier)    34 punti
5 Didier Pironi (Ligier)     32 punti18 Bruno Giacomelli (Alfa Romeo)  4 puntiF1 1980 – La classifica del Mondiale Costruttori
1 WILLIAMS-FORD COSWORTH 120 PUNTI
2 Ligier-Ford Cosworth    66 punti
3 Brabham-Ford Cosworth   55 punti
4 Renault         38 punti
5 Lotus-Ford Cosworth    14 punti11 Alfa Romeo        4 puntiAlfa Romeo in F1: 1981Per il Mondiale F1 1981 l’Alfa Romeo schiera una 179 evoluta – la 179C – e arruola un campione del mondo: lo statunitense Mario Andretti. “Piedone” esordisce con un interessante 4° posto negli USA Ovest (piazzamento replicato da Giacomelli in Canada) e porta a casa un podio nell’ultima gara stagionale a Las Vegas (3°). Nelle ultime gare dell’anno debutta la 179D, più bassa rispetto alla C.F1 1981 – La classifica del Mondiale Piloti
1 NELSON PIQUET (BRABHAM) 50 PUNTI
2 Carlos Reutemann (Williams)  49 punti
3 Alan Jones (Williams)    46 punti
4 Jacques Laffite (Ligier)    44 punti
5 Alain Prost (Renault)     43 punti
15 Bruno Giacomelli (Alfa Romeo)  7 punti16 Mario Andretti (Alfa Romeo)   3 puntiF1 1981 – La classifica del Mondiale Costruttori
1 WILLIAMS-FORD COSWORTH 95 PUNTI
2 Brabham-Ford Cosworth   61 punti
3 Renault         54 punti
4 Ligier-Matra       44 punti
5 Ferrari         34 punti9 Alfa Romeo        10 puntiAlfa Romeo in F1: 1982Nel Mondiale F1 1982 l’Alfa Romeo si ritrova senza Andretti, rimpiazzato dal nostro Andrea de Cesaris. Dopo aver corso il primo GP della stagione, in Sudafrica, con la 179D la Casa del Biscione schiera la 182, dotata di un propulsore 3.0 V12.Un’annata contraddistinta da tanti ritiri, da numerosi incidenti e da alcuni exploit di de Cesaris – in pole negli USA Ovest, terzo a Monte Carlo e sesto in Canada – e di Giacomelli, quinto in Germania.F1 1982 – La classifica del Mondiale Piloti
1 KEKE ROSBERG (WILLIAMS)  44 PUNTI
2 Didier Pironi (Ferrari)    39 punti
3 John Watson (McLaren)    39 punti
4 Alain Prost (Renault)     34 punti
5 Niki Lauda (McLaren)    30 punti
17 Andrea de Cesaris (Alfa Romeo) 5 punti22 Bruno Giacomelli (Alfa Romeo)  2 puntiF1 1982 – La classifica del Mondiale Costruttori
1 FERRARI        74 PUNTI
2 McLaren-Ford Cosworth   69 punti
3 Renault         62 punti
4 Williams-Ford Cosworth   58 punti
5 Lotus-Ford Cosworth    30 punti10 Alfa Romeo        7 puntiAlfa Romeo in F1: 1983Nel 1983 l’Alfa Romeo vive il suo miglior Mondiale F1 tra i Costruttori: il 6° posto in campionato arriva grazie ad una monoposto molto valida – la 183T (in pratica una 182 con un nuovo motore 1.5 turbo V8) – progettata dal francese Gérard Ducarouge e alla nuova gestione sportiva del team Euroracing.Una vettura che brilla soprattutto nella seconda metà della stagione e che permette ad Andrea de Cesaris di portare a casa due secondi posti (Germania e Sudafrica), un quarto posto (Europa) e il giro veloce (l’ultimo nella storia del Biscione) in Belgio e alla new-entry Mauro Baldi di ottenere una quinta piazza in Olanda e un 6° posto a Monte Carlo.F1 1983 – La classifica del Mondiale Piloti
1 NELSON PIQUET (BRABHAM) 59 PUNTI
2 Alain Prost (Renault)     57 punti
3 René Arnoux (Ferrari)    49 punti
4 Patrick Tambay (Ferrari)   40 punti
5 Keke Rosberg (Williams)   27 punti
8 Andrea de Cesaris (Alfa Romeo) 15 punti16 Mauro Baldi (Alfa Romeo)   3 puntiF1 1983 – La classifica del Mondiale Costruttori
1 Ferrari         89 punti
2 Renault         79 punti
3 Brabham-BMW      72 punti
4 Williams-Ford Cosworth   36 punti
5 McLaren-Ford Cosworth   34 punti6 Alfa Romeo        18 puntiAlfa Romeo in F1: 1984Nuovo sponsor (Benetton), nuova monoposto (184T, peggiore dell’antenata e troppo assetata di carburante) e nuovi piloti: il nostro Riccardo Patrese e lo statunitense Eddie Cheever. È con queste premesse che l’Alfa Romeo si prepara ad affrontare il Mondiale F1 1984.Una stagione che vede pochi risultati rilevanti del Biscione: Cheever quarto nella gara inaugurale in Brasile e Patrese a punti in tre occasioni (3° in Italia, 4° in Sudafrica e 6° in Europa).F1 1984 – La classifica del Mondiale Piloti
1 NIKI LAUDA (MCLAREN)   72 PUNTI
2 Alain Prost (McLaren)    71,5 punti
3 Elio de Angelis (Lotus)    34 punti
4 Michele Alboreto (Ferrari)   30,5 punti
5 Nelson Piquet (Brabham)   29 punti
13 Riccardo Patrese (Alfa Romeo)  8 punti16 Eddie Cheever (Alfa Romeo)  3 puntiF1 1984 – La classifica del Mondiale Costruttori
1 MCLAREN-TAG PORSCHE   143,5 PUNTI
2 Ferrari         57,5 punti
3 Lotus-Renault       47 punti
4 Brabham-BMW      38 punti
5 Renault         34 punti8 Alfa Romeo        11 puntiAlfa Romeo in F1: 1985Nel 1985 l’Alfa Romeo disputa il suo ultimo Mondiale F1: i piloti sono gli stessi del 1984 ma l’annata si rivela un disastro. Zero punti conquistati e solo tre noni posti ottenuti: due con Patrese (Gran Bretagna ed Europa) e uno con Cheever (USA).F1 1985 – La classifica del Mondiale Piloti
1 ALAIN PROST (MCLAREN)   73 PUNTI
2 Michele Alboreto (Ferrari)   53 punti
3 Keke Rosberg (Williams)   40 punti
4 Ayrton Senna (Lotus)    38 punti5 Elio de Angelis (Lotus)    33 puntiF1 1985 – La classifica del Mondiale Costruttori
1 MCLAREN-TAG PORSCHE   90 PUNTI
2 Ferrari         82 punti
3 Williams-Honda      71 punti
4 Lotus-Renault       71 punti5 Brabham-BMW      26 punti
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Mahindra CJ (1947): la Jeep indiana

La Mahindra CJ, variante indiana della Jeep CJ, è il modello più importante della Casa asiatica. È soprattutto grazie a questa 4×4 (non chiamatela SUV, potrebbe offendersi) prodotta con numerose modifiche dal 1947 al 2010 che l’azienda di Mumbai è cresciuta fino a diventare una multinazionale (possiede la Ssangyong e la maggioranza di Peugeot Motorcycles).Mahindra CJ (1947): le caratteristiche principaliLa CJ vede la luce insieme alla Mahindra nel 1947, anno in cui due fratelli indiani – J.C. (iniziali di Jagdish Chandra) e K.C. (Kailash Chandra) – importano dagli USA componenti della Jeep CJ per assemblarli in India con la formula CKD (Complete knock-down).Nel 1954 il governo indiano chiede ai due fratelli di incrementare il numero di pezzi “locali” e l’anno seguente inizia la produzione su licenza, nella fabbrica di Bhandup, di CJ più “asiatiche” e meno americane derivate dalla Jeep CJ-3B. La crisi petrolifera degli anni ’70 porta all’introduzione di motori diesel al posto delle più assetate unità a benzina.La Mahindra CJ – disponibile in due varianti (CJ 340 a quattro posti, lunga 3,39 metri, e CJ 540 a sei posti, lunga 3,79 metri) – è una fuoristrada inadatta all’asfalto (dove si rivela lenta ed estremamente rumorosa) ma perfetta in off-road grazie a sospensioni adatte a qualsiasi compito. Meno affidabile di una Jeep originale, ha un abitacolo molto spartano, freni poco potenti e uno sterzo durissimo.Mahindra CJ (1947): la tecnicaLa gamma motori della Mahindra CJ  – dotata di trazione integrale (posteriore + anteriore inseribile) – è piuttosto varia ma nel periodo di gloria nel nostro Paese – a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 (tempi d’oro per le 4×4, molto di moda all’epoca) – è stata venduta con un 2.1 diesel di origine Peugeot.Un’unità non molto potente ma ricca di coppia ai bassi regimi (104 Nm) abbinata ad un cambio manuale a quattro marce.Mahindra CJ (1947): le quotazioniLa Mahindra CJ è una fuoristrada adatta esclusivamente ai percorsi più duri: le sue quotazioni sono basse (1.000 euro) ma in realtà è impossibile trovare esemplari ben tenuti a meno di 4.000 euro.Un prezzo a nostro avviso troppo alto per un mezzo che non è altro che una brutta copia – oltretutto meno affidabile – di una Jeep originale.
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ACM (1988): passaporto italiano, DNA romeno

La ACM, prodotta dal 1988 al 1993, non è altro che una ARO 10 (SUV romena caratterizzata da prezzi contenuti ma anche da una particolare allergia all’affidabilità) rimarchiata, rifinita meglio e assemblata in Abruzzo.ACM (1988): le caratteristiche principaliLa ACM vede la luce nel 1988 quando l’importatore ufficiale italiano della Casa romena ARO decide di costruire nel nostro Paese uno stabilimento per assemblare una versione della 10 più curata nella tecnica e nell’estetica. La location prescelta per la fabbrica si trova in Abruzzo e più precisamente ad Atessa (dove ora vengono prodotte le moto Honda).Lunga meno di quattro metri e dotata di tre porte, è disponibile in tre varianti di carrozzeria: Berlina, Convertibile e Hard-Top. Spaziosa per i passeggeri posteriori (anche se accedere al divano non è semplice) e con un bagagliaio piuttosto ampio, punta sul prezzo basso per sedurre gli appassionati di 4×4 (veicoli parecchio di moda nella seconda metà degli anni ’80) del Bel Paese ma non riesce a scalfire la supremazia delle più affidabili piccole fuoristrada giapponesi.La ACM presenta numerosi difetti: una plancia poco ergonomica, una posizione di seduta troppo bassa, una ridotta altezza da terra che pregiudica le prestazioni in off-road, una leva del cambio tutt’altro che maneggevole e uno sterzo pesantissimo sulle versioni prive di servocomando.Tra le note positive segnaliamo invece le sospensioni morbide che garantiscono un buon comfort su asfalto, le marce ridotte e la trazione integrale (posteriore + anteriore inseribile). Frequenti le rotture della trasmissione e dei semiassi (componenti piuttosto fragili).ACM (1988): la tecnicaIl punto di forza della ACM, venduta dal 1988 al 1993, si trova sotto il cofano: la SUV abruzzese viene lanciata con due motori 1.6 Volkswagen – un benzina da 75 CV e un diesel da 53 CV – affiancati nel 1989 da un turbodiesel, sempre 1.6, da 69 CV.Propulsori eccellenti, più elastici che grintosi, penalizzati esclusivamente dai consumi eccessivi e dalla rumorosità marcata agli alti regimi.ACM (1988): le quotazioniLa ACM – troppo poco robusta per poter competere con le 4×4 rivali – non è interessante come auto d’epoca: i pochi esemplari rimasti sono fragili e complicati da riparare. Le quotazioni molto basse – circa 1.000 euro – non invogliano ad investire su una SUV che non ha lasciato molti bei ricordi ai suoi possessori.
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John Egan, l’uomo che salvò la Jaguar

Senza John Egan la Jaguar non esisterebbe più: negli anni ’80 questo manager ha risollevato la Casa britannica facendola tornare agli antichi splendori. Scopriamo insieme la sua storia.John Egan, la biografiaJohn Egan nasce il 7 novembre 1939 a Coventry (Regno Unito): dopo aver studiato Ingegneria del Petrolio all’Imperial College di Londra comincia a lavorare in Medio Oriente per la Shell.Successivamente si trasferisce alla AC Delco (azienda statunitense di componentistica auto) e poi nel colosso motoristico britannico British Leyland: qui si occupa della creazione, nel 1974, della sezione Unipart rivolta alla componentistica. Due anni più tardi passa nella società americana di mezzi agricoli Massey Ferguson.L’era JaguarJohn Egan viene nuovamente chiamato dalla British Leyland nel 1980 e nominato amministratore delegato della Jaguar, all’epoca il marchio più in crisi del Gruppo. La situazione è piuttosto critica: conti in rosso, operai in sciopero e lo storico stabilimento di Castle Bromwich sull’orlo della chiusura.Nel giro di pochi anni – soprattutto grazie ad una sapiente gestione dei fornitori – Egan migliora le cose al punto che nel 1984 – anno in cui il pilota britannico Tom Walkinshaw diventa campione europeo turismo al volante di una XJS – la Casa inglese viene scorporata da British Leyland, privatizzata e quotata in Borsa.Nel 1986 debutta la XJ XJ40 e John Egan viene nominato baronetto, due anni più tardi Jaguar torna a conquistare la 24 Ore di Le Mans con una XJR-12 guidata dai britannici Johnny Dumfries e Andy Wallace e dall’olandese Jan Lammers. Un’auto inglese torna al successo nella mitica corsa endurance francese dopo un digiuno di 13 anni.Dopo la JaguarNel 1989 la Jaguar viene venduta alla Ford: Egan, contrario, lascia la società e diventa amministratore delegato della HAA (Heathrow Airport Holdings, l’azienda che gestisce il primo aeroposto d’Europa per traffico passeggeri). Tre anni più tardi viene chiamato a gestire l’ufficio del turismo di Londra e nel 1999 lascia la HAA.John Egan diventa presidente della Confederation of British Industry (l’equivalente britannico della nostra Confindustria) nel 2002, carica che abbandona nel 2004 per diventare amministratore delegato della Severn Trent (specializzata in forniture idriche). Dal 2007 è rettore dell’Università di Coventry.
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Mercedes 190 SL: sì alla Mille Miglia

La Mercedes 190 SL potrà partecipare d’ora in poi alla Mille Miglia: dopo parecchie ricerche condotte presso gli archivi di Mercedes-Benz Classic la Casa della Stella ha scoperto che la spider tedesca corse la Brescia-Roma-Brescia nel 1956 e potrà quindi prendere parte alle rievocazioni storiche (aperte esclusivamente a veicoli che hanno gareggiato in questa mitica prova tra il 1927 e il 1957).«Siamo lieti di avere un’altra Mercedes-Benz alla Mille Miglia. Ciò significa che un numero ancora maggiore di appassionati del Marchio avranno occasione di partecipare all’evento», ha dichiarato Michael Bock, Responsabile di Mercedes-Benz Classic e del Customer Centre. «Negli ultimi anni la 190 SL ha visto aumentare fortemente le sue quotazioni come vettura da collezione, ed è diventata ricercata tanto quanto altre vetture della storia di Mercedes-Benz».
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Volkswagen Maggiolino, l’evoluzione del design

La Volkswagen Maggiolino non è una vettura come tutte le altre: la prima generazione è ancora oggi l’auto più venduta di sempre e il suo mito è stato portato avanti dalla seconda serie del 2011 (senza dimenticare l’intermezzo chiamato New Beetle del 1997).Di seguito vi racconteremo l’evoluzione del design della compatta tedesca e di come molte linee create negli anni ’30 siano ancora presenti oggi.Volkswagen Maggiolino prima generazione (1938)Il progetto della prima generazione della Volkswagen Maggiolino inizia nel 1934 quando Adolf Hitler contatta Ferdinand Porsche per commissionargli il progetto di un’auto dal prezzo accessibile in grado di trasportare cinque persone (o tre soldati e un mitragliatore).Il modello di serie – svelato nel 1938 – ha un design molto aerodinamico per l’epoca (“ispirato” alla cecoslovacca Tatra V570 del 1931): la scelta di adottare il motore posteriore consente di avere maggiore libertà di manovra sul frontale e di renderlo più corto.La prima modifica importante di design apportata alla prima generazione della Volkswagen Maggiolino arriva nel 1953 quando l’originale lunotto posteriore in due parti viene rimpiazzato da un vetro in pezzo unico.Cinque anni più tardi i vertici della Casa di Wolfsburg chiedono ad uno stilista d’eccezione – Sergio Pininfarina – consigli su come migliorare l’auto: il designer torinese risponde «È perfetta così, perché volete cambiarla?» e suggerisce solo di allargare il lunotto per incrementare la visibilità.Le superfici vetrate della prima generazione della Volkswagen Maggiolino vengono aumentate ulteriormente nel 1964 mentre tre anni dopo – con l’introduzione di fari anteriori quasi verticali e di paraurti più grandi – l’aerodinamica peggiora.La Maggiolone del 1970 ha un frontale più voluminoso e, di conseguenza, un bagagliaio più ampio. Nel 1972 è la volta della 1303, del volante a quattro razze, del parabrezza più grande e del cruscotto in plastica.Il 1973 è l’anno in cui la prima generazione della Volkswagen Maggiolino si presenta con i fari posteriori più grandi e il parabrezza bombato. Due anni dopo gli indicatori di direzione anteriori vengono spostati sul paraurti.Volkswagen New Beetle (1997)La Volkswagen New Beetle è una reinterpretazione in chiave futuristica della Maggiolino che deriva dalla Concept One mostrata al Salone di Detroit del 1994. Il prototipo piace talmente tanto che la dirigenza del brand tedesco decide di realizzare una versione di serie sfruttando il pianale e i motori della Golf.La compatta teutonica smette di essere l’auto del popolo (ruolo ricoperto proprio dalla Golf) e si trasforma in una vettura modaiola che conserva alcuni elementi stilistici del vecchio Käfer. Due su tutti: i parafanghi sporgenti e, all’interno, il vaso portafiori.Nel 2003 – in concomitanza con il lancio della Volkswagen New Beetle Cabriolet – arrivano le frecce integrate negli specchietti retrovisori mentre il restyling del 2005 porta leggeri cambiamenti ai paraurti e ai gruppi ottici.Volkswagen Maggiolino seconda generazione (2011)La seconda generazione della Volkswagen Maggiolino – disegnata dal nostro Walter de Silva e da Marc Lichte – conserva le proporzioni della storica prima serie, specialmente nella zona posteriore.Rispetto alla New Beetle ha un design più sportivo: merito della riduzione dell’altezza, dell’allungamento del cofano, del parabrezza più arretrato e più verticale e della linea del tetto più piatta e più larga come sulla concept Ragster mostrata al Salone di Detroit 2005.Molti sono gli elementi stilistici della seconda generazione della Volkswagen Maggiolino ispirati al modello originale: fuori spiccano i parafanghi sporgenti, i sottoporta e i proiettori di forma circolare.Dentro troviamo invece il cassetto portaoggetti “a filo” con la plancia situato di fronte al passeggero anteriore e nascosto da uno sportello che si apre verso l’alto tramite una leva argentata, gli strumenti supplementari (optional) posti sopra l’autoradio e il navigatore (indicatore della temperatura dell’olio, cronometro e indicatore della pressione di sovralimentazione), i braccioli sui pannelli porta verniciati in tinta con la carrozzeria e le maniglie sui montanti centrali che facilitano l’uscita dai posti posteriori.Sulla Volkswagen Maggiolino Cabrio seconda generazione – caratterizzata dalla cornice del parabrezza avanzata che non intralcia il guidatore – troviamo invece un omaggio alla New Beetle Cabrio: il roll-bar estraibile composto da due elementi integrati dietro il divano posteriore che fuoriescono quando si supera una determinata accelerazione trasversale o inclinazione.
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Valentino Rossi in WRC

«Quando finirò di correre con la MotoGP correrò in macchina», ha dichiarato Valentino Rossi dopo il Monza Rally Show. In attesa di vederlo nel WRC ripercorriamo insieme i tre rally iridati da lui disputati nel 2002, nel 2006 e nel 2008.Rally di Gran Bretagna 2002  (14-17 novembre)Dopo alcune apparizioni in gare minori sulle quattro ruote Valentino Rossi – reduce dalla conquista del primo titolo MotoGP della storia nel 2002 con ben quattro corse d’anticipo – decide di cimentarsi in una prova più impegnativa: il Rally di Gran Bretagna valido per il Mondiale.Il campione di Tavullia si presenta all’ultima tappa del WRC 2002 al volante di una Peugeot 206 gestita dal team italiano Grifone e sponsorizzata da Michelin e Total navigato dal fedele Carlo Cassina. Termina la prima prova speciale a Cardiff in 25° posizione ma è costretto al ritiro già in PS2 a causa di un incidente dovuto alla velocità eccessiva.Rally Nuova Zelanda 2006 (17-19 novembre)Dopo aver perso il Mondiale MotoGP 2006 nell’ultimo GP contro Nicky Hayden Valentino Rossi affronta il Rally di Nuova Zelanda, penultima prova del WRC, con una Subaru Impreza dando vita alla migliore gara su quattro ruote – fino a questo momento – della sua carriera.Termina la corsa in undicesima posizione e in tre prove speciali sorprende gli addetti ai lavori ottenendo dei tempi da “top 10”.Rally di Gran Bretagna 2008 (5-7 dicembre)L’ultima apparizione di Valentino Rossi nel WRC è in Gran Bretagna nel 2008: dopo aver ottenuto il sesto Mondiale nella classe regina dominando per l’intera stagione decide di correre su una Ford Focus l’ultima tappa iridata del Mondiale Rally.Dopo una prima giornata di gara contraddistinta da condizioni proibitive risale la classifica guidando in maniera molto razionale e termina in 12° posizione.
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Porsche 718: la polivalente

La Porsche 718 è una delle auto da corsa più polivalenti della storia: tra la seconda metà degli anni ’50 e la prima dei ’60 questa sportiva tedesca è stata capace di vincere su strada e in pista contro vetture più potenti. Scopriamo insieme l’evoluzione di questo mito del motorsport “made in Germany”.Porsche 718: la storiaLa Porsche 718 nasce ufficialmente nel 1957: non è altro che un’evoluzione della 550A (migliorie alla carrozzeria e alle sospensioni) dotata di un motore 1.5 quattro cilindri boxer da 144 CV.Gli anni ’50La sportiva teutonica debutta in gara il 22 giugno 1957 alla 24 Ore di Le Mans con il tedesco Edgar Barth e il nostro Umberto Maglioli ma per le prime soddisfazioni bisogna attendere l’anno successivo: terzo posto alla 12 Ore di Sebring con lo statunitense Harry Schell e il tedesco Wolfgang Seidel, seconda piazza alla Targa Florio con il francese Jean Behra e il nostro Giorgio Scarlatti, la vittoria alla 3 Ore di Rouen con Behra e il primo podio a Le Mans con Behra e Herrmann terzi sulla Sarthe.Nel 1959 la Porsche 718 chiude in terza posizione la 12 Ore di Sebring con lo svedese Jo Bonnier e il teutonico Wolfgang von Trips, che porta al debutto in F1 la sportiva di Zuffenhausen il 10 maggio in occasione del GP di Monte Carlo. Barth e Seidel salgono sul gradino più del podio della Targa Florio mentre Bonnier e von Trips arrivano secondi al Tourist Trophy.Le grandi vittorie e la F1Nel 1960 nasce la versione RS 60, realizzata per rispettare le nuove regole della federazione internazionale sulle dimensioni del parabrezza dell’abitacolo. Tra le altre novità segnaliamo le sospensioni riviste e l’introduzione di un motore 1.6 da 163 CV.La Porsche 718 RS 60 si rivela un’auto estremamente efficace: vince la 12 Ore di Sebring con il belga Olivier Gendebien e Herrmann (primo storico trionfo della Casa tedesca nella corsa endurance statunitense) e conquista la Targa Florio con il britannico Graham Hill affiancato da Bonnier e Herrmann (che arrivando sesto nel GP d’Italia porta a casa i primi punti in F1) e il campionato europeo montagna tra le sport con lo svizzero Heini Walter.Il 1961 – grazie alla 718 – si rivela il migliore anno in F1 per il marchio di Zuffenhausen: terzo posto nel Mondiale Costruttori e quarta piazza tra i piloti dello statunitense Dan Gurney (secondo in Francia, in Italia e negli USA).Nello stesso anno vedono la luce due evoluzioni della Porsche 718: la RS 61 (praticamente identica alla RS 60) e, soprattutto, la WRS. Quest’ultima monta inizialmente un quattro cilindri, rimpiazzato poco dopo da un otto cilindri boxer da 245 CV derivato da quello della monoposto di F1 804.Gli ultimi anniIl 1962 si apre con il terzo posto a Sebring con una RS 60 guidata da tre “yankee” (Bruce Jennings, Frank Rand e Bill Wuesthoff) e prosegue con la terza piazza alla Targa Florio ottenuta da Bonnier e dal nostro Nino Vaccarella su una GTR (versione coupé derivata dalla RS 61 e dotata di un propulsore a otto cilindri). Segnaliamo anche il terzo posto di Herrmann e Hill con la WRS alla 1.000 km del Nürburgring.Maggiori soddisfazioni per la Porsche 718 arrivano nel 1963 con il trionfo alla Targa Florio di una GTR guidata da Bonnier e dal nostro Carlo Mario Abate e con la conquista del campionato europeo della montagna tra le vetture Sport di Barth con una WRS.
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DKW 3=6 Cabriolet 4 posti (1955): tre cilindri, due tempi

La DKW 3=6 Cabriolet 4 posti del 1955 – restyling della Sonderklasse presentata due anni prima e antenata dell’Auto Union 1000 del 1958 – è una scoperta tedesca piuttosto rara da trovare (è stata prodotta in poco più di 100 esemplari, 103 per l’esattezza) contraddistinta da un curioso motore tre cilindri a due tempi.DKW 3=6 Cabriolet 4 posti (1955): le caratteristiche principaliLa DKW 3=6 Cabriolet 4 posti vede la luce nel 1955 e non è altro che una Sonderklasse modificata leggermente nell’estetica (mascherina meno imponente e più raffinata) e con un motore più potente.Prodotta solo per un anno, conserva gli stessi pregi – tenuta di strada eccellente (merito della trazione anteriore) e consumi contenuti quando si guida in modo tranquillo – e difetti (rumorosità eccessiva, ruggine, freni migliorabili e scarsa affidabilità) dell’antenata.DKW 3=6 Cabriolet 4 posti (1955): la tecnicaIl motore della DKW 3=6 Cabriolet 4 posti del 1955 è un’unità tre cilindri a due tempi da 0,9 litri da 40 CV alimentata dalla miscela olio/benzina abbinata ad un cambio manuale a quattro marce con la prima non sincronizzata. La velocità massima di 125 km/h è adeguata alle caratteristiche di questa “sportiva”.Il nome 3=6 viene scelto dalla Casa tedesca per indicare che il numero di fasi attive (una per ogni giro dell’albero motore) di un tre cilindri a due tempi è identico a quelle di un sei cilindri a quattro tempi.DKW 3=6 Cabriolet 4 posti (1955): le quotazioniNon fidatevi delle quotazioni della DKW 3=6 Cabriolet 4 posti del 1955 che recitano 6.500 euro: la scoperta tedesca è introvabile e la sua antenata (molto più facile da rintracciare in Germania) si porta a casa con 20.000 euro.
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Clay Regazzoni, pilota e playboy

Clay Regazzoni è stato un pilota veloce e talentuoso ma il suo stile di vita mondano gli ha impedito di conquistare il Mondiale F1. Scopriamo insieme la storia del pilota-playboy svizzero, interpretato da Pierfrancesco Favino nel film “Rush” del 2013.Clay Regazzoni: la storiaClay Regazzoni (vero nome Gianclaudio Giuseppe Regazzoni) nasce il 5 settembre 1939 a Lugano (Svizzera). Appassionato di motori fin da ragazzo, lavora come apprendista carrozziere a Mendrisio.Entra tardi nel mondo del motorsport: nell’aprile del 1963, a ben 24 anni, partecipa ad un corso di guida sportiva organizzato dall’Automobile Club elvetico sul circuito francese di Monthléry, acquista una Austin-Healey Sprite 950 e debutta in gara l’1 settembre nella corsa in salita del Marchairuz. Dopo poco tempo prende una Mini Cooper S, con la quale si cimenta nei rally e in pista.La F3Per migliorare le proprie doti di guida Clay Regazzoni frequenta la prestigiosa scuola di pilotaggio di Jim Russell a Monthléry, impara a condurre le F3 della Brabham e risulta il migliore del corso. Debutta con questa tipologia di monoposto l’11 aprile a Imola con una De Tomaso e due settimane più tardi prende parte alla 1.000 km di Monza come driver ufficiale della Scuderia Martinelli e Sonvico insieme al nostro Aldo Pessina al volante di un’Alfa Romeo Giulia TZ ma i due non riescono a tagliare il traguardo.Nel 1966 – anno in cui corre la 4 Ore di Monza con una Honda S600 – inizia a farsi notare in F3 e viene ingaggiato nel 1967 dalla scuderia Tecno: al volante delle veloci monoposto bolognesi ottiene i primi successi importanti.La F2Clay Regazzoni, sempre sotto contratto con la Tecno, sale di categoria nel 1968 correndo con le F2: l’anno seguente viene chiamato dalla Ferrari ma nella seconda metà della stagione, per via delle deludenti prestazioni della Casa di Maranello, torna alla Tecno.1970: un anno eccezionaleIl 1970 è un anno incredibile per Clay: domina il campionato europeo di F2 davanti al britannico Derek Bell e al brasiliano Emerson Fittipaldi e a giugno prende parte alla sua prima e unica 24 Ore di Le Mans con una Ferrari 512S insieme al nostro Arturo Merzario ma dopo pochi giri è costretto al ritiro a causa di un incidente.Clay Regazzoni debutta in F1 il 21 giugno nel GP d’Olanda con la Ferrari e sorprende tutti terminando la corsa in quarta posizione. Per la prima vittoria in carriera bisogna aspettare invece il GP d’Italia il 6 settembre.La prima stagione nel Circus del pilota svizzero si conclude con un successo, due secondi posti e un incredibile terzo posto nel Mondiale nonostante cinque GP non disputati su tredici. Con la Rossa risulta più lento del più esperto compagno belga Jacky Ickx ma più rapido del nostro Ignazio Giunti.Tra F1 e enduranceClay Regazzoni si alterna tra F1 e endurance con la Ferrari: nel 1971 porta a casa con le monoposto tre terzi posti (in una stagione nella quale risulta più lento di Ickx ma migliore dello statunitense Mario Andretti), tanti ritiri e un trionfo nella Race of Champions a Brands Hatch davanti ai britannici Jackie Stewart e John Surtees mentre con le ruote coperte sale sul gradino più alto del podio alla 9 Ore di Kyalami con una 312 PB guidata insieme all’inglese Brian Redman e termina in seconda posizione la 1.000 km di Brands Hatch in coppia con Ickx.Anche nel 1972 arrivano più soddisfazioni dalle Sport (primo alla 1.000 km di Monza con Ickx, alla 1.000 km di Zeltweg con Ickx e Redman e a Kyalami con Merzario) che dalle F1 (un secondo e un terzo posto, sempre più lento di Ickx ma più rapido di Andretti e di Merzario).Il passaggio alla BRM e il ritorno in FerrariClay Regazzoni corre il Mondiale F1 1973 con la BRM: ottiene due sesti posti come miglior risultato, convince meno del compagno francese Jean-Pierre Beltoise e se la gioca ad armi pari con un certo Niki Lauda.Nel 1974 torna in Ferrari e suggerisce ai vertici del Cavallino di ingaggiare il giovane talento austriaco: nella migliore annata di sempre del driver elvetico arriva un solo successo in Germania ma altri sei podi che gli consentono di lottare fino all’ultima gara per il titolo iridato (perso) e di ottenere risultati migliori del proprio coéquipier.Clay Regazzoni inizia a deludere con la Ferrari nel 1975: una sola vittoria in Italia corredata da due terzi posti in una stagione nella quale Lauda riesce a diventare campione del mondo. Criticato spesso per i suoi innumerevoli impegni fuori dai circuiti, disputa l’ultimo anno con la Rossa nel 1976 risultando ancora una volta più lento di Lauda (ma più brillante dell’argentino Carlos Reutemann) e portando a casa una vittoria nel GP degli USA Ovest e due secondi posti.Tre scuderie in tre anniNel 1977 Regazzoni trova un sedile alla Ensign, conquista due quinti posti ma nell’unico GP – quello di Monte Carlo – nel quale ha un compagno di scuderia (Ickx) non riesce a qualificarsi, a differenza del collega.Clay Regazzoni si trasferisce alla Shadow nel 1978 (altri due quinti posti, meglio del coéquipier tedesco Hans-Joachim Stuck) e torna a disputare una grande stagione nel 1979 con la Williams. Con il team britannico ottiene l’ultima vittoria in carriera (Gran Bretagna) e altri quattro podi ma il compagno australiano Alan Jones fa meglio di lui.L’incidente e la paralisiRegazzoni torna alla Ensign per disputare il Mondiale F1 1980 e disputa tre gare ottenendo come miglior piazzamento un 9° posto.Il 30 marzo sul circuito di Long Beach, sede del GP USA Ovest, si rompe il pedale del freno della monoposto di Clay Regazzoni mentre il driver elvetico sta affrontando il 51° giro. La vettura si schianta a 250 km/h, Clay viene ricoverato e nonostante numerosi interventi chirurgici perde l’uso delle gambe.La vita dopo l’incidenteDopo essersi reso conto di non poter più cammninare Clay si mette in contatto con la Guidosimplex, azienda romana attiva dal 1956 e leader nel settore dei sistemi di guida per disabili.Nel 1984 Clay Regazzoni apre un corso di guida sportiva per portatori di handicap a Vallelunga, nel 1992 crea la FISAPS (Federazione Italiana Sportiva Patenti Speciali) e l’anno seguente arriva dal Ministero della Sanità l’autorizzazione per i disabili a prendere parte a gare automobilsitiche.Gli ultimi anniRegazzoni partecipa nel 2005 alla Parigi-Dakar con un pick-up Isuzu adibito a veicolo stampa insieme a Stefano Venturini (presidente della Guidosimplex).Clay Regazzoni perde la vita in un incidente stradale in seguito ad un malore il 15 dicembre 2006 a Fontevivo (Parma) al volante della sua Chrysler Voyager.
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