Category Archives: Auto Classiche

Kia Sportage (1995): SUV d’epoca

La prima generazione della Kia Sportage – nata nel 1993 ma sbarcata nei listini italiani nel 1995 – è stata determinante per far conoscere il marchio coreano in Europa. Questa SUV – “mamma” di una serie di modelli apprezzatissimi in tutto il mondo – può avere un futuro come auto d’epoca: è stata la prima vettura del brand asiatico assemblata nel Vecchio Continente. Oggi analizzeremo la prima versione lanciata in assoluto (quella più interessante dal punto di vista storico), facile da trovare a meno di 2.000 euro.Kia Sportage (1995): le caratteristiche principaliLa Kia Sportage che arriva in Italia nel 1995 – costruita in Germania dal carrozziere Karmann – si fa subito notare dai nostri connazionali: merito del design moderno e tondeggiante e di un prezzo contenuto.Nonostante le forme da fuoristrada (ruota di scorta sporgente) e la trazione integrale (posteriore + anteriore inseribile) non è adatta all’off-road duro e puro – come tutte le SUV, d’altronde – ma chi si aspetta il comfort offerto dalle generazioni arrivate dopo può rimanere deluso visto che su asfalto è piuttosto rumorosa e ruvida.Kia Sportage (1995): la tecnicaLa Kia Sportage del 1995 (unico anno da noi preso in considerazione in quanto quello del lancio nel nostro Paese) è disponibile esclusivamente a cinque porte e monta un motore 2.0 aspirato a benzina di origine Mazda da 128 CV. Anche la base tecnica arriva dalla Casa giapponese e più precisamente dal veicolo commerciale Bongo.Kia Sportage (1995): le quotazioniAcquistare una Sportage del 1995 può essere un vero affare: questa SUV asiatica si trova facilmente, ha quotazioni basse (meno di 2.000 euro), può vantare un design ancora oggi gradevole ed è molto importante dal punto di vista storico perché è grazie a lei che la Casa coreana è diventata un colosso automobilistico.
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Fiat 124 Abarth Rally, la storia sportiva

La prima Fiat 124 Spider non è stata solo una scoperta affascinante ma anche una protagonista – con il marchio Abarth – dei rally: nella prima metà degli anni ’70, infatti, la sportiva torinese ha portato a casa due campionati europei e diverse vittorie anche a livello mondiale. Scopriamo insieme la carriera “racing” della scoperta piemontese.Fiat 124 Abarth Rally: la storia sportivaLa Fiat 124 Sport Spider vede la luce nel 1966 ma solo alla fine del decennio la Casa torinese decide di realizzare varianti destinate ai rally da fornire a piloti privati. Dopo alcune preparazioni di propulsori 1.4 si arriva, alla fine del 1969, alle prime 1.6 elaborate “ufficialmente”: due carburatori Solex doppio corpo e potenza portata a 155 CV.La prima vittoria importante della scoperta piemontese arriva nel 1970, con la conquista del campionato italiano grazie ad Alcide Paganelli, ma bisogna attendere la fine del 1971 (e l’ingresso definitivo dell’Abarth nella galassia Fiat) per le prime vere soddisfazioni agonistiche.1972Il 1972 – anno che segna la svolta per la Fiat nel motorsport – si apre con la presentazione al Salone di Ginevra, da parte di Pininfarina, del prototipo 124 Rally. Nel frattempo la scoperta piemontese ottiene i primi successi nel Campionato internazionale costruttori grazie allo svedese Håkan Lindberg (primo all’Acropoli e in Austria).Per quanto riguarda il campionato europeo, invece, il nostro Raffaele Pinto diventa il primo italiano di sempre a conquistare il titolo continentale rally grazie alle vittorie in Spagna (Costa Brava), in Austria (Semperit e 1000 Minuten), in Polonia e in Jugoslavia. Senza dimenticare il trionfo all’Elba di Luciano Trombotto.Al Salone di Torino del 1972 la Fiat presenta la 124 Abarth Rally. La versione più cattiva della spider piemontese è più leggera delle varianti normali: niente paracolpi, niente divanetto posteriore, niente pannelli fonoassorbenti, niente consolle centrale e niente sportello del vano portaoggetti.La dotazione di serie presenta cerchi in lega, sedili avvolgenti, roll bar, volante inedito, tetto rigido in vetroresina (smontabile solo da meccanici esperti in quanto fissato con piastrine e viti) e doppio scarico mentre alla voce “tecnica” segnaliamo il motore 1.6 portato a 128 CV (170 con il kit Abarth Corse per gareggiare) grazie alla diversa fasatura degli alberi a camme, al nuovo collettore di scarico e ai due carburatori doppio corpo Weber, il differenziale autobloccante, il retrotreno McPherson e gli pneumatici con sezione maggiorata.1973Nella prima edizione di sempre del Mondiale WRC la Fiat 124 Abarth Rally ufficiale realizzata dal Reparto Corse della Casa torinese, trasferitosi nella mitica sede di Corso Marche dello Scorpione, ottiene una vittoria in Polonia con il tedesco Achim Warmbold e due secondi posti con il finlandese Rauno Aaltonen (Acropoli) e il nostro Maurizio Verini (Sanremo).In autunno viene svelata una versione più evoluta della spider piemontese da gara caratterizzata dal propulsore dalla cilindrata maggiorata (da 1.756 a 1.839 cc) con 180 CV, dal cambio a innesti frontali, dai freni a disco anteriori autoventilanti e dagli ammortizzatori posteriori Koni.1974Nel 1974 la Fiat 124 Abarth Rally torna a montare il motore 1.756 (ma con 200 CV) e inizia il Mondiale alla grande con una tripletta in Portogallo: primo Pinto, secondo Paganelli e terzo il finlandese Marrku Alèn (che oltretutto chiude in terza posizione il 1000 Laghi).Altre modifiche tecniche effettuate alla fine dell’estate (serbatoio maggiorato e radiatore dell’olio spostato) e in ottobre (doppi ammortizzatori posteriori) consentono a Verini di vincere il campionato italiano e al nostro Giulio Bisulli (a Sanremo) e ad Alén (negli USA) di portare a casa due secondi posti iridati.1975L’ultima stagione vincente della Fiat 124 Abarth Rally vede Mikkola e Alén secondi e terzi a Sanremo, una doppietta Alén/Mikkola in Portogallo e il secondo posto di Verini (che ottiene anche il titolo europeo) a Sanremo. Lo “scudetto” va invece a Roberto Cambiaghi.La sportiva torinese corre ancora nel 1976 a Monte Carlo ma poi lascia spazio alla 131 Abarth, vettura che riuscirà (a differenza dell’antenata) a vincere il Mondiale.
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Milano AutoClassica 2016: le storiche protagoniste a Rho

Milano AutoClassica 2016, in programma a Fiera Milano Rho dal 18 al 20 marzo 2016, è un appuntamento imperdibile per gli appassionati di auto d’epoca. Un evento sempre più grande: quest’anno saranno ben undici, infatti, le Case ufficiali presenti (Abarth, Alfa Romeo, Aston Martin, Bentley, Infiniti, Jaguar, Lamborghini, Maserati, McLaren, Mercedes e Porsche).1.500 auto, oltre 350 espositori, aree dedicate ai ricambi originali, mercato privati e un circuito esterno per gare, esibizioni e test drive che ospiterà – tra le altre cose – la seconda edizione dell’Historic Rally Milano AutoClassica (corsa per vetture rally storiche che si sfideranno su un tracciato in asfalto lungo 1,4 km) e la prima edizione dell’Historic Speed Milano Auto Classica (prova di velocità per vetture storiche GT e Turismo): sono questi i punti di forza della rassegna lombarda.Milano AutoClassica 2016 sarà aperta dal 18 al 20 marzo 2016 dalle 09:30 alle 19:00. Il biglietto costa 18 euro (15 online), 15 euro (12,50 online) per donne e ragazzi da 13 a 17 anni ed è gratuito per i bambini fino a 12 anni. Per maggiori informazioni: www.milanoautoclassica.com.
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Vittorio Valletta, il simbolo della Fiat

Vittorio Valletta è stato uno dei personaggi simbolo della Fiat: in 45 anni ha trasformato la Casa torinese in un colosso industriale. Noto in azienda per essere stato il primo ad entrare e l’ultimo ad uscire, ha visto i momenti migliori e peggiori della società piemontese e ha attraversato due Guerre Mondiali, la motorizzazione di massa e il miracolo economico. Senza dimenticare le numerose opere sociali destinate ai dipendenti. Scopriamo insieme la sua storia.Vittorio Valletta, la biografiaVittorio Valletta nasce il 28 luglio 1883 a Sampierdarena (ora quartiere di Genova). Figlio di un ufficiale siciliano del Regio Esercito e di una lombarda, si trasferisce a Torino con la famiglia nel 1890. Nel 1903 ottiene il diploma di ragioneria, tre anni più tardi si sposa mentre nel 1909 ottiene la laurea presso la Scuola Superiore di Commercio del capoluogo piemontese.La Prima Guerra MondialeDopo aver insegnato in un istituto di ragionieria e lavorato in uno studio di commercialisti viene reclutato nel 1914 in vista dello scoppio della Prima Guerra Mondiale dalla DTAM (Direzione tecnica dell’Aviazione Militare) di Torino con il grado di Tenente del Genio Aeronautico con il compito di sovrintendere a tutte le forniture assegnate dal Ministero delle Armi alle diverse imprese.Durante il conflitto Vittorio Valletta perde il padre e nel 1918 entra nel mondo dell’automobile diventando procuratore per la Casa Chiribiri: qui si fa notare per la sapiente gestione del “biennio rosso” (scioperi e occupazioni) tra il 1919 e il 1920 favorendo il dialogo con gli operai.La chiamata in FiatValletta viene chiamato in Fiat da Giovanni Agnelli nel 1921 con il ruolo di direttore centrale, sette anni più tardi lascia la docenza all’Università di Torino e viene nominato direttore generale della Casa piemontese.Gli anni ’30 vedono la nascita della 508 (soprannominata “Balilla”) nel 1932 e della 500 (nota come “Topolino”) nel 1936. Tre anni dopo, in seguito alla scomparsa di Edoardo Agnelli, figlio del fondatore della Fiat, Vittorio Valletta viene nominato amministratore delegato.La Seconda Guerra MondialeDurante la Seconda Guerra Mondiale Valletta fa tutto quanto in suo potere per salvare l’azienda da lui gestita. Nel 1943 – durante l’occupazione tedesca del Nord Italia – riesce attraverso abili trattative con i nazisti a mantenere gli stabilimenti a Torino ma per questa ragione viene denunciato alla fine del 1944 dal CLN per collaborazionismo.Vittorio Valletta viene estromesso dalla Fiat al termine della guerra ma già nell’aprile del 1946 viene reintegrato in quanto il Consiglio di Gestione dell’azienda lo considera l’unico uomo in grado di portare avanti la società (specialmente dopo la morte – nel dicembre 1945 – di Giovanni Agnelli).Potere assolutoPoco dopo la nomina ad amministratore delegato diventa presidente dopo che l’allora 25enne Gianni Agnelli rifiuta il ruolo per godersi la giovinezza e inizia a far crescere la società disponendo – nel 1949 – del 21% dei prestiti totali concessi all’Italia per il Piano Marshall.Il ruolo di Vittorio Valletta nel secondo dopoguerra è fondamentale: risolleva la Fiat puntando sui settori auto e aerei, sugli aumenti di produzione e sugli incrementi salariali (gli operai della Casa torinese erano all’epoca i più pagati in Italia) e contribuisce all’industrializzazione del nostro Paese.Gli anni ’50Gli anni ’50 si aprono con il lancio della 1400 nel 1950, la prima Fiat dotata di carrozzeria portante, mentre nel 1953 è la volta della 1100/103. Due anni più tardi aiuta a fondare – insieme a Pirelli e Bianchi – l’Autobianchi.La vera svolta per Vittorio Valletta arriva sempre nel 1955 con la 600: l’auto che porta la motorizzazione di massa in Italia richiede numerosi operai per la sua produzione e questo porta alla massiccia immigrazione meridionale a Torino. L’anno successivo tocca all’innovativa 600 Multipla e risale al 1957 – anno nel quale la figlia Fede perde la vita – il debutto della mitica 500.Per stimolare le vendite della citycar torinese (non eccezionali all’inizio) Valletta le assegna ai dirigenti come auto aziendali con l’impegno di usarle per recarsi al lavoro.Gli anni ’60Nel 1962 Vittorio Valletta viene nominato Cavaliere di Gran Croce e due anni più tardi viene inaugurata l’Autostrada del Sole (realizzata anche grazie al supporto della Fiat).Il 1966 è un anno molto importante per Valletta: dopo aver contribuito alla nascita dello stabilimento siciliano di Termini Imerese e in procinto di andare in pensione, trova nel suo braccio destro Gaudenzio Bono il suo successore. Il ruolo di presidente, però, viene ricoperto da Gianni Agnelli.Vittorio Valletta, nelle vesti di presidente onorario, firma a maggio un accordo importantissimo con l’Unione Sovietica per la costruzione dello stabilimento di Togliatti destinato alla produzione delle 124. A novembre viene nominato senatore a vita ma scompare pochi mesi dopo – il 10 agosto 1967 a Pietrasanta (Lucca) – per un’emorragia cerebrale.
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Jo Siffert, la Svizzera nel motorsport

Jo Siffert è uno dei pochi piloti di umili origini ad essere riuscito a sfondare nel motorsport. Contraddistinto da uno stile di guida molto pulito, ha vinto (tanto) nell’endurance e (poco) in F1 ma nonostante fosse abituato a trattare con i guanti le proprie vetture non è mai riuscito a salire sul podio della 24 Ore di Le Mans. Scopriamo insieme la storia del driver svizzero.Jo Siffert: la storiaJo Siffert nasce il 7 luglio 1936 a Friburgo (Svizzera). Figlio di un droghiere, inizia ad appassionarsi alle corse a 12 anni dopo aver assistito al GP di Svizzera del 1948 e tre anni più tardi trova lavoro come apprendista in un’officina.Le corse con le motoNel 1957 inizia a correre in moto con una Gilera e una AJS e l’anno seguente si cimenta nel Motomondiale con una Norton nel Tourist Trophy (ritirato) e corre il Sidecar TT con una BSA. Nel 1959 si laurea campione elvetico nella classe 350.Il debutto con le autoAlll’inizio degli anni ’60 Jo Siffert passa alle auto e inizia a farsi notare nel mondo del motorsport nel 1961 quando in Belgio conquista il terzo posto nel GP des Frontières dietro allo zimbabwese John Love e al sudafricano Tony Maggs.L’esordio in F1Jo esordisce in F1 come privato al volante di una Lotus nel GP di Monaco 1962 mentre con la scuderia svizzera Filipinetti riesce a portare a casa come miglior piazzamento stagionale un 10° posto in Belgio.I primi punti nel Circus di Jo Siffert arrivano già l’anno successivo (6° in Francia). Sempre nel 1963 vince a Siracusa una gara non valida per il Mondiale e ottiene il primo podio nel Mondiale Sportprototipi grazie alla terza piazza conquistata alla 500 km di Spa con una Ferrari 250 GTO.Il passaggio alla BrabhamNel 1964, dopo aver corso a Monte Carlo con la Lotus, Siffert passa alla Brabham e porta a casa un quarto posto in Germania. Disputa le ultime gare stagionali con il Rob Walker Racing Team e al debutto con questa squadra sale sul podio (3°) negli USA facendo meglio del compagno di scuderia, lo statunitense Hap Sharp. Tra i successi minori segnaliamo la conquista del GP del Mediterraneo (non iridato) a Pergusa.Il debutto alla 24 Ore di Le Mans di Jo Siffert risale al 1965 (ritirato con una Maserati Tipo 65): nello stesso anno arriva un quarto posto in Messico in F1 e il bis del trionfo al GP del Mediterraneo.Il contratto con la PorscheNel 1966 Siffert viene chiamato dalla Porsche per correre nelle gare endurance: con la 910 arriva 2° alla 500 km di Zeltweg e ottiene il miglior risultato in carriera a Le Mans (4°) in coppia col britannico Colin Davis. In F1 corre a Monte Carlo con la Brabham ma poi passa alla Cooper (4° negli USA).L’anno successivo Jo Siffert porta a casa – sempre con la sportiva di Zuffenhausen – un 2° posto alla 1000 km di Spa e una terza piazza alla 6 Ore di Brands Hatch mentre nel Circus riesce a tagliare il traguardo in quarta posizione in Francia e negli USA.Le prime vittorieNel 1968 arrivano le prime grandi vittorie per Siffert: in F1, dopo aver corso con la Cooper in Sudafrica, passa alla Lotus e vince il suo primo GP in carriera (quello di Gran Bretagna). Con le sport fa ancora meglio: con la Porsche 908 vince la 24 Ore di Daytona insieme al britannico Vic Elford e ai tedeschi Hans Herrmann, Jochen Neerpasch e Rolf Stommelen e un mese più tardi sale sul gradino più alto del podio della 12 Ore di Sebring con Herrmann. Da non sottovalutare, inoltre, la conquista della 1000 km del Nürburgring con Elford e della 500 km di Zeltweg.Jo Siffert continua ad inanellare successi anche nel 1969: in coppia con il britannico Brian Redman porta a casa la 6 Ore di Brands Hatch, la 1000 km di Monza, la 1000 km di Spa, la 1000 km del Nürburgring e la 6 Ore di Watkins Glen mentre con il tedesco Kurt Ahrens, Jr. vince la 1000 km di Zeltweg. In F1 termina 3° a Monte Carlo e 2° in Olanda e riesce anche a correre con le Can-Am (3° a Bridgehampton).Sempre più PorscheIl legame di Siffert con la Porsche è sempre più stretto: il pilota elvetico nel 1970 in coppia con Redman vince la Targa Florio (con la 908) mentre con la 917 conquista la 1000 km di Spa e la 1000 km di Zeltweg. In F1 viene contattato dalla Ferrari ma la Casa di Zuffenhausen, per evitare che passi al “nemico”, gli trova un sedile in March. L’esperienza con la scuderia britannica non è delle migliori: perde il confronto diretto con il compagno neozelandese Chris Amon e ottiene come miglior piazzamento stagionale un misero 7° posto in Belgio.Il 1971Il 1971 – ultimo anno di Jo Siffert su questo pianeta – regala tantissime soddisfazioni al pilota svizzero. In F1 passa alla BRM, vince il GP d’Austria, arriva secondo negli USA (meglio del compagno canadese John Cannon) e termina il Mondiale in quinta posizione. Nellle prime cinque corse stagionali soffre la presenza del talentuoso compagno messicano Pedro Rodríguez (che scompare a luglio in Germania) mentre supera senza problemi il coéquipier neozelandese Howden Ganley. In Germania viene squalificato (il compagno Elford riesce invece a tagliare il traguardo) mentre nelle ultime prove dell’anno se la cava meglio del britannico Peter Gethin e dell’austriaco Helmut Marko. In Canada termina in 9° posizione (meglio del driver locale George Eaton).Per quanto riguarda le Sport Jo vince la 1000 km di Buenos Aires su una Porsche 917 insieme al britannico Derek Bell e porta a casa l’ultimo podio in carriera nel Mondiale Sportprototipi alla 6 Ore di Watkins Glen (2°) con l’olandese Gijs van Lennep.Jo Siffert perde la vita a Brands Hatch (Regno Unito) il 24 ottobre 1971 durante una gara di F1 non valida per il Mondiale in seguito alla rottura di una sospensione.
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Ferrari 208 GTB (1980): la Rossa lenta

Le Ferrari lente esistono e una di queste è la 208 GTB del 1980: questa sportiva del Cavallino, realizzata principalmente per il mercato italiano (sottoposto all’epoca ad un’elevata pressione fiscale sulle vetture oltre i due litri di cilindrata), montava infatti un motore 2.0 da soli 155 CV e raggiungeva una velocità massima di 215 km/h.È una coupé rara (160 esemplari venduti fino al 1982) ma solo perché (giustamente) poco apprezzata: molti “furbetti” cercano oltretutto di venderla a prezzi assurdi (oltre 60.000 euro) sfruttando il fatto che ha un design identico a quello della 308 GTB e che può vantare il Cavallino sul cofano. Il nostro consiglio è quello di non spendere più di 30.000 euro.Ferrari 208 GTB (1980): le caratteristiche principaliLa Ferrari 208 GTB nasce nel 1980 per venire incontro ai clienti italiani del Cavallino che cercano una sportiva sotto i due litri di cilindrata per risparmiare sulle tasse (piuttosto pesanti sopra questa soglia).Il design molto seducente (firmato Pininfarina) è lo stesso della 308 GTB mostrata cinque anni prima ma sotto il cofano c’è un propulsore decisamente meno cattivo: un 2.0 V8 aspirato da soli 155 CV.A parte questo dettaglio (piuttosto rilevante, a dire il vero) la 208 GTB può essere considerata una vera Ferrari: fuori è bellissima e dentro è impossibile non farsi sedurre dal Cavallino sul volante e dalla leva del cambio inserita nel selettore a griglia. Senza dimenticare il comportamento stradale eccezionale: freni potenti, sterzo diretto e una tenuta di strada eccellente.Le note negative riguardano esclusivamente la versatilità (elemento poco considerato dai clienti tipo della Casa di Maranello): le forme filanti penalizzano la visibilità posteriore e il bagagliaio anteriore è piccolo anche per un weekend in coppia.Ferrari 208 GTB (1980): la tecnicaIl motore posteriore della Ferrari 208 GTB è uno dei più piccoli V8 mai costruiti: un 2.0 aspirato da 155 CV – derivato da quello della Dino 208 GT4 – con quattro carburatori che consente alla sportiva emiliana di raggiungere una velocità massima di 215 km/h.Ferrari 208 GTB (1980): le quotazioniLa 208 GTB del 1980 dovrebbe essere una delle Ferrari più accessibili visto che le sue prestazioni non sono all’altezza del blasone del Cavallino (le quotazioni, non a caso, sono basse: 20.000 euro).Trovarla a queste cifre, però, è impossibile: molti cercano di fare i furbi vendendole a prezzi senza senso (oltre 60.000 euro). L’unico modo per contrastare questi venditori è di non accettare le loro proposte: spendere 30.000 euro per una delle sportive di Maranello più lente di sempre è già tanto.
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Porsche 959, la supercar che vinse la Parigi-Dakar

La Porsche 959 non è solo la supercar più tecnologica degli anni ’80: la sportiva tedesca fu addirittura capace – 30 anni fa – di vincere la Parigi-Dakar, il rally raid più famoso del mondo. Scopriamo insieme la breve carriera “racing” della coupé di Zuffenhausen.Porsche 959: la storia sportiva1985La Porsche 959 debutta nelle corse l’1 gennaio 1985 alla Parigi-Algeri-Dakar: la versione da gara della supercar a trazione integrale di Zuffenhausen è molto diversa dalla variante di serie che verrà lanciata ufficialmente diversi mesi dopo al Salone di Francoforte.Il motore – aspirato anziché sovralimentato – genera “solo” 231 CV anziché 449 e l’assetto rialzato garantisce un’altezza da terra di 30 cm adatta a superare senza problemi le superfici sconnesse.La Porsche, reduce dal trionfo alla Parigi-Algeri-Dakar dell’anno precedente con la 911, schiera nel 1985 tre 959 e le affida ad un “dream team” composto dagli ultimi due vincitori del mitico rally raid africano – il belga Jacky Ickx e il francese René Metge – e dal tedesco Jochen Mass, reduce dall’esperienza del 1984 con la Mercedes 500 SLC.Nonostante il supporto logistico fornito da una Mercedes classe G dotata di un motore preso in prestito dalla Porsche 928 S (l’unico modo per poter stare dietro alle velocissime supercar di Zuffenhausen) nessuna delle tre 959 riesce a tagliare il traguardo in Senegal.1986La Porsche si riscatta nella Parigi-Algeri-Dakar 1986 – in programma dall’1 al 22 gennaio – con una 959 più evoluta di quella precedente. Il motore 2.9 a sei cilindri contrapposti a doppia sovralimentazione genera 400 CV e permette alla sportiva teutonica di raggiungere una velocità massima di 242 km/h (invece di 315).La Casa di Stoccarda schiera tre vetture – caratterizzate da rinforzi al telaio e alle sospensioni e da un serbatoio maggiorato (330 litri) anziché 84 – e le affida a Metge, a Ickx e all’ingegnere tedesco Roland Kussmaul (che ha il compito di fornire assistenza tecnica ai due campioni).Metge domina la Parigi-Algeri-Dakar 1986 – un’edizione funestata dalla morte, in un incidente in elicottero, del creatore della corsa Thierry Sabine – con la Porsche 959 e riesce a tenersi dietro Ickx (2°) malgrado un inconveniente nell’ultima prova speciale che lo porta a ritrovarsi immerso nel fango. La vettura di supporto di Kussmaul riesce a terminare la corsa in sesta posizione.
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Eddie Jordan, chi è il nuovo presentatore di Top Gear

Eddie Jordan sarà uno dei nuovi presentatori TV di Top Gear: l’uomo che ha fatto debuttare in F1 Michael Schumacher è uno dei più grandi conoscitori del Circus e ha fondato una scuderia che è stata protagonista del motorsport negli anni ’90 e ’00. Scopriamo insieme la sua storia.Eddie Jordan: la storiaEddie Jordan nasce il 30 marzo 1948 a Dublino (Irlanda): inizia a lavorare come impiegato nella Bank of Ireland ma a 22 anni scopre il mondo dei kart e se ne innamora.La sua carriera da pilota – povera di soddisfazioni – è caratterizzata da numerose gare sui kart e sulle monoposto (Formula Atlantic, Formula Ford e F3). All’inizio degli anni ’80 tenta anche l’avventura nel Mondiale Sportprototipi ottenendo come miglior piazzamento un 3° posto alla 6 Ore di Silverstone 1981 in coppia con il tedesco Siegfried Brunn al volante di una Porsche 908/3.Nasce il team JordanNel 1979 Eddie Jordan fonda il team Jordan con l’obiettivo di portare a casa il campionato britannico di F3: la scuderia irlandese sfiora l’obiettivo nel 1983 quando il suo pilota – l’inglese Martin Brundle – perde all’ultima gara contro un giovane talento brasiliano (Ayrton Senna) e ci riesce nel 1987 grazie al britannico Johnny Herbert, primo davanti al belga Bertrand Gachot e al nordirlandese Martin Donnelly.Nel 1985 Eddie punta ancora più in alto iscrivendo la sua squadra nel prestigioso campionato International F3000, vinto nel 1989 grazie al pilota francese Jean Alesi.Lo sbarco in F1Nel 1991 Eddie Jordan decide di entrare in F1 con la scuderia che porta il suo nome e sorprende tutti nella stagione d’esordio ottenendo un quinto posto nel Mondiale Costruttori e facendo debuttare un giovane 22enne tedesco: Michael Schumacher.Tre anni più tardi si mette per l’ultima volta alla guida di un’auto da corsa prendendo parte – come VIP – ad una tappa della Porsche Supercup mentre nel 1994 arriva il primo podio della sua scuderia grazie al terzo posto del brasiliano Rubens Barrichello nel GP del Pacifico.Gli anni d’oroNel 1998 la Jordan vince il suo primo Gran Premio (quello del Belgio) con Damon Hill (gara impreziosita dal secondo posto del tedesco Ralf Schumacher) ma risale al 1999 la migliore stagione del team di Eddie. Il driver tedesco Heinz-Harald Frentzen con due vittorie (Francia e Italia) e altri quattro podi termina l’anno in terza posizione e permette alla scuderia irlandese di fare altrettanto tra i Costruttori.Il declinoLa crisi inizia nel 2003 dopo l’addio ai motori Honda e l’abbandono da parte del main sponsor DHL: nonostante questo il nostro Giancarlo Fisichella riesce a portare a casa in Brasile (con una buona dose di fortuna) l’ultima vittoria in F1 per la Jordan e per il glorioso propulsore Ford Cosworth.L’ultimo anno di Eddie in F1 è il 2005: all’inizio della stagione cede il team all’imprenditore russo-canadese Alex Shnaider (che ribattezza la scuderia Midland l’anno successivo) e sarà lui portare a casa l’ultimo podio nel Circus per la Jordan grazie al portoghese Tiago Monteiro, terzo in un GP degli USA molto strano (solo sei auto al via dopo che Michelin sconsiglia alle squadre che montano i suoi pneumatici di scendere in pista per motivi di sicurezza).Gli ultimi anniNel 2009 Eddie viene chiamato dalla TV britannica BBC per commentare il Mondiale F1 e in veste di giornalista porta a casa due scoop importantissimi: il ritorno di Michael Schumacher nel Circus nel 2010 e il passaggio di Lewis Hamilton nel 2013 dalla McLaren alla Mercedes.Nel 2016 Eddie Jordan condurrà Top Gear insieme ai giornalisti automotive inglesi Chris Harris e Rory Reid, all’attore statunitense Matt LeBlanc e alla pilota tedesca Sabine Schmitz.
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Jordan, l’Irlanda in F1

La Jordan, unica scuderia irlandese nella storia della F1, è stata una protagonista del Circus negli anni ’90 e Duemila. In 15 stagioni il team fondato da Eddie Jordan  – l’uomo che ha fatto debuttare Michael Schumacher nella massima categoria del motorsport – ha ottenuto quattro vittorie, 2 pole position, 2 giri veloci, 19 podi e una doppietta. Scopriamo insieme l’evoluzione di questa squadra.Jordan: la storiaLa Jordan, scuderia irlandese attiva e vincente in F3 e in F3000 negli anni ’80, decide di fare il salto di categoria debuttando in F1 nel 1991. La prima monoposto del team – la 191 (ancora oggi considerata una delle più sexy auto da corsa di sempre) – monta un motore 3.5 V8 Ford Cosworth e viene affidata al nostro Andrea de Cesaris e al belga Bertrand Gachot.Il debutto di SchumacherI primi punti arrivano al quinto GP in Canada (4° de Cesaris, 5° Gachot) ma la situazione si complica in estate quando il driver belga viene arrestato per aver aggredito un tassista londinese. Viene rimpiazzato a Spa da un giovane talento tedesco al debutto assoluto nel Circus (un certo Michael Schumacher) e in Italia e in Portogallo dal brasiliano Roberto Moreno. Nelle ultime tre gare stagionali viene invece schierato un altro debuttante: il nostro Alessandro Zanardi.Il Mondiale F1 1991 vede la Jordan sorprendentemente quinta nel campionato Costruttori grazie soprattutto ai due quarti posti di de Cesaris. Nel 1992 si assiste invece alla peggiore stagione di sempre: il nuovo motore 3.5 V12 Yamaha è poco affidabile e non molto brillante. L’unico punto iridato arriva nel’ultima prova grazie al nostro Stefano Modena, che fa meglio del compagno brasiliano Mauricio Gugelmin.Barrichello e IrvineNel 1993 la scuderia irlandese – con il nuovo motore 3.5 V10 Hart – scommette su un esordiente brasiliano (Rubens Barrichello) capace di terminare in 5° posizione il GP del Giappone. Il driver sudamericano viene affiancato nel corso della stagione da ben cinque compagni: i nostri Ivan Capelli, Marco Apicella ed Emanuele Naspetti, il belga Thierry Boutsen e il britannico Eddie Irvine.Il pilota nordirlandese si fa notare già nel suo primo GP in Giappone: chiude la gara a punti (6°) e al termine della corsa riceve un pugno in faccia dal vincitore Ayrton Senna come “punizione” per essersi sdoppiato. Il duo brasiliano/britannico mostra ottime cose anche nel 1994: Rubens ottiene il primo podio per la Jordan arrivando 3° nel GP del Pacifico mentre Eddie conquista diversi piazzamenti importanti ma viene squalificato per tre corse dopo aver innescato una pericolosa carambola nella prima prova stagionale. Viene sostituito inizialmente dal giapponese Aguri Suzuki e poi da de Cesaris (4° a Monte Carlo).Il motore 3.0 V10 Peugeot introdotto nel Mondiale F1 1995 consente alla monoposto irlandese di brillare in Canada: Barrichello 2°, Irvine 3° al primo piazzamento in “top 3” in carriera.La crescitaNel 1996 la Jordan si presenta nel Circus con un’inedita colorazione gialla (dovuta al nuovo sponsor Benson & Hedges) e con il pilota britannico Martin Brundle al posto di Irvine. Nessun podio ma buone prestazioni.L’anno seguente ci sono due nuovi driver: il nostro Giancarlo Fisichella (terzo in Canada e secondo in Belgio) e l’esordiente tedesco Ralf Schumacher. Il fratello minore di Michael riesce a salire sul podio (3° in Argentina) già alla terza gara in carriera.Gli anni d’oroGli anni d’oro della Jordan in F1 iniziano nel 1998 con l’arrivo dei motori Mugen Honda e del pilota britannico Damon Hill chiamato a sostituire Fisichella: dopo un inizio pessimo (zero punti nei primi otto GP) condito da numerosi problemi di affidabilità arriva una seconda parte di stagione grandiosa. Hill in Belgio regala a Eddie Jordan il primo successo per il team irlandese in una gara impreziosita dal secondo posto di Ralf Schumacher (3° in Italia).Il migliore Mondiale di sempre è però il 1999: 3° posto tra i Costruttori e il tedesco Heinz-Harald Frentzen (chiamato al posto di Ralf Schumacher) terzo tra i Piloti grazie a due trionfi (Francia e Italia) e ad altri quattro podi (secondo in Australia e terzo in Brasile, Germania e Belgio).Gli anni DuemilaNel 2000 inizia la parabola discendente della Jordan in F1: il nostro Jarno Trulli prende il posto di Hill ma l’unico che riesce a combinare qualcosa è Frentzen (terzo in Brasile e negli USA). Il driver tedesco ottiene come miglior risultato nel 2001 – anno in cui arriva il motore Honda – un quarto posto in Malesia (stesso piazzamento ottenuto da Trulli in Spagna) ma in seguito ad un litigio con Eddie Jordan viene rimpiazzato nel corso della stagione prima dal brasiliano Ricardo Zonta e poi dal francese Jean Alesi (6° in Belgio).Il Mondiale F1 2002 vede due nuovi piloti al volante della monoposto irlandese: Fisichella (tre volte quinto: Austria, Monte Carlo e Canada) e il giapponese Takuma Sato, quinto nel GP di casa.L’ultima vittoriaIl 2003 è l’anno in cui la Jordan si presenta con un motore Ford al posto del propulsore Honda: Fisichella conquista la prima vittoria in carriera trionfando a sorpresa in Brasile (ultimo successo per il team irlandese e per il glorioso propulsore dell’Ovale Blu) mentre il compagno di scuderia – l’irlandese Ralph Firman (rimpiazzato per due gare dall’ungherese Zsolt Baumgartner) si deve accontentare di un’ottava piazza in Spagna.Gli ultimi anniNel 2004 la scuderia irlandese – in piena crisi – sceglie come piloti il tedesco Nick Heidfeld (7° a Monte Carlo) e il nostro debuttante Giorgio Pantano, sostituito (a causa dell’assenza di sponsor) in quattro occasioni dal più talentuoso driver teutonico Timo Glock (7° in Canada).Prima dell’inizio del Mondiale F1 2005 Eddie Jordan vende il team da lui fondato all’imprenditore russo-canadese Alex Shnaider. L’ultima stagione nel Circus della squadra irlandese (che nel 2006 verrà ribattezzata Midland) vede una monoposto motorizzata Toyota che approfitta del GP degli USA (solo sei monoposto al via dopo che la Michelin decide – per ragioni di sicurezza – di non far correre le vetture che montano i suoi pneumatici) per far salire sul podio il portoghese Tiago Monteiro (3°) e per portare a punti (4°) l’indiano Narain Karthikeyan.
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Chevrolet Blazer K5 diesel (1982): 4×4 con un tocco di Hummer

La Chevrolet Blazer K5 diesel del 1982 – nota anche come GMC Jimmy K5 – potrebbe sembrare una fuoristrada americana come tante ma questa 4×4 “yankee” è stata la prima ad ospitare sotto il cofano il mitico motore 6.2 V8 a gasolio usato dal mezzo militare Humvee e dall’Hummer H1. Le sue quotazioni recitano 3.000 euro ma in realtà è praticamente impossibile trovare esemplari sani a meno di 7.000 euro.Chevrolet Blazer K5 diesel (1982): le caratteristiche principaliLa Chevrolet Blazer K5 diesel e la GMC Jimmy K5 diesel – varianti a gasolio della seconda generazione dei corrispondenti modelli a benzina svelati nel 1973 – vedono la luce nel 1982. Disponibili esclusivamente a trazione integrale, sono mezzi robusti e affidabili adatti agli impieghi più gravosi. Non chiamateli SUV, potrebbero offendersi…Nei primi anni di vita di questi modelli – non troppo ingombranti (4,69 metri di lunghezza) – si registrano numerose piccole modifiche estetiche nella zona del frontale mentre risale al 1989 il lancio di una mascherina più moderna e squadrata ispirata ai pick-up della serie K.Chevrolet Blazer K5 diesel (1982): la tecnicaIl motore della Chevrolet Blazer K5 diesel e della GMC Jimmy K5 diesel del 1982 è un 6.2 V8 aspirato a gasolio abbinato ad un cambio automatico a quattro rapporti – lo stesso adottato dalle ultime evoluzioni della Corvette C3 – in grado di generare una potenza di 130 CV. Questa unità verrà adottata anche dall’Hummer militare – l’Humvee – e dalla versione civile H1.Nel 1985 debutta una variante più potente da 151 CV (148 dal 1986), che abbandona le scene nel 1991.Chevrolet Blazer K5 diesel (1982): le quotazioniLa Chevrolet Blazer K5 diesel è una fuoristrada molto apprezzata come veicolo storico (meno la “gemella” GMC Jimmy K5 diesel). Si trova facilmente anche in Italia ma nonostante le quotazioni basse (3.000 euro) è impossibile trovare modelli ben tenuti a meno di 7.000 euro.
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