Category Archives: Auto Classiche

Dodge Coronet Lancer (1955): tanta nostalgia degli anni ’50

La Dodge Coronet Lancer, nata nel 1955 e prodotta solo fino al 1956, è una classica coupé statunitense anni ’50 caratterizzata da cromature e pinne. Tanto sexy quanto appariscente, si trova abbastanza facilmente negli USA a poco più di 20.000 euro mentre per le versioni sportive D-500 si sale sopra quota 35.000.Dodge Coronet Lancer (1955): le caratteristiche principaliLa sigla Lancer viene adottata nel 1955 per identificare la versione coupé della terza generazione della Dodge Coronet. Questa variante, disegnata da Virgil Exner e caratterizzata da pinne e cromature a profusione, ha una dotazione di serie che comprende, tra le altre cose, gli alzacristalli elettrici ed è la seconda configurazione di carrozzeria più venduta dopo la tradizionale berlina a quattro porte.Il pacchetto sportivo D-500 (500 esemplari per rispettare le regole NASCAR che obbligavano i costruttori a produrre modelli di serie simili a quelli usati nelle corse) viene svelato l’anno seguente: esteticamente si distingue per lo stemma con bandiere a scacchi incrociate e per la sigla 500 sul cofano motore e sul portellone del bagagliaio mentre per quanto riguarda il lato tecnico segnaliamo le sospensioni più rigide, i freni più potenti, il telaio rinforzato e l’assetto ribassato di 3,8 cm. Esiste una versione ancora più cattiva (e con ammortizzatori ancora più duri) chiamata D-500-1.Dodge Coronet Lancer (1955): la tecnicaIl motore della Dodge Coronet Lancer del 1955 è un 4.4 V8 da 177 CV mentre la versione D-500 ospita sotto il cofano un 5.2 V8 Hemi (con testate emisferiche) con carburatore quadruplo corpo da 264 CV abbinato ad un cambio automatico a tre rapporti. La D-500-1 arriva fino a 290 CV.Dodge Coronet Lancer (1955): le quotazioniLe quotazioni della Dodge Coronet Lancer, prodotta nel biennio 1955-1956, recitano 35.000 euro (42.000 per la D-500). In realtà le versioni 4.4 si trovano abbastanza facilmente a poco più di 20.000 euro mentre per le più pregiate Hemi bisogna sborsare oltre 35.000 euro.
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Renault 6 Sinpar (1970): versatile e 4×4

La Renault Sinpar 6 – variante a trazione integrale della compatta francese – è la 4×4 più accessibile tra quelle realizzate dalla Régie. In Italia è introvabile (più facile rintracciarle Oltralpe) ma le sue quotazioni sono inferiori a 5.000 euro.Renault 6 Sinpar (1970): le caratteristiche principaliLa Renault 6 Sinpar vede la luce nella prima metà degli anni ’70 in concomitanza con il debutto del motore 1.1 a benzina sotto il cofano della compatta transalpina. Il pianale della “segmento C” della Régie è simile a quello della 4 così come il sistema di trazione integrale, privo del differenziale centrale e del bloccaggio dei differenziali.Caratterizzata da un bagagliaio grande e da un comportamento stradale sicuro, presenta numerosi difetti: poco spazio per le gambe dei passeggeri posteriori, finiture non molto curate, prestazioni deludenti, sterzo duro e rumorosità marcata. Oltretutto bisogna fare attenzione alla ruggine. Il restyling del 1973 porta fari anteriori tondi, paraurti ridisegnati e una mascherina in plastica.Renault 6 Sinpar (1970): la tecnicaIl motore montato dalla Renault 6 Sinpar è un 1.1 a benzina da 47 CV. La stessa unità verrà usata – con opportune evoluzioni – anche dalla prima generazione della Clio negli anni ’90.Renault 6 Sinpar (1970): le quotazioniLe quotazioni della Renault 6 Sinpar recitano 4.000 euro ma in realtà la compatta transalpina è molto difficile da trovare: diversi esemplari sono infatti stati usati come “fornitori di ricambi” per le Renault 4 Sinpar, realizzate su una base tecnica molto simile ma più interessanti da restaurare.
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Lancia Ypsilon, l’evoluzione del design

La Lancia Ypsilon non è solo la piccola più amata dagli italiani ma anche una delle auto più acquistate dal pubblico femminile, sempre attento allo stile e al design. Le tre generazioni dell’elegante “segmento B” torinese in oltre vent’anni di carriera non hanno mai perso la capacità di sedurre.Di seguito vi racconteremo l’evoluzione del design della vettura più chic del listino e di come alcuni elementi di stile, nonostante il passare del tempo, siano stati conservati.Lancia Y (1995)La Lancia Y, nata nel 1995, impiega pochissimo tempo a conquistare il pubblico: merito del design “unisex” di Enrico Fumia – caratterizzato dalla presenza di forme ad arco – capace (a differenza delle Ypsilon che verranno dopo) di conquistare sia gli uomini che le donne.Tanti gli elementi di stile che colpiscono: i gruppi ottici e la calandra incorniciati all’interno di due archi (soluzione ripetuta anche al posteriore con l’alloggiamento della targa che prende il posto della mascherina), il cofano appoggiato sui parafanghi, le maniglie integrate nei montanti che contribuiscono a “pulire” la fiancata e l’originale fascia paracolpi che gira tutta intorno all’auto. Tantissime le possibilità di personalizzazione: dodici tinte disponibili più altre …100 da poter scegliere attraverso il programma Kaleidos.Nell’abitacolo della Lancia Y spicca la strumentazione centrale: una soluzione adottata per aumentare la distanza dagli occhi del guidatore facilitando in questo modo la lettura.In occasione del restyling del 2000 la piccola torinese si presenta con una calandra più grande e verticale e con stemmi più grandi per accentuare la presenza del marchio Lancia. Da non sottovalutare, inoltre, i gruppi ottici leggermente ritoccati, i paraurti più grandi e la fascia paracolpi non più nera ma verniciata nello stesso colore della carrozzeria. Dentro si segnala invece l’introduzione di un volante più elegante che ricorda quello della berlina Lybra.Lancia Ypsilon prima generazione (2003)Nel 2003 la Lancia Ypsilon cambia nome (per facilitare la pronuncia ai clienti stranieri), contenuti e design: forme più femminili, baricentro più alto che riduce l’aggressività e una linea sulla fiancata che tende verso il basso per far sembrare la vettura più “piantata a terra”.La parte più convincente è senza dubbio la coda, ispirata alla Ardea degli anni ’30 e contraddistinta da un portellone bombato e da gruppi ottici sviluppati in verticale. La presenza di numerose versioni bicolore contribuisce a rendere la piccola piemontese – che presenta una plancia sempre caratterizzata dalla strumentazione centrale – ancora più raffinata.La prima generazione della Lancia Ypsilon viene sottoposta ad un restyling nel 2006 (leggere modifiche al frontale e alla coda) e ad un lieve lifting nel 2010 (gruppi ottici più scuri e specchietti retrovisori più grandi).Lancia Ypsilon seconda generazione (2011)La seconda generazione della Ypsilon – svelata nel 2011 – rappresenta una rivoluzione in Casa Lancia: prodotta per la prima volta fuori dall’Italia (per la precisione in Polonia), è per la prima volta dotata di cinque porte. Le maniglie di quelle posteriori integrate nel montante riprendono l’idea adottata negli anni ’90 dalla Y.La zona posteriore è sempre ispirata alla Ardea ma non mancano alcuni elementi che strizzano l’occhio alla compatta Delta: nel profilo (separazione del padiglione dal montante posteriore) e nella coda (portellone “svuotato” centralmente). Restano le versioni bicolore (ma stavolta sul cofano e non più sul retro) mentre la mascherina viene modificata all’ultimo momento in seguito all’accordo tra Fiat e Chrysler: la scelta di adottare lamelle orizzontali consente di vendere la piccola torinese su altri mercati con il brand statunitense sul cofano senza apportare grossi cambiamenti.In occasione del restyling del 2015 la seconda generazione della Lancia Ypsilon si presenta con una nuova griglia anteriore con struttura a nido d’ape e un profilo superiore che riprende il colore della carrozzeria. Il frontale ridisegnato fa apparire la vettura più larga mentre la scelta di verniciare l’inserto nella parte inferiore del paraurti posteriore contribuisce ad incrementare notevolmente l’eleganza.
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Hans Herrmann, una vita per la Porsche

Hans Herrmann ha scritto pagine importanti della storia della Porsche e, tra le altre cose, ha regalato alla Casa di Zuffenhausen il primo successo alla 24 Ore di Le Mans. Scopriamo insieme la carriera del pilota tedesco, uno specialista dell’endurance.Hans Herrmann: la storiaHans Herrmann nasce il 23 febbraio 1928 a Stoccarda (Germania). Appassionato di motori fin da ragazzo, debutta nel mondo del motorsport nel 1952 sul circuito del Nürburgring al volante di una Porsche 356.L’anno seguente termina in seconda posizione il campionato tedesco di F2 davanti al teutonico Wolfgang Seidel, trionfa in altre due occasioni al Nürburgring con due modelli del marchio di Zuffenhausen (356 e 550), debutta alla 24 Ore di Le Mans in coppia con il connazionale Helmut Glöckler (16° assoluto con una 550) ed esordisce in F1 disputando il GP di Germania con una Veritas piazzandosi in nona posizione.La parentesi MercedesNel 1954 Hans Herrmann viene chiamato dalla Mercedes per correre in F1 e disputa una buona stagione impreziosita dal primo podio nel Circus (terzo in Svizzera) ma risulta complessivamente più lento dei due compagni di scuderia: l’argentino Juan Manuel Fangio e il tedesco Karl Kling.Con le Sport – e più precisamente con la Porsche 550 – si prende parecchie soddisfazioni: campione tedesco, primo al Nürburgring e terzo alla Carrera Panamericana (primo podio nel Mondiale Sportprototipi). Entra inoltre nella storia della Mille Miglia quando supera un passaggio a livello chiuso transitando sotto le sbarre poco prima dell’arrivo del treno.Nel 1955 Hans Herrmann arriva quarto nel GP d’Argentina con la Mercedes in una gara che vede trionfare il suo compagno di team Fangio.Bene con le Sport, male in F1Dopo alcune vittorie minori con la Porsche 550 nel 1956 Herrmann torna in F1 nel 1957: non riesce a qualificarsi nel GP di Monaco con la Maserati (la stessa auto guidata dal vincitore Fangio) e si ritira nel GP di Germania con una monoposto del Tridente della Scuderia Centro Sud (il coéquipier statunitense Masten Gregory termina in ottava posizione). Da segnalare, in quella stagione, anche altri trionfi con le sport al volante di una Borgward.Nel 1958 arriva il primo podio alla 24 Ore di Le Mans per Hans Herrmann (3° con una Porsche 718 RSK in coppia con il francese Jean Behra). Non così brillante, invece, l’annata in F1 con la Maserati: si ritira in Germania con la Scuderia Centro Sud e disputa le ultime due gare stagionali in Italia e Marocco con il team del pilota svedese Joakim Bonnier.Anche il Mondiale F1 1959 regala poche soddisfazioni ad Hans: corre il GP di Gran Bretagna con una Cooper della Scuderia Centro Sud e quello di Germania al volante di una BRM.Porsche a tempo pienoHans Herrmann inizia gli anni ’60 impegnandosi a tempo pieno con la Porsche: nel 1960 con la 718 RS 60 conquista la prima vittoria nel Mondiale Sportprototipi alla 12 Ore di Sebring con il belga Olivier Gendebien e si ripete alla Targa Florio con Bonnier.In F1, sempre con il marchio di Zuffenhausen, conquista l’ultimo punto in carriera arrivando sesto nel GP d’Italia e risultando più veloce del compagno tedesco Edgar Barth.Nel 1961 Hans Herrmann arriva terzo alla Targa Florio con Barth e la 718 RS 61 mentre in F1 disputa due GP (Monaco e Germania) con la Porsche ufficiale ottenendo risultati migliori di Bonnier ma peggiori di quelli conquistati dallo statunitense Dan Gurney e affronta il GP d’Olanda con una monoposto della scuderia Maasbergen facendo peggio del compagno, il driver locale Carel Godin de Beaufort. L’anno seguente è la volta del terzo posto alla 1.000 km del Nürburgring con una Porsche 718 WRS in coppia con il britannico Graham Hill.Abarth e ritornoDopo alcuni successi minori con l’Abarth tra il 1963 e il 1965 Herrmann viene richiamato dalla Porsche nel 1966 e torna alla vittoria nel Mondiale sportprototipi salendo sul gradino più alto del podio della 500 km di Zeltweg insieme al connazionale Gerhard Mitter. Nello stesso anno corre un GP di F1 (quello di Germania) con una Brabham e taglia per l’ultima volta in carriera il traguardo nel Circus (11°) a differenza del coéquipier britannico Alan Rees.Nel 1967 Hans Herrmann arriva secondo alla 1000 km di Spa con la Porsche 910 in coppia con lo svizzero Jo Siffert mentre l’anno seguente vince con la 907 la 24 Ore di Daytona insieme ai connazionali Jochen Neerpasch e Rolf Stommelen, al britannico Vic Elford e a Siffert. Con la stessa vettura conquista la 12 Ore di Sebring con Siffert e arriva secondo alla 1000 km del Nürburgring insieme a Stommelen. Con la 908 porta a casa una seconda piazza alla 500 km di Zeltweg con il connazionale Kurt Ahrens, Jr. e un terzo posto alla 1000 km di Spa con Stommelen.Il 1969 è l’anno in cui Hans porta a casa con la 908 un secondo posto alla 1000 km di Monza con Ahrens e, con Stommelen, una seconda piazza alla 1000 km del Nürburgring e una terza alla Targa Florio. Senza dimenticare il secondo posto a Le Mans con il francese Gérard Larrousse. In F1 corre il GP di Germania con una Brabham e si ritira, a differenza del coéquipier Stommelen.Le Mans e l’addio alle corseNei primi mesi del 1970 Hans Herrmann in coppia con il britannico Richard Attwood ottiene un paio di risultati interessanti con la Porsche 917: terzo alla 1000 km di Brands Hatch e secondo alla 1000 km del Nürburgring.La soddisfazione più grande per i due piloti arriva però a giugno quando regalano alla Casa di Zuffenhausen la prima vittoria in assoluto alla 24 Ore di Le Mans. Herrmann – che aveva promesso alla moglie che si sarebbe ritirato dal mondo delle corse in caso di trionfo nella più famosa corsa endurance del mondo – abbandona immediatamente il mondo del motorsport.
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Chevrolet Fleetmaster Station Wagon (1946): la forza del legno

La Chevrolet Fleetmaster Station Wagon – nata nel 1946 – non è la prima familiare “di legno” (l’idea di montare pannelli di questo materiale su un’auto risale infatti a prima della Seconda Guerra Mondiale) e neanche una delle più esclusive ma è sicuramente una delle più affascinanti. Le sue quotazioni recitano 100.000 euro ma si trova abbastanza facilmente negli USA a 80.000 euro: cifre comunque elevate.Chevrolet Fleetmaster Station Wagon (1946): le caratteristiche principaliLa Chevrolet Fleetmaster Station Wagon – variante familiare dell’ammiraglia statunitense – vede ufficialmente la luce il 23 maggio del 1946. Tanto ingombrante (5,27 metri di lunghezza e con un passo di 2,95 metri) quanto spaziosa (otto posti), ha una carrozzeria caratterizzata da vistosi pannelli di legno.Oltre ad essere l’auto più costosa della famiglia Fleetmaster è stata anche quella meno venduta: 800 esemplari prodotti nel primo anno di commercializzazione, 4.912 nel secondo e 10.171 nel 1948. Anche per questo motivo le quotazioni hanno mantenuto valori così elevati. In tre anni di carriera le uniche modifiche estetiche hanno riguardato la mascherina.Chevrolet Fleetmaster Station Wagon (1946): la tecnicaIl motore della Chevrolet Fleetmaster Station Wagon del 1946 è un 3.5 a sei cilindri in linea da 90 CV abbinato ad un cambio manuale a tre marce.Chevrolet Fleetmaster Station Wagon (1946): le quotazioniLe quotazioni della Chevrolet Fleetmaster Station Wagon – uno degli esempi più affascinanti di familiare americana “in legno” – hanno raggiunto livelli esorbitanti: 100.000 euro. In realtà con 80.000 euro si può trovare abbastanza facilmente un esemplare sano.
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Delahaye Type 112 (1927): dalla crisi alla grandeur

La Delahaye Type 112 – prodotta dal 1927 al 1929 – è una delle auto meno rappresentative della gloriosa Casa francese. I momenti migliori di questo storico brand, infatti, sono arrivati più tardi con il trionfo alla 24 Ore di Le Mans del 1938 e le tre vittorie al Rally di Monte Carlo (1937, 1939 e 1951). Un’auto d’epoca con questo marchio sul cofano, però, secondo noi non può mancare in una collezione esclusiva: meglio quindi puntare su un modello poco conosciuto (ma anche difficile da trovare) con quotazioni relativamente basse (35.000 euro).Delahaye Type 112 (1927): le caratteristiche principaliLa Type 112 nasce ufficialmente nel 1927, anno in cui la Delahaye – per superare la crisi che penalizza le Case automobilistiche medio-piccole in un mercato che preferisce puntare su brand grandi e conosciuti – sigla un accordo con la Chenard-Walcker per realizzare modelli in comune riconoscibili solo dallo stemma sul cofano.La vettura è robusta e affidabile come le sue antenate (in Francia viene usata spesso come camion dei pompieri o come ambulanza) ma non viene apprezzata dai fedeli clienti del marchio, delusi dalla mancanza di soluzioni tecniche ed estetiche originali.Delahaye Type 112 (1927): la tecnicaIl motore della Delahaye Type 112 del 1927 – un 2.9 a sei cilindri in linea a benzina abbinato ad un cambio manuale a quattro marce – permette alla vettura transalpina di raggiungere una velocità massima di 100 km/h.Delahaye Type 112 (1927): le quotazioniLa Type 112 – a causa dello scarso interesse storico – è una delle Delahaye più accessibili visto che le quotazioni recitano 35.000 euro (i modelli più interessanti superano abbondantemente quota 100.000). È molto difficile da trovare e gli unici esemplari sani ancora circolanti si trovano in Francia.
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Fiat Topolino: grande festa per gli 80 anni a Torino

La Fiat Topolino compie 80 anni e per celebrare il compleanno della prima auto italiana “accessibile” (prodotta dal 1936 al 1955) la città di Torino ospiterà numerosi eventi – dal 16 al 19 giugno 2016 – organizzati dal comitato “Ling80”.Giovedì 16 giugno 2016, ad esempio, oltre 200 esemplari saliranno lungo la famosa rampa ellittica del Lingotto e sosteranno sulla pista di collaudo posta sul tetto della storica fabbrica dove iniziò la produzione della vettura. Sempre giovedì una carovana di citycar piemontesi – guidata da un esemplare appartenuto al suo progettista Dante Giacosa ora in mostra al Centro Storico Fiat – sfileranno dal Lingotto al Castello di Pralormo.Nelle altre giornate le Fiat Topolino si metteranno in mostra alla Palazzina di Caccia di Stupinigi, al Castello di Racconigi, a Moncalieri e in tanti luoghi simbolo di Torino come Piazza Vittorio Veneto, lo Juventus Stadium, il Mirafiori Motor Village e il Museo dell’Automobile. Proprio al MAUTO, giovedì 16 giugno 2016 alle 18:30, si terrà un incontro sul patrimonio delle auto storiche dal titolo “Back to the future” a cura di Roberto Giolito, Head of Heritage FCA Italy.
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Rover 220 TD (1997): una diesel quasi sportiva

La Rover 220 TD, presentata nel 1995 e sbarcata in Italia nel 1997 – è stata una delle compatte diesel più vivaci della fine del XX secolo (specialmente nella versione SDi dotata di intercooler). Oggi è però più facile trovare le meno potenti SD a 1.000 euro: quotazioni molto basse dovute al fatto che stiamo parlando di un mezzo Euro 2 a gasolio impossibilitato a circolare in molte città per via delle norme anti inquinamento.Rover 220 TD (1997): le caratteristiche principaliLa Rover 220 TD – variante diesel della terza generazione della compatta 200 – debutta nel 1995 e arriva nei nostri listini due anni più tardi. Il pianale ha molti elementi in comune con quello della serie precedente mentre il design – più tondeggiante e ancora oggi gradevole – è decisamente più moderno.Lunga meno di quattro metri (3,98 per la precisione) e disponibile a tre (solo la versione più potente SDi) e a cinque porte, presenta alcuni difetti da non sottovalutare: poco coinvolgente su strada e con freni non molto potenti, è un po’ rumorosetta a freddo e per quanto riguarda gli interni (realizzati con buoni materiali male assemblati) segnaliamo il sedile del guidatore scomodo nei lunghi viaggi.Rover 220 TD (1997): la tecnicaIl punto di forza della Rover 220 TD – commercializzata dal 1997 al 2000 – è senza dubbio il motore: un eccellente 2.0 turbodiesel ad iniezione diretta disponibile in due configurazioni di potenza. La variante SD ha 86 CV mentre la SDi, grazie anche alla presenza dell’intercooler, può vantare ben 105 CV.Un’unità elastica, molto vivace e – cosa che non guasta – poco assetata di gasolio: in quasi tutte le condizioni di guida si resta facilmente sopra i 15 km/l. Peccato che sia Euro 2…Rover 220 TD (1997): le quotazioniLa migliore Rover 220 TD – la SDi – è anche quella più difficile da trovare in Italia. Più semplice rintracciare le meno cattive (ma anche meno interessanti dal punto di vista storico) SD a 1.000 euro.
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Tesla, la storia della Casa statunitense

La Tesla non ha inventato l’auto elettrica ma l’ha resa una realtà: prima dell’arrivo dei modelli della Casa statunitense – Roadster, Model S, Model X e Model 3 – consideravamo le vetture a batterie scomode e troppo soggette a compromessi, dopo abbiamo iniziato a ritenerle serie alternative ecologiche. Scopriamo insieme la storia del marchio che ha cambiato per sempre la nostra percezione dei veicoli ad emissioni zero.Tesla, la storiaTesla (nome scelto per omaggiare il noto fisico serbo Nikola Tesla) nasce nel 2003 in California grazie agli ingegneri Martin Eberhard e Marc Tarpenning. L’obiettivo dei due è quello di creare la prima Casa automobilistica della Silicon Valley e di realizzare vetture innovative dotate di un motore elettrico.Nel 2004 Elon Musk (cofondatore di PayPal) finanzia la società con 7,5 milioni di dollari e diventa amministratore delegato dell’azienda, occupandosi principalmente del design di quella che sarà la Roadster e della strategia commerciale. L’anno seguente Musk inietta nelle casse della società altri 13 milioni di dollari e sigla un accordo con la Lotus che porta il marchio britannico ad assemblare 2.500 Roadster – spider volutamente simile alla Elise nello stile – nello stabilimento di Hethel.La RoadsterLa Roadster – la prima Tesla di sempre – viene presentata ufficialmente nel 2006 ma per la commercializzazione bisogna aspettare il 2008 (anno in cui Musk diventa presidente della Casa “yankee”). La sportiva elettrica americana monta un motore da 251 CV che le consente di accelerare da 0 a 100 km/h in soli 3,9 secondi e un pacchetto di innovative batterie agli ioni di litio (una tecnologia avanzatissima per l’epoca) in grado di garantire un’autonomia superiore a 300 km.L’accordo con Daimler del 2009 porta nelle casse della società 50 milioni di dollari (in seguito all’acquisto del 10% delle azioni della Casa californiana da parte del colosso tedesco) e nello stesso anno arriva un prestito di ben 465 milioni (completamente restituito nel 2013) dal Dipartimento per l’energia statunitense.EvoluzioneNel 2010 viene aperta la prima vera fabbrica americana di Tesla a Fremont, in California: uno stabilimento precedentemente appartenuto ad una joint-venture tra Toyota e General Motors. La Roadster, intanto, beneficia di alcune modifiche (lievi cambiamenti allo stile esterno, interni più curati, climatizzatore più potente), sbarca ufficialmente nei listini italiani e porta al debutto la più cattiva variante Sport: 292 CV e 3,7 secondi sullo “0-100”. La produzione della prima sportiva elettrica “credibile” di sempre termina nel gennaio 2012: circa 2.450 gli esemplari venduti.La Model SLa Model S – ammiraglia elettrica a cinque porte disponibile a trazione posteriore o integrale con un’autonomia di oltre 400 km – contribuisce ad incrementare considerevolmente le vendite della Tesla e a togliere dalla nicchia questo brand.La berlinona ad emissioni zero californiana arriva nei listini italiani nel 2013 (anno in cui la Roadster smette di essere commercializzata ufficialmente nel nostro Paese) in tre varianti di potenza: 306, 367 e 421 CV. L’anno seguente la versione “base” sale a 307 CV, quella da 367 sale fino a 378 puledri, la “421” viene rimpiazzata da un modello da 380 CV e debutta la sportivissima configurazione da 700 CV che – grazie al pacchetto Ludicrous Mode (“velocità smodata”, citazione del film “Balle spaziali”) – impiega solo 2,8 secondi per scattare da 0 a 100 km/h. Sempre nel 2014 la Tesla rende open source la propria tecnologia e nello stesso anno vende ai proprietari di Roadster il pacchetto 3.0: batterie più potenti, pneumatici con basso coefficiente di rotolamento e un nuovo kit aerodinamico.La Model XRisale al 2015 l’inizio delle consegne della Tesla Model X: questa SUV elettrica realizzata sullo stesso pianale della Model S può vantare originali porte posteriori con apertura ad ali di gabbiano e dichiara un’autonomia superiore a 400 km. Contemporaneamente sulla Model S debutta il sistema di assistenza alla guida Autopilot, spariscono le versioni da 307, 378 e 380 CV (rimpiazzate da due varianti da 320 e 322 CV) e arriva una nuova configurazione da 422 CV.La Model 3Il 2016 è l’anno del restyling della Model S e della presentazione della Model 3: la prima Tesla destinata al grande pubblico è una berlina elettrica con un’autonomia di 346 km che sarà venduta ad un prezzo di 35.000 dollari. Per le prime consegne della vettura bisognerà attendere la seconda metà del 2017.
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Auto d’epoca: i capolavori Pininfarina ad Alassio

In occasione del Concorso d’Eleganza Pininfarina – che si terrà ad Alassio (Savona) dal 2 al 5 giugno 2016 – sarà possibile ammirare molti capolavori del carrozziere piemontese in un evento creato per celebrare i 90 anni dalla nascita di Sergio Pininfarina.Tra le vetture presenti – che saranno esposte sul lungomare in Piazza Partigiani e che sfileranno per le vie cittadine – troviamo pezzi unici come la Bristol 400 del 1947, la Cisitalia, le Ferrari 500 Superfast e la 410 Superamerica Superfast del 1965 e la 400 Superamerica del 1968, la Lancia Aurelia B24 e la Nash-Healey (nota per essere comparsa nel film Sabrina).Pininfarina mostrerà al Concorso d’Eleganza di Alassio altre tre concept moderne: la Sergio e la BMW Pininfarina Gran Lusso del 2013 e la H2 Speed del 2016.Venerdì 3 giugno 2016 alle 18 si terrà una parata celebrativa per le vie della città mentre per sabato 4 giugno 2016 alle 16:30 è prevista una sfilata e la presentazione delle auto dinanzi al Muretto di Alassio.Sabato ci sarà anche la premiazione del Concorso d’Eleganza Pininfarina di Alassio: le automobili saranno giudicate da una giuria internazionale presieduta da Paolo Pininfarina che assegnerà il riconoscimento “Best in Show” alla vettura che esprime al meglio la bellezza della firma Pininfarina e il Robert M. Lee Award al mezzo più elegante.Oltre ai premi della Giuria ci sarà anche un riconoscimento speciale – il Chairman’s Award attribuito personalmente da Paolo Pininfarina – mentre il Comune di Alassio assegnerà il premio Città di Alassio alla migliore convertibile. La famiglia Pininfarina attribuirà invece il Premio Speciale Sergio Pininfarina.
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