Category Archives: Auto Classiche
Alvis TE 21 Berlina (1963): voleva essere la Jaguar
La TE 21 Berlina del 1963 è una delle ultime creazioni della Alvis (Casa britannica fondata nel 1919, acquisita dalla Rover nel 1965 e non più attiva nella produzione di auto dal 1967). Questa elegante coupé a due porte dallo stile sportivo e dai contenuti tecnici obsoleti cercò senza successo di rubare clienti alla Jaguar (che costava meno grazie ai maggiori volumi di produzione) e oggi si trova facilmente nel Regno Unito a circa 25.000 euro.Alvis TE 21 Berlina (1963): le caratteristiche principaliLa Alvis TE 21 Berlina – prodotta dal 1963 al 1965 in poco più di 300 esemplari – è una due porte lunga 4,79 metri caratterizzata da un cofano lungo, da un frontale con doppi fari verticali e da uno sbalzo posteriore chilometrico. All’interno presenta materiali pregiati come legno e pelle ma come tutte le auto d’epoca inglesi di quel periodo non è il massimo dell’affidabilità.Alvis TE 21 Berlina (1963): la tecnicaLa Alvis TE 21 Berlina del 1963 è un’evoluzione della TD 21 (che a sua volta deriva dalla TC 108G, una TC 21 – che era un perfezionamento della TA 21 del 1950 – con una carrozzeria più sportiva.Non è monoscocca – pianale separato dalla carrozzeria (realizzata nientepopodimeno che da Mulliner Park Ward e derivata da quella della TC 108G costruita dall’atelier svizzero Graber) – e il motore (un 3.0 a sei cilindri in linea da 132 CV con molti elementi in comune con quello montato dalla TA tredici anni prima) consente alla sportiva inglese di raggiungere una velocità massima di 172 km/h.Alvis TE 21 Berlina (1963): le quotazioniLe quotazioni della Alvis TE 21 Berlina recitano 30.000 euro ma in realtà è facile trovare la coupé britannica nel Regno Unito a 25.000 euro (più costose ed esclusive le varianti scoperte Drophead, le analizzeremo in un’altra occasione).
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Quando la Chevrolet Cruze dominava il mondo (nel WTCC)
La Chevrolet Cruze – berlina statunitense commercializzata in Italia dal 2009 al 2015 – è stata una protagonista del motorsport all’inizio di questo decennio.In soli quattro anni la “segmento D” americana è stata infatti capace di portare a casa ben sette Mondiali Turismo WTCC: quattro Piloti (tre con il francese Yvan Muller nel 2010, 2011 e nel 2013 e uno con il britannico Robert Huff nel 2012) e tre titoli Costruttori. Scopriamo insieme la storia sportiva di questa vettura.Chevrolet Cruze WTCC: la storiaLa storia della Cruze WTCC inizia nel 2009 quando la Chevrolet decide di schierare una nuova berlina per rimpiazzare la vecchia Lacetti (da noi venduta con il nome Nubira). Il team, sempre gestito dalla scuderia britannica RML, è composto da tre piloti che già correvano l’anno precedente per il Cravattino: l’inglese Robert Huff, il nostro Nicola Larini e lo svizzero Alain Menu.La prima vittoria arriva già nella terza tappa iridata (in Marocco): gara 1 a Huff e gara 2 a Larini. La berlina “yankee” domina anche in Francia con Huff e Menu (vincitore in gara 1 nel Regno Unito) ma non basta per poter competere con le più veloci Seat Leon e BMW serie 3.L’arrivo di Muller e i primi titoliLa situazione per la Chevrolet cambia nel 2010: Larini si ritira e al suo posto arriva il francese Yvan Muller. Il driver transalpino vince il Mondiale Piloti grazie a tre successi (gara 1 in Brasile e Regno Unito e gara 2 in Italia) e consente alla Cruze di conquistare il suo primo titolo WTCC tra i Costruttori.L’era turboAnche con l’introduzione del nuovo motore 1.6 turbo nel 2011 la Chevrolet Cruze resta la vettura da battere nel WTCC: secondo titolo Costruttori per la Casa del Cravattino e un altro Mondiale per Muller (dominatore nel Regno Unito e vincitore di gara 1 in Germania e Spagna e di gara 2 in Ungheria, Repubblica Ceca e Cina).Il dominio statunitense prosegue nel 2012: terzo titolo Costruttori consecutivo e Mondiale Piloti a Huff (primo in gara 1 in Austria e vincitore di gara 2 in Slovacchia, Brasile, USA e Cina).Addio a ChevroletIl 2013 è il primo anno nel quale la Cruze corre nel WTCC senza il supporto diretto della Chevrolet: la berlina americana – gestita da RML – riesce comunque a regalare a Muller (dominatore in Italia e primo in gara 1 in Ungheria, in Russia, in Portogallo, in Argentina e a Macao) un altro campionato del mondo Piloti.Vittorie sporadicheIl debutto nel WTCC della Citroën C-Elysée nel 2014 coincide con il dominio assoluto nel Mondiale Turismo della compatta transalpina. La Cruze, sempre affidata a team privati, deve accontentarsi delle briciole ma riesce comunque a portare a casa due vittorie grazie al nostro Gianni Morbidelli in gara 2 in Ungheria con la scuderia tedesca Münnich e al britannico Tom Chilton, primo in gara 1 a Pechino con il supporto della squadra italiana ROAL.Dopo un 2015 privo di trionfi la Chevrolet Cruze ha modo di riscattarsi nel 2016 grazie all’olandese Tom Coronel, primo in gara 1 in Portogallo con una vettura ROAL.
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BMW e il motorsport: la storia
Il rapporto tra BMW e il motorsport è piuttosto contrastato: se è vero che i modelli sportivi di serie della Casa bavarese hanno regalato emozioni a diverse generazioni di automobilisti è altrettanto vero che il palmarès del brand di Monaco non è ricco quanto quello delle altre rivali “premium” tedesche. Di seguito troverete la storia sportiva del marchio teutonico, capace di conquistare – tra le altre cose – una 24 Ore di Le Mans e un mare di successi nel turismo.BMW e il motorsport: la storiaLa BMW nasce nel 1916 ma per la prima vittoria sportiva importante bisogna aspettare il 1938 quando una 328 guidata dal britannico Abiegeg Fane diventa la prima auto non inglese ad aggiudicarsi il RAC Rally. Due anni più tardi una 328 Berlinetta Touring conquista la Mille Miglia con il tedesco Huschke von Hanstein.Gli anni ’50Risale al 1952 il debutto della BMW in F1 con quattro monoposto private schierate nel GP di Germania: l’unico pilota a tagliare il traguardo – il tedesco orientale Ernst Klodwig – chiude in 12° posizione. Nello stesso anno il teutonico Alexander von Falkenhausen porta a casa il Rallye delle Alpi in Francia con la 328.Nel 1953 altre due monoposto BMW private disputano il GP di Germania di F1 (miglior piazzamento del tedesco orientale Rudolf Krause: 14°) mentre l’anno successivo, sempre durante la corsa tedesca, si vede in pista una Klenk dotata di un motore della Casa bavarese. Nel 1957 il tedesco Leopold von Zedlitz trionfa nel Rally di Germania con una 502.Gli anni ’60Negli anni ’60 le auto BMW cominciano a farsi valere nei campionati turismo: nel 1966 il tedesco Hubert Hahne porta a casa il titolo europeo con la 2000TI e l’austriaco Dieter Quester con la 2002 si aggiudica due titoli continentali consecutivi nel 1968 e nel 1969.Per quanto riguarda la F1 segnaliamo l’apparizione di una Lola di F2 motorizzata BMW nei GP di Germania del 1967 e del 1968.Nasce BMW MotorsportL’1 maggio 1972 nasce BMW Motorsport GmbH, la divisione sportiva della Casa di Monaco (General Manager Jochen Neerpasch, ex pilota ufficiale Porsche ed ex direttore sportivo Ford) e già l’anno seguente arrivano le prime soddisfazioni “ufficiali”: la conquista del campionato europeo turismo da parte dell’olandese Toine Hezemans con la 3.0 CSL e il successo nel Rally d’Austria valido per il Mondiale del tedesco Achim Warmbold al volante della 2002Tii.La 3.0 CSL domina i campionati turismo nella seconda metà degli anni ’70 (cinque titoli continentali consecutivi tra il 1975 e il 1979) e nel 1976 porta a casa persino la 24 Ore di Daytona con un equipaggio composto dallo statunitense Peter Gregg e dai britannici Brian Redman e John Fitzpatrick.I primi anni ’80Gli anni ’80 per BMW si aprono come si erano chiusi i ’70: con un dominio nel campionato europeo turismo. La 320 vince nel 1980, la 635 CSi nel 1981 e nel 1983 e la 528i nel 1982.Motorista in F1Nel 1982 BMW debutta ufficialmente in F1 come fornitore di motori per la Brabham: la prima vittoria arriva già nel primo anno di attività grazie al brasiliano Nelson Piquet primo in Canada. Il pilota sudamericano diventa campione nel mondo nel 1983, anno in cui arriva anche la fornitura di propulsori per la scuderia tedesca ATS.Nel 1984 – anno in cui il tedesco Volker Strycek vince la prima edizione del campionato tedesco turismo DTM con la 635 CSi – i motori BMW di F1 vengono montati anche dalla Arrows mentre l’anno seguente – in seguito all’abbandono della ATS – rimangono solo due i team del Circus dotati di unità “made in Monaco”.Il 1986 è l’anno della conquista del campionato europeo turismo da parte del nostro Roberto Ravaglia con la 635 CSi e del debutto in F1 della Benetton (che decide di esordire con motori BMW).Pista e rally con la M3Il 1987 è un anno importante per BMW Motorsport: rimasta in F1 solo con la Brabham, si riscatta con la mitica M3. La versione sportiva della serie 3 si aggiudica la prima edizione del Mondiale turismo con Ravaglia, il titolo europeo con il tedesco Winfried Vogt, il DTM con il belga Eric van de Poele e – non contenta – si fa valere anche nel Mondiale Rally WRC grazie al francese Bernard Béguin primo al Tour de Corse. Nel 1988 Ravaglia ottiene il titolo europeo turismo mentre l’anno successivo si aggiudica il titolo tedesco.Gli anni ’90 e Le MansGli anni ’90 sono poveri di risultati sportivi per BMW: nel 1993 BMW Motorsport cambia nome in BMW M e lascia il DTM mentre nel 1999 arriva la prima e unica vittoria del brand teutonico alla 24 Ore di Le Mans grazie alla V12 LMR guidata dal francese Yannick Dalmas, dal nostro Pierluigi Martini e dal tedesco Joachim Winkelhock.Gli anni DuemilaGli anni Duemila per BMW si aprono nel 2000 con il ritorno in F1 (sempre come fornitore di motori, ma questa volta per la Williams) e proseguono con la serie 3 dominatrice nel turismo con il britannico Andy Priaulx (campione europeo 2004 con la 320i e tre volte campione del mondo WTCC con la 320si tra il 2005 e il 2007).La BMW SauberNel 2006 BMW tenta l’avventura come costruttore in F1: acquista la scuderia svizzera Sauber, le cambia nome in BMW Sauber e corre per cinque stagioni portando a casa un secondo posto nel Mondiale Costruttori 2007, una quarta piazza iridata tra i Piloti con il polacco Robert Kubica nel 2008, una vittoria (Kubica Canada 2008), una pole position e 17 podi. Nel 2009 BMW abbandona la F1 ma per motivi di regolamento la BMW Sauber continua ad esistere sulla carta nel 2010 (ma con motori Ferrari).Il ritorno nel DTMBMW torna nel DTM nel 2012 dopo 19 anni di assenza e conquista subito il titolo grazie alla M3 e al canadese Bruno Spengler. La M4 guidata dal teutonico Marco Wittmann porta a casa altri due titoli tedeschi nel 2014 e nel 2016.
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Subaru Forester (1997): la station wagon con le ridotte
La prima generazione della Subaru Forester – nata nel 1997 – ha un futuro come auto d’epoca ed è molto difficile da classificare: c’è chi la considera una SUV a baricentro basso ma in realtà è una station wagon a trazione integrale dotata di marce ridotte (montate solo sulle versioni aspirate). Oggi si trovano senza problemi esemplari iperchilometrati a meno di 2.000 euro.Subaru Forester (1997): le caratteristiche principaliLa prima Subaru Forester debutta nei nostri listini nel 1997 e presenta numerosi alti e bassi: offre tanto spazio per la testa dei passeggeri posteriori (ma anche un bagagliaio poco capiente quando si abbatte il divano), finiture interne curatissime (ma con qualche imprecisione negli assemblaggi dei pannelli della carrozzeria) e tanta affidabilità (ma solo sugli esemplari sottoposti a manutenzione regolare: non è facile trovare qualcuno capace di metterci le mani). Il restyling del 2000 porta poche modifiche estetiche.Subaru Forester (1997): la tecnicaLa prima generazione della Subaru Forester viene lanciata nel 1997 in Italia con un solo motore: un 2.0 boxer aspirato a benzina da 122 CV abbinato ad un cambio con marce ridotte. L’anno seguente questo propulsore viene affiancato da un due litri sovralimentato da 170 CV (senza ridotte): un’unità vivace, ricca di coppia e caratterizzata da una spinta eccezionale ai bassi regimi penalizzata da una rumorosità marcata, da consumi elevati e dall’omologazione Euro 2.Nel 1999 il 2.0 aspirato passa a quota 125 CV. Il motore “entry-level” della station wagon giapponese – quello da noi consigliato – è brioso, ricco di cavalli e di coppia e contraddistinto da un sound unico (ma anche particolarmente fastidioso agli alti regimi) però beve molto. In occasione del restyling del 2000 la potenza del due litri turbo sale a quota 175 CV: la variante più cattiva della familiare delle Pleiadi ha una cilindrata contenuta in rapporto alla cavalleria (elevata, così come la coppia), è briosa, spinge bene ai bassi regimi e sa essere divertente nelle curve. Tra le note negative segnaliamo l’omologazione Euro 3, i consumi alti e la rumorosità evidente. Il 2001 è l’anno del debutto della 2.0 da 125 CV a GPL.Subaru Forester (1997): le quotazioniLe prime Subaru Forester – quelle prodotte dal 1997 al 2001 – si trovano senza problemi a meno di 2.000 euro: il difficile è trovare esemplari con pochi chilometri sul groppone. Il nostro consiglio è quello di puntare sulle aspirate dal 1999 in poi, quelle dotate del propulsore da 125 CV.
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Debutti in F1: i primi GP dei 10 piloti più grandi di sempre
In F1 il buongiorno non si vede dal mattino: analizzando i debutti nel Circus dei 10 piloti più grandi di sempre possiamo infatti notare che solo alcuni campioni sono stati capaci di mostrare le loro qualità già nella prima gara del Mondiale.Di seguito troverete un breve resoconto dei primi GP dei dieci piloti di F1 che sono stati capaci di conquistare almeno tre titoli iridati: da Juan Manuel Fangio a Lewis Hamilton passando per Michael Schumacher.Juan Manuel Fangio (Argentina)Juan Manuel Fangio – cinque volte campione del mondo F1 (1951, 1954-1957) – è già un pilota affermato quando, a 38 anni, prende parte al primo GP iridato di sempre (quello di Gran Bretagna del 1950). Al volante di un’Alfa Romeo si classifica in terza posizione ma è costretto al ritiro per una perdita d’olio.Jack Brabham (Australia)Jack Brabham – tre volte campione del mondo F1 (1959, 1960, 1966) – debutta nel Circus a 29 anni, dopo diversi successi in Oceania, con una Cooper al GP di Gran Bretagna del 1955. Si qualifica in ultima posizione (25°) e si ritira per un problema al motore.Jackie Stewart (Regno Unito)Jackie Stewart – tre volte campione del mondo F1 (1969, 1971, 1973) – dopo alcuni buoni risultati nelle gare locali esordisce nel Circus a 25 anni con una BRM nel GP del Sudafrica del 1965: undicesimo in qualifica e un punto iridato al debutto grazie al sesto posto finale.Niki Lauda (Austria)Niki Lauda – tre volte campione del mondo F1 (1975, 1977, 1984) – dopo essersi fatto notare in F2 debutta nella massima serie a 23 anni con la March nel GP d’Austria del 1971 senza brillare particolarmente: penultimo – 21° – in griglia e gara non terminata a causa di un’uscita di pista.Nelson Piquet (Brasile)Nelson Piquet – tre volte campione del mondo F1 (1981, 1983, 1987) – debutta nel Circus a 25 anni dopo aver dominato in Brasile e nel prestigioso campionato britannico di F3. Esordisce al GP di Germania del 1978 con una Ensign (21° in griglia e ritirato per un problema al motore).Alain Prost (Francia)Alain Prost – quattro volte campione del mondo F1 (1985, 1986, 1989, 1993) – è un “enfant prodige”: dopo aver vinto tutto il possibile nelle categorie minori (campione francese kart, campione francese ed europeo Formula Renault e F3) debutta nel Circus a 24 anni con la McLaren nel GP d’Argentina del 1980 e sorprende tutti con un 12° posto in griglia e il primo punto iridato (6° al traguardo).Ayrton Senna (Brasile)Ayrton Senna – tre volte campione del mondo F1 (1988, 1990, 1991) – dopo aver monopolizzato le categorie minori (campione britannico ed europeo Formula Ford e campione britannico F3) debutta nel Circus a 24 anni nel GP del Brasile del 1984 con la Toleman: 16° in griglia e ritirato per un problema al turbo.Michael Schumacher (Germania)Michael Schumacher – il pilota di F1 più grande di tutti i tempi (sette Mondiali: 1994, 1995, 2000-2004) – non è tra i giovani più talentuosi a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 (un campionato tedesco di F3 e poco altro). Sotto contratto con la Mercedes, esordisce con la Jordan (grazie a 150.000 dollari versati a Eddie Jordan dalla Casa tedesca) nel GP del Belgio del 1991 per sostituire il pilota belga Bertrand Gachot (arrestato in seguito ad una lite con un tassista). Michael colpisce tutti con un incredibile settimo posto in qualifica ma deve ritirarsi al primo giro per un problema al cambio.Sebastian Vettel (Germania)Sebastian Vettel – quattro volte campione del mondo F1 dal 2010 al 2013 – esordisce nel Circus a 19 anni con alle spalle un solo titolo nelle categorie minori (campionato tedesco di Formula BMW). Nel GP degli USA 2007 al volante della BMW Sauber si fa immediatamente notare con un settimo posto in griglia e il primo punto mondiale (8° al traguardo).Lewis Hamilton (Regno Unito)Lewis Hamilton – tre volte campione del mondo F1 (2008, 2014, 2015) – entra da ragazzo nel programma giovani della McLaren centrando diversi successi importanti nelle serie minori (campionato britannico Formula Renault 2.0, campionato europeo F3 e campionato GP2) e debutta nel Circus con la scuderia inglese nel 2007 stupendo il mondo. Nel GP d’Australia conquista il quarto posto in qualifica e sale addirittura sul podio (3°).
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Miki Biasion: l’ultimo campione del mondo rally italiano
Miki Biasion è l’ultimo pilota italiano ad aver conquistato il Mondiale rally: ha vinto due titoli iridati con la Delta e ha trascorso quasi tutta la carriera nel WRC al volante di vetture Lancia. Scopriamo insieme la storia del driver veneto.Miki Biasion: la storiaMiki Biasion nasce il 7 gennaio 1958 a Bassano del Grappa, in provincia di Vicenza. Ufficialmente avrebbe dovuto chiamarsi Michele ma la nonna, presa dall’emozione, lo registra all’anagrafe come Massimo.Appassionato di sport fin da ragazzo (sci) ma soprattutto di motori, gareggia da adolescente nel motocross ma dopo alcune brutte cadute decide di passare alle quattro ruote.Le prime esperienzeNel 1978 Miki Biasion al volante della Renault 5 della madre (e a sua insaputa) prende parte al primo rally della sua vita, una corsa semiclandestina sull’altopiano di Asiago. Dopo questa esperienza decide di acquistare una vettura da corsa e compra una Opel Kadett GTE Gruppo 1: come navigatore sceglie un compagno di liceo (Tiziano Siviero) che lo affiancherà per gran parte dei suoi successi.I due prendono parte al campionato italiano 1979 e affrontano la prima gara “vera” al Rally di Modena. L’anno seguente Miki vende la Kadett, acquista una Opel Ascona Gruppo 2 e sorprende tutti con un quinto posto assoluto al Targa Florio e una quarta piazza all’Elba, corse entrambe valide per il campionato europeo.I successi con la OpelNel 1981 Miki Biasion riesce a correre il campionato italiano con una Opel Ascona 400 Gruppo 4 grazie al sostegno finanziario offerto dai rivenditori del Triveneto della Casa tedesca, che creano la scuderia Concessionari Opel Tre Venezie. Primo podio in carriera la Colline di Romagna (3°). secondo al 100.000 Trabucchi e sesto assoluto al Sanremo valido per il Mondiale.L’anno seguente Biasion diventa pilota ufficiale Opel Italia e alla prima gara convince tutti portando a casa un terzo posto al Targa Florio (primo podio nel campionato europeo), la terza piazza al 4 Regioni e la prima vittoria in carriera al Rally della Lana (seguita dal trionfo al 100.000 Trabucchi).Il passaggio in LanciaMiki Biasion, deluso dall’ambiente del campionato italiano rally, rifiuta l’offerta di Opel di correre come prima guida nel 1983 e trova un sedile nel Jolly Club (scuderia satellite della Lancia). Al volante della 037 conquista il campionato europeo e quello italiano e ottiene numerose vittorie (Costa Brava e Sol in Spagna, Ypres in Belgio, Madeira in Portogallo, Costa Smeralda, 4 Regioni e San Marino).Nel 1984 viene premiato con un programma di cinque rally validi per il Mondiale: primo podio iridato grazie al secondo posto al Tour de Corse e terza piazza a Sanremo. L’anno seguente trionfa per due volte in Spagna (Costa Brava e Costa Blanca) e porta a casa la corsa greca Halkidiki.La Delta S4Dopo aver rifiutato l’offerta di Peugeot per correre il Mondiale con la 205 Turbo 16 Miki Biasion affronta la prima stagione iridata da ufficiale con la Lancia nel 1986 e con la Delta S4 conquista la prima vittoria “intercontinentale” in carriera (in Argentina).La Delta Gruppo AL’abolizione delle Gruppo B al termine della stagione 1986 porta all’arrivo delle meno potenti Gruppo A. Miki Biasion – con la Lancia Delta – vince la gara d’esordio del Mondiale 1987 a Monte Carlo ma perde la possibilità di lottare per il titolo (e di gareggiare nell’ultima tappa iridata in Gran Bretagna) dopo essersi rotto quattro costole durante un’escursione.Due Mondiali in due anniNel 1988 Miki Biasion diventa il primo campione del mondo rally “latino” della storia (Sandro Munari nel 1977 si era aggiudicato la Coppa FIA Piloti) grazie alle vittorie in Portogallo, al Safari, all’Acropoli, all’Olympus e a Sanremo.Il driver veneto bissa il trionfo Mondiale nel 1989 portando a casa altri cinque successi (Monte Carlo, Portogallo, Safari, Acropoli e Sanremo).La crisi e l’addio alla LanciaI primi anni ’90 sono poveri di risultati per Miki Biasion: nel 1990 arrivano due vittorie in Portogallo e Argentina mentre l’anno seguente si deve accontentare di tre secondi posti (Monte Carlo, Argentina e Sanremo). Al termine del Mondiale 1991 la Lancia abbandona ufficialmente i rally.Gli ultimi anni in FordBiasion trova nel 1992 un sedile in Ford e con la Sierra porta a casa un secondo posto in Portogallo. La situazione migliora l’anno seguente con la Escort, che gli permette di conquistare l’ultimo trionfo iridato in carriera (all’Acropoli).L’ultima stagione iridata di Miki Biasion – nel 1994 – si conclude con due terze piazze rimediate in Portogallo e a Sanremo.Rally e rally raidMiki continua a correre nel 1995 con team privati in due rally non validi per il Mondiale: si ritira all’Acropoli con una Lancia Delta mentre arriva quarto a Sanremo con la Subaru Impreza. Nello stesso anno si cimenta anche in pista nel Trofeo Maserati.Nel 1997 Miki Biasion inizia a correre nei rally raid con i camion e alla guida dell’Iveco Eurocargo porta a casa due Coppe del Mondo consecutive nel 1998 (Rally di Tunisia, Rally dei Faraoni e Abu Dhabi Desert Challenge) e nel 1999 (Tunisia, Faraoni, Abu Dhabi e Rally del Marocco).Il terzo millennioAll’inizio degli anni Duemila Biasion viene chiamato dalla Fiat per sviluppare la Punto Super 1600, vettura che nel 2003 si aggiudicherà il campionato italiano rally con Paolo Andreucci.Nel 2002 Miki Biasion torna nel mondo dei rally raid con la Mitsubishi Pajero (vettura con cui l’anno seguente termina la Dakar in seconda posizione prima di essere penalizzato a fine gara per un problema tecnico).Il 2006 è l’anno in cui Biasion tenta, senza successo, di terminare la Dakar con una Fiat Panda Cross 4×4. Va meglio cinque anni più tardi quando con un camion Iveco si aggiudica il Rally del Marocco.I rally storiciNegli ultimi anni è stato possibile ammirare spesso Miki Biasion cimentarsi nei rally storici: nel 2013 corre in Nuova Zelanda con una Porsche 911 mentre dal 2014 partecipa a diversi eventi al volante delle Lancia 037 e Delta, le auto alle quali è maggiormente legato.
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Saab 9-3 Viggen (1999): dalla Svezia con furore
La Saab 9-3 Viggen – variante sportiva della prima generazione della berlina svedese – è un’auto molto rara: in Italia è stata infatti commercializzata tra il 1999 e il 2000 in soli 37 esemplari. Le quotazioni sono molto basse (2.000 euro): il problema è trovare qualcuno disposto a disfarsene.Saab 9-3 Viggen (1999): le caratteristiche principaliLa Saab 9-3 Viggen – disponibile nel nostro Paese solo a tre porte – è una berlina scandinava a trazione anteriore (occhio al sottosterzo marcato nelle curve prese ad alta velocità) sportiva e versatile: il pratico portellone garantisce un accesso agevole all’ampio bagagliaio (494 litri che diventano 1.314 quando si abbattono i sedili posteriori) e il pianale GM condiviso con la Opel Calibra, con le prime due serie della Opel Vectra e con la prima Saab 9-5 offre un comportamento stradale convincente.Stiamo parlando, insomma, di una “segmento D” fuori dagli schemi molto piacevole da guidare: merito di un cambio maneggevole, di freni potenti e – soprattutto – di un motore che spinge forte a qualsiasi regime. L’unica nota negativa riguarda la visibilità, penalizzata dalla forma particolare della coda.Saab 9-3 Viggen (1999): la tecnicaLa Saab 9-3 Viggen del 1999 ospita sotto il cofano un motore 2.3 sovralimentato a benzina da 230 CV e 350 Nm di coppia. Un propulsore reattivo (la coppia massima viene sviluppata a 1.900 giri!) capace di offrire prestazioni davvero brillanti: 250 km/h di velocità massima e 6,8 secondi per accelerare da 0 a 100 chilometri orari. Il tutto con consumi non esagerati: 10,4 km/l dichiarati.Saab 9-3 Viggen (1999): le quotazioniNonostante sia una berlina introvabile le quotazioni della Saab 9-3 Viggen del 1999 sono molto basse: 2.000 euro. Il motivo? È un modello di nicchia apprezzato solo da pochi appassionati. Senza dimenticare che non è ancora d’epoca.
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Emerson Fittipaldi: il più grande pilota degli anni ’70
Emerson Fittipaldi è stato il pilota più grande degli anni ’70: nella prima metà del decennio ha portato a casa due Mondiali F1 e ha “sprecato” gli anni successivi cercando di far vincere la scuderia fondata dal fratello maggiore Wilson. Scopriamo insieme la storia del driver brasiliano, capace di trionfare anche negli States (due 500 Miglia di Indianapolis e un campionato CART).Emerson Fittipaldi: la storiaEmerson Fittipaldi nasce il 12 dicembre 1946 a San Paolo (Brasile). Figlio di uno dei più famosi giornalisti locali specializzati in motorsport, inizia a gareggiare a 14 anni con le moto e a 16 con gli aliscafi ma passa ai più sicuri kart dopo un brutto incidente.Le prime esperienzeNel 1965 debutta con le auto di serie nelle gare brasiliane al volante di una Renault Dauphine e di una Willys Interlagos e ottiene il primo podio (3° alla Mil Milhas in coppia con il connazionale Jan Balder) l’anno successivo con una DKW Malzoni.Emerson Fittipaldi inizia a farsi conoscere nel 1967 quando si aggiudica il campionato nazionale di Formula Vê e conquista la 6 Ore di Interlagos insieme al fratello maggiore Wilson con una Volkswagen Karmann Ghia. L’anno seguente i due portano a casa la 12 Ore di Porto Alegre con un prototipo Volkswagen.Il trasferimento in EuropaFittipaldi si trasferisce in Europa nel 1969, corre in Formula Ford e si aggiudica il prestigioso campionato britannico di F3. Nel 1970 diventa campione brasiliano Formula Ford 1600, chiude in terza posizione il campionato europeo di F2 dietro allo svizzero Clay Regazzoni e al britannico Derek Bell e debutta in F1.Il debutto in F1Emerson Fittipaldi debutta in F1 come terzo pilota Lotus nel 1970 nel GP di Gran Bretagna. Porta a casa i primi punti già nella seconda gara (quarto in Germania) e risulta complessivamente più lento del compagno austriaco Jochen Rindt (ma più rapido del britannico John Miles).La morte di Rindt e l’addio alle corse di Miles (scosso dall’incidente del coéquipier) portano Fittipaldi a diventare prima guida della scuderia britannica: Emerson non delude andando a vincere il GP degli USA e risultando più rapido del compagno svedese Reine Wisell. La situazione si ripete nel 1971 con due terzi posti (in Gran Bretagna va meglio del sudafricano Dave Charlton) e una seconda piazza in Austria.Il primo MondialeNel 1972 Emerson Fittipaldi diventa il più giovane campione del mondo della storia della F1 (record che verrà battuto solo nel 2005 da Fernando Alonso) con quattro vittorie (Spagna, Belgio, Austria e Italia) e con piazzamenti migliori di quelli del compagno australiano David Walker. Nelle ultime due gare (con il titolo già vinto), però, si rilassa e fa peggio di Wisell. L’anno seguente ottiene tre successi (Argentina, Brasile e Spagna), va meglio del nuovo compagno di scuderia svedese Ronnie Peterson e termina il Mondiale in seconda posizione.La McLaren e il secondo MondialeFittipaldi passa nel 1974 alla McLaren e conquista il secondo Mondiale F1 in carriera grazie a tre vittorie (Brasile, Belgio e Canada). Risulta sempre più veloce del compagno neozelandese Denny Hulme e dei tre “terzi piloti” del team inglese: i britannici Mike Hailwood e David Hobbs e il tedesco Jochen Mass. L’anno successivo termina il campionato in seconda posizione (meglio di Mass) con due successi (Argentina e Gran Bretagna).La CopersucarEmerson Fittipaldi prende una decisione clamorosa nel 1976: dopo quattro stagioni condite da due Mondiali e due secondi posti il pilota più forte del momento decide di lasciare la McLaren per correre con la Copersucar, scuderia fondata l’anno prima dal fratello maggiore Wilson. Fa meglio del connazionale Ingo Hoffmann e porta a casa tre punti grazie a tre sesti posti rimediati in tre GP (USA Ovest, Monte Carlo e Gran Bretagna).La situazione migliora nel 1977 (sempre più veloce di Hoffmann, porta a casa tre quarti posti in Argentina, Brasile e Olanda) e l’anno successivo regala alla Copersucar il primo e unico podio grazie ad un incredibile secondo posto in Brasile. Nel 1979 fa meglio del connazionale Alex Ribeiro ma va una sola volta a punti con un sesto posto in Argentina.Addio alla F1Nel 1980 la Copersucar cambia nome in Fittipaldi ed Emerson non è più brillante come un tempo: più lento del finlandese Keke Rosberg, ottiene l’ultimo podio in carriera (3° USA Ovest) e al termine della stagione appende il casco al chiodo e si limita a gestire la scuderia fino al 1982.Ritorno in pistaFittipaldi torna in pista nel 1984 nel campionato CART, porta a casa la prima vittoria nel 1985 (Michigan) e nel 1989 si laurea addirittura campione con una Penske Chevrolet del team Patrick grazie a cinque vittorie (500 Miglia di Indianapolis, Detroit, Portland, Cleveland e Nazareth).Nel 1993 Emerson Fittipaldi ottiene il secondo successo a Indianapolis con una Penske Chevrolet e due anni più tardi abbandona la serie.Il terzo millennioEmerson Fittipaldi rientra nel mondo del motorsport nel 2005 quando si occupa della gestione della squadra brasiliana nel campionato A1 GP ma non ha nessuna intenzione di abbandonare il ruolo di pilota. Torna in pista nel GP Masters, affronta il campionato brasiliano GT3 del 2008 con una Porsche 911 e nel 2014 corre la 6 Ore di San Paolo – valida per il Mondiale Endurance WEC – al volante di una Ferrari 458 Italia GT2.
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Dodge, la storia della Casa statunitense
La Dodge non è solo una delle Case statunitensi più sexy in circolazione (ha inventato la Charger, la Challenger, il Ram e la Viper, per dire) ma anche un marchio con oltre un secolo di storia che ha portato diverse innovazioni nell’automobilismo a stelle e strisce. Scopriamo insieme la storia di questo brand.Dodge, la storiaLa storia della Dodge inizia nel 1914 quando due fratelli (John Francis e Horace Elgin Dodge) provenienti dal Michigan, dopo aver realizzato biciclette alla fine dell’800, fornito componenti meccanici alle Case automobilistiche “yankee” all’inizio del XX secolo e costruito vetture per conto della Ford, decidono di mettersi in proprio e diventano, dopo solo un anno di attività, i terzi produttori statunitensi.La Prima Guerra Mondiale e l’influenza spagnolaNel 1916 la Casa “yankee” si occupa di forniture militari per l’esercito statunitense impegnato nella Prima Guerra Mondiale, quattro anni più tardi la Dodge diventa la seconda Casa più acquistata negli USA ma la morte di entrambi i fratelli per via dell’influenza spagnola cambia tutto.Dai banchieri alla ChryslerNel 1925 un consorzio di banchieri di New York acquista la Dodge dalle vedove di John Francis e Horace Elgin per 146 milioni di dollari e la rivende nel 1928 (anno in cui debutta un motore a sei cilindri) alla Chrysler.Gli anni ’30 e ’40Per rispondere alla crisi del 1929 la Casa americana punta su innovazioni tecnologiche focalizzate sul miglioramento del comfort e nel 1930 inizia la produzione di un motore a otto cilindri. Un’unità che sparisce dalla circolazione nel 1934, anno in cui arrivano le sospensioni anteriori a ruote indipendenti e modelli caratterizzati da un design seducente.Nel 1942 la produzione di auto Dodge viene interrotta per passare alle forniture belliche per l’esercito statunitense impegnato nella Seconda Guerra Mondiale e riprende quattro anni più tardi.Gli anni ’50 e ’60Il 1952 è l’anno in cui debutta il primo motore V8 della storia della Casa statunitense. L’anno seguente arrivano invece i primi modelli disegnati da Virgil Exner e la prima vittoria NASCAR grazie a Lee Petty.Nella seconda metà degli anni ’50 iniziano a diffondersi le pinne posteriori mentre gli anni ’60 per Dodge significano soprattutto “caccia alle prestazioni”: nel 1966 debutta la mitica Charger ma è la seconda generazione del 1968 a conquistare definitivamente il pubblico.La crisi e la rinascitaGli anni ’70 si aprono con la conquista del primo campionato Costruttori NASCAR e con il debutto della Challenger (la risposta Dodge alla Chevrolet Camaro e alla Ford Mustang) ma la crisi petrolifera del 1973 incide negativamente sulle finanze del marchio “yankee”, in ritardo rispetto alla concorrenza nel proporre modelli più efficienti.La prima svolta “verde” arriva solo nel 1978 con la Dodge Omni, variante rimarchiata della Simca-Chrysler Horizon (Auto dell’Anno 1979 in Europa) nonché prima auto a trazione anteriore e con motore montato in posizione trasversale disponibile in Nord America. La Casa “yankee” si risolleva quando Lee Iacocca viene nominato presidente e amministratore delegato Chrysler: si circonda di numerosi collaboratori di fiducia provenienti dalla sua precedente esperienza in Ford, licenzia numerosi operai, vende Chrysler Europe a Peugeot e ottiene prestiti grazie alle garanzie del Congresso.L’anno seguente Iacocca diventa presidente del consiglio di amministrazione e risolleva il gruppo Chrysler con una serie di progetti bocciati qualche anno prima dalla Casa dell’Ovale Blu come il pianale K a trazione anteriore introdotto nel 1981.Ram e CaravanGli anni ’80 per Dodge sono contraddistinti da modelli meno assetati di carburante ma anche dal lancio di due vetture destinate ad entrare nel mito: il pick-up Ram del 1981 (che diventerà talmente famoso da diventare un marchio a parte nel 2010) e la Caravan del 1984 (affiancata quattro anni più tardi dalla variante a passo lungo Grand Caravan), una delle prime monovolume di sempre.La Viper e non soloIl modello più iconico della Dodge – la Viper – vede la luce nel 1992: una spider dal design aggressivo e originale (anticipato da una concept nel 1989) caratterizzata da un possente motore 8.0 V10 da 400 CV derivato dalle unità usate dai mezzi commerciali Chrysler e opportunamente modificato da Lamborghini (brand acquistato da Chrysler nel 1987).Nel 1996 è la volta della variante coupé GTS con 450 CV mentre nel 1998 (anno in cui, in seguito alla fusione tra Chrysler e Mercedes, Dodge entra nel gruppo DaimlerChrysler) la Durango porta il motore V8 e sette posti a sedere nel segmento delle SUV medie.La crisi del XXI secoloIl XXI secolo per la Dodge si apre ufficialmente nel 2004 con il lancio della seconda generazione della Viper. Due anni più tardi la Casa “yankee” tenta lo sbarco in grande stile in Europa – senza successo – con la compatta Caliber e nello stesso periodo riporta nei listini americani dopo 19 anni di assenza la Charger (trasformata in un’aggressiva berlinona a quattro porte).Nel 2007 (anno di lancio della SUV compatta Nitro, “cugina” della Jeep Cherokee) termina l’avventura DaimlerChrysler e Dodge, insieme a tutti i brand del gruppo Chrysler, viene ceduta al fondo Cerberus e si ritrova in bancarotta nel 2008 – anno del ritorno della Challenger e del debutto della berlina Avenger – dopo la crisi economica.L’era FiatLa svolta per la Dodge arriva nel 2009 quando Fiat rileva il 20% di Chrysler a costo zero impegnandosi a risanarla. Nello stesso anno nasce la Journey, una grande SUV che in occasione del restyling del 2011 viene venduta come Fiat Freemont.Nel 2010 Dodge lascia i listini italiani e l’anno seguente Fiat acquisisce la maggioranza di Chrysler. La Dart del 2012 (realizzata sullo stesso pianale della Jeep Cherokee e sulla piattaforma allungata dell’Alfa Romeo Giulietta) è il primo modello realizzato in collaborazione con il colosso torinese ma non conquista il pubblico americano. Nel 2014 tutto il gruppo Chrysler passa sotto Fiat: nasce FCA.
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Citroën 2CV Charleston (1986): la prova della piccola francese
Poche auto suscitano simpatia come la Citroën 2CV: la piccola (ma pratica) francese mette d’accordo tutti grazie al suo stile retrò e nonostante i pochi cavalli a disposizione è molto piacevole da guidare.Abbiamo avuto modo di guidare la mitica 2CV6 Charleston del 1986 durante l’evento PSA & Friends: scopriamo insieme i pregi e i difetti della simpatica utilitaria transalpina.S come spartana (ma anche come spaziosa)Prima di parlare della Citroën 2CV Charleston bisogna chiarire una cosa fondamentale: stiamo parlando di un’auto (molto) spartana nata nel lontano 1948 e prodotta fino al 1990. Questo significa finiture essenziali e un comfort acustico scarso: se non potete rinunciare a questi due elementi non è l’auto che fa per voi.Quello che non manca sull’utilitaria del Double Chevron è lo spazio: in 3,83 metri di lunghezza i tecnici della Casa francese hanno ricavato un abitacolo comodo per quattro persone e un bagagliaio ampio. L’unica nota negativa arriva dall’assenza del portellone visto che il tetto apribile in tela di serie arriva fino alla base del lunotto posteriore.Benvenuti a bordoBastano pochi minuti per prendere confidenza con la Citroën 2CV Charleston: il posto guida è comodo (l’unica vera pecca è il volante un po’ troppo orizzontale), ci sono tanti vani portaoggetti a disposizione e alla fine ci si abitua anche al cambio (manuale a quattro marce) con comando a leva sulla plancia.Le sospensioni morbidissime assorbono senza problemi qualsiasi sconnessione, l’impianto di riscaldamento funziona egregiamente e solo la visibilità posteriore è leggermente penalizzata dal lunotto piccolo.Come si guidaIn compenso la Citroën 2CV Charleston è molto divertente da guidare: il motore boxer bicilindrico da 602 cc e 29 CV è un piccolo gioiello della tecnica (molto rumoroso, va detto) che sale rapidamente di giri. In pianura non delude mai, anche se la velocità massima è di soli 110 km/h.Nelle curve rolla tanto ma è incollata all’asfalto: la tendenza ad allargare la traiettoria emerge solo se si va davvero forte (sconsigliato su un’auto di questo tipo). I freni, inoltre, regalano sempre una buona risposta (nonostante l’assenza del servofreno) mentre dallo sterzo ci saremmo aspettati più fluidità (considerando anche il peso contenuto – inferiore a 600 kg – della vettura).Prezzo e costiDa nuova nel 1986 la Citroën 2CV6 Charleston costava 7.939.000 lire: 654.000 più della versione Special e circa mezzo milione meno di una Visa “base”. Oggi si trova facilmente a 5.500 euro ma se l’esemplare ha pochi chilometri ed è tenuto bene si può salire anche a quota 6.500.Ottimi i consumi: 16,7 km/l dichiarati a 90 km/h, 14,5 km/l in città e 15,6 km/l come valore medio. Questo nonostante la “fame” di giri che contraddistingue la mitica piccola a quattro porte del Double Chevron.
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