Category Archives: Auto Classiche

Toyota e il Mondiale Rally: la storia

Toyota e il WRC: un rapporto di amore/odio che ha portato alla Casa giapponese tante soddisfazioni – quattro Mondiali Rally Piloti con la Celica (1990 e 1992 con lo spagnolo Carlos Sainz, 1993 con il finlandese Juha Kankkunen e 1994 con il francese Didier Auriol) e tre titoli Costruttori (1993 e 1994 con la Celica e 1999 con la Corolla) – e qualche delusione (la squalifica del 1995).Scopriamo insieme la storia iridata del marchio nipponico, il brand non europeo più vincente del WRC insieme a Subaru.Toyota e il Mondiale Rally: la storiaLa storia di Toyota nei rally inizia nel 1972 quando la Casa del Sol Levante decide di affidare una Celica al pilota svedese Ove Andersson per correre nel RAC (9° al traguardo).Inizialmente si pensa di creare un team con base in Giappone ma per motivi logistici dovuti alla considerevole presenza di gare europee nel calendario iridato viene deciso di affidarsi alla scuderia di Andersson con sede a Uppsala, in Svezia. Poco dopo il quartier generale viene trasferito a Bruxelles, in Belgio.La prima vittoriaLa prima vittoria Toyota nel WRC arriva nel 1973 grazie, però, ad un pilota privato: il canadese Walter Boyce al volante di una Corolla Levin porta a casa la corsa statunitense Press-on Regardless.Nasce il TTENel 1975 vede la luce il TTE (Toyota Team Europe) e nello stesso anno è la volta del primo trionfo ufficiale grazie ad una Corolla Levin guidata dal finlandese Hannu Mikkola. Due anni più tardi la Casa nipponica porta a casa il terzo posto nel Mondiale Costruttori mentre risale al 1979 – anno di debutto della Celica Turbo – il trasferimento della squadra a Colonia. Ancora oggi la città tedesca ospita il reparto motorsport del marchio asiatico.Regina d’AfricaGli anni ’80 si aprono per Toyota con la vittoria dello svedese Björn Waldegård nel Rally di Nuova Zelanda al volante della Celica 2000 GT.La svolta arriva nel 1983 con la Toyota Celica Twincam Turbo, una coupé particolarmente adatta alle gare in Africa visto che sale sul gradino più alto del podio solo in Costa d’Avorio (1983 e 1986 con Waldegård e 1985 con Kankkunen) e al Safari (1984 e 1986 con Waldegård e 1985 con Kankkunen).La Celica GT-FourLa Celica GT-Four – la prima auto da rally a trazione integrale del brand del Sol Levante – vede la luce nel 1988 e l’anno successivo (grazie al successo di Kankkunen in Australia e all’arrivo del talento spagnolo Sainz) il marchio giapponese conquista il secondo posto iridato tra i Costruttori.Sei Mondiali in cinque anniNel 1990 la Toyota conquista il suo primo Mondiale Rally WRC grazie a Sainz, primo tra i Piloti con quattro successi (Acropoli, Nuova Zelanda, 1000 Laghi e RAC). Il trionfo di Waldegård al Safari non è sufficiente, invece, per portare a casa il titolo Costruttori. L’anno successivo arrivano sei successi (Sainz a Monte Carlo, in Portogallo, al Tour de Corse, in Nuova Zelanda e in Argentina e il tedesco Armin Schwarz primo al Catalunya).Il debutto della Celica ST 185 nel 1992 coincide con il secondo Mondiale Piloti per Sainz (primo al Safari, in Nuova Zelanda, al Catalunya e al RAC) ma neanche in questa stagione – nonostante il gradino più alto del podio rimediato in Svezia dal driver locale Mats Jonsson – la Casa giapponese riesce a trionfare tra le Marche.La svolta arriva nel 1993 quando la Toyota acquista Toyota Team Europe e le cambia nome in Toyota Motorsport. Kankkunen trionfa tra i Piloti grazie a cinque vittorie (Safari, Argentina, 1000 Laghi, Australia e RAC) e grazie ad altri due successi (Auriol a Monte Carlo e Jonsson in Svezia) la Casa del Sol Levante diventa il primo brand asiatico a laurearsi campione del mondo Rally tra i Costruttori.Il dominio continua l’anno successivo con Auriol campione del mondo Piloti (primo al Tour de Corse, in Argentina e a Sanremo) e con il secondo Mondiale Costruttori grazie ai trionfi di Kankkunen in Portogallo e del keniota Ian Duncan al Safari.La squalifica del 1995Il 1995 è un anno da dimenticare per la Toyota: la Casa asiatica porta a casa una sola vittoria con Auriol al Tour de Corse ma viene esclusa dalla classifica del Mondiale Rally e squalificata dal WRC per 12 mesi dopo essere stata pizzicata nella penultima prova stagionale (Catalunya) con un motore modificato per violare il regolamento.Il declino e la rinascitaLe Celica GT-Four private ottengono cinque podi in due anni. Per il ritorno della Casa del Sol Levante come “ufficiale” bisogna attendere la fine della stagione 1997 e la Corolla WRC.La compatta asiatica porta a casa tre vittorie nel 1998 (Sainz a Monte Carlo e in Nuova Zelanda e Auriol al Tour de Corse) e l’anno successivo regala alla Toyota il terzo – e per il momento ultimo – Mondiale WRC Costruttori con un solo successo (Auriol in Cina). Al termine della stagione il brand asiatico abbandona il Mondiale Rally per concentrarsi sulla F1.Il ritorno con la YarisNel 2017 – dopo 18 anni di assenza – Toyota torna nel Mondiale Rally WRC con una Yaris affidata a due piloti finlandesi: Jari-Matti Latvala e Juho Hänninen.La piccola giapponese sorprende tutti nelle prime due gare stagionali grazie a Latvala, secondo a Monte Carlo e addirittura sul gradino più alto del podio in Svezia.
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Le berline Cadillac del secondo dopoguerra: eleganti e appariscenti

Le berline Cadillac prodotte dal 1946 al 1952 sono mezzi ideali per chi ama le auto d’epoca. Le due generazioni di Series 61 e 62 realizzate in quel periodo sono infatti eleganti, appariscenti e facili da trovare. Il tutto a cifre alla portata di molte tasche (poco più di 10.000 euro).Le berline Cadillac del secondo dopoguerra: le caratteristiche principaliNel 1946 la Cadillac è reduce – come tutte le altre Case statunitensi – dalla Seconda Guerra Mondiale e per questa ragione si deve accontentare di riproporre sul mercato varianti aggiornate di vetture realizzate prima del conflitto.La terza generazione della Series 61, ad esempio, risale al 1942: lunga quasi cinque metri e mezzo (5,46, per la precisione) e spaziosissima (merito del passo di 3,20 metri), monta un cambio manuale a tre marce.La seconda serie della Cadillac Series 62, anch’essa del 1942, è invece la prima auto del marchio americano ad essere prodotta dopo la fine del conflitto: ancora più ingombrante (lunga 5,57 metri), è disponibile anche con un cambio automatico a quattro rapporti.Nel 1948 arrivano in contemporanea la quarta generazione della Series 61 e la terza evoluzione della Series 62, realizzate sullo stesso pianale e molto simili esteticamente. La seconda ha un aspetto più lussuoso per via della maggiore presenza di cromature. L’anno seguente la “61” guadagna un bagagliaio più capiente.Il 1950 è l’anno in cui la meno prestigiosa Cadillac Series 61 passa ad un pianale più compatto che la costringe ad avere un design più massiccio e meno filante. Nel 1951 si assiste ad un restyling che porta freni più potenti.La Series 62 risponde con un cofano più lungo e con elementi ancora più lussuosi: nel 1951 arrivano vistosi inserti cromati sulle portiere mentre l’anno successivo è la volta di scritte in oro per celebrare il mezzo secolo di attività della Casa statunitense. Il portellone diventa più alto per aumentare lo spazio destinato ai bagagli ed entrano nella dotazione di serie le luci di retromarcia e i doppi scarichi.La tecnicaLa gamma motori delle berline Cadillac del secondo dopoguerra è inizialmente composta da due unità V8 a benzina: un 5.4 a valvole in testa e un 5.7 a valvole laterali. Il nostro consiglio è quello di acquistare i modelli dal 1949 al 1952 dotati di un nuovo 5.4 V8 da 160 CV a valvole in testa.Le quotazioniLa cifra necessaria per portarsi a casa le Series 61 e 62 prodotte dal 1946 al 1952 si aggira intorno agli 11.000 euro. In questo periodo di crisi – nel quale le auto che consumano tanto non sono molto apprezzate – è possibile però fare l’affare e ottenere il modello desiderato anche a meno di 10.000 euro. Trovarle in Italia non è difficile, i ricambi sono abbastanza comuni ma vanno ordinati soprattutto negli USA.
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Porsche 917: la regina delle auto da corsa

La Porsche 917 è stata molto più di un’auto da corsa: ha monopolizzato le gare endurance all’inizio degli anni ’70 (due Mondiali, due 24 Ore di Le Mans e tanto altro), ha permesso alla Casa di Zuffenhausen di entrare nel mito ed è stata addirittura protagonista di un film (“Le 24 Ore di Le Mans” del 1971) con Steve McQueen. Scopriamo insieme la storia della regina del motorsport.Porsche 917: la storiaLa storia della Porsche 917 nasce nel 1968 quando la Casa tedesca – stufa di accontentarsi di vittorie di classe nell’endurance – decide di creare un prototipo capace di portare a casa successi assoluti.La vettura viene presentata il 13 marzo 1969 al Salone di Ginevra e l’1 maggio arriva l’omologazione dopo la produzione dei 25 esemplari necessari. Un’operazione che manda quasi in bancarotta il brand di Zuffenhausen, che per rifarsi delle spese decide di vendere le vetture a chiunque abbia abbastanza denaro per acquistarle e per farle correre.Il motore della Porsche 917 – un possente 4.5 a dodici cilindri contrapposti da 520 CV (poi 580) – deriva dall’unione di due unità 2.2 a sei cilindri della 911 R. Un mostro di potenza montato su un telaio non particolarmente riuscito: nei primi test la sportiva teutonica si rivela infatti tanto veloce quanto ingestibile e i piloti hanno paura di lei.Le prime gareLa 917 debutta ufficialmente in gara l’11 maggio 1969 alla 1000 km di Spa con un equipaggio tedesco formato da Gerhard Mitter e Udo Schütz (ritirati al primo giro) mentre per vederla tagliare il traguardo bisogna attendere l’1 giugno e l’ottavo posto conquistato alla 1000 km del Nürburgring dall’australiano Frank Gardner e dal britannico David Piper.A metà giugno la Porsche 917 affronta per la prima volta la 24 Ore di Le Mans con tre vetture: quella guidata dal duo tedesco composto da Kurt Ahrens, Jr. e da Rolf Stommelen ottiene la pole ma abbandona la corsa dopo 148 giri, quella della coppia britannica formata da Richard Attwood e Vic Elford abbandona dopo 327 giri mentre con la terza il pilota privato inglese John Woolfe perde la vita al primo giro. Una morte che porterà gli organizzatori della nota gara francese a modificare la modalità di partenza: prima i driver attraversavano la pista correndo e si accomodavano in auto senza allacciare la cintura, dal 1970 scatteranno seduti dalle loro vetture.La prima vittoriaLa prima vittoria per la 917 arriva il 10 agosto, in occasione dell’ultima tappa del Mondiale Sportprototipi: alla 1000 km di Zeltweg Ahrens e lo svizzero Jo Siffert salgono sul gradino più alto del podio.Rivoluzione tecnicaNel 1970 la Porsche 917 beneficia di alcune modifiche aerodinamiche realizzate dai tecnici della scuderia John Wyer Automotive Engineering per risolvere i problemi di stabilità. Nasce la 917K (K come Kurzheck, “coda tronca” in tedesco): posteriore più corto e totalmente aperto per migliorare il comportamento stradale e il raffreddamento del motore.Grazie a questi cambiamenti la “bestia” di Zuffenhausen diventa imbattibile e domina il Mondiale Sport Prototipi conquistando vittorie a raffica: 24 Ore di Daytona con il finlandese Leo Kinnunen, il britannico Brian Redman e il messicano Pedro Rodríguez, 1000 km di Brands Hatch, 1000 km di Monza e 6 Ore di Watkins Glen con Kinnunen e Rodríguez e 1000 km di Spa e 1000 km di Zeltweg con Redman e Siffert.La soddisfazione più grande per la 917 arriva però con la prima vittoria nella storia Porsche alla 24 Ore di Le Mans, ottenuta da Attwood e dal tedesco Hans Herrmann.1971: bis Mondiale (e a Le Mans)Anche nel 1971 la sportiva teutonica domina il Mondiale: vince la 1000 km di Buenos Aires con Siffert e il britannico Derek Bell, porta a casa la 24 Ore di Daytona, la 1000 km di Monza e la 1000 km di Spa (gara di debutto del nuovo motore 4.9 da 630 CV) con Rodríguez in coppia con l’inglese Jackie Oliver, trionfa alla 12 Ore di Sebring con Elford e il francese Gérard Larrousse e sale sul gradino più alto del podio della 1000 km di Zeltweg con il duo Attwood/Rodríguez.La seconda vittoria consecutiva alla 24 Ore di Le Mans della Porsche 917 arriva invece grazie all’austriaco Helmut Marko e all’olandese Gijs van Lennep.Una seconda vita negli USANel 1972 la 917 non può più correre nel Mondiale Sportprototipi a causa delle nuove regole e trova una seconda carriera in America nel campionato Can-Am.La Porsche 917/10 – affidata al team Penske – si distingue dalla 917 “europea” per la carrozzeria scoperta e per il motore a doppia sovralimentazione e conquista subito il titolo grazie al pilota statunitense George Follmer.L’anno seguente tocca alla 917/30: passo più lungo, coda più voluminosa, comportamento stradale più sicuro e un mostruoso motore 5.4 da 1.300 CV, 1.580 in configurazione da qualifica. La sportiva di Stoccarda monopolizza il campionato occupando le prime quattro posizioni della classifica assoluta e si aggiudica il secondo titolo consecutivo con il pilota collaudatore Mark Donohue.
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Sanremo 2003: l’ultimo rally mondiale

Sanremo 2003 non è solo un’edizione del Festival vinta da Alexia ma anche l’ultimo rally disputato nella città ligure valido per il WRC. Scopriamo insieme la storia di questa gara.Rally Sanremo 2003: l’ultimo valido per il Mondiale WRCIl Rally di Sanremo – undicesima tappa del WRC 2003 nonché ultima edizione della corsa ligure valida per il Mondiale – vede tra i favoriti il leader del campionato (il britannico Richard Burns su Peugeot 206) e il norvegese Petter Solberg su Subaru Impreza.3 ottobre 2003La gara ligure si apre con il dominio del giovane talento francese Sébastien Loeb (Citroën Xsara Coupé): il suo compagno di squadra – l’esperto spagnolo Carlos Sainz – termina la tappa in quarta posizione (pur avendo subito pochi giorni prima un’operazione per eliminare i calcoli renali) dietro all’estone Markko Märtin (Ford Focus), penalizzato di 30 secondi al termine della PS6 per aver lasciato il parco assistenza con tre minuti di ritardo.Classifica dopo la prima giornata
1 Sébastien Loeb (Citroën Xsara Coupé) 1:30:15.7
2 Marcus Grönholm (Peugeot 206)     + 49.6
3 Markko Märtin (Ford Focus)     + 1:02.4
4 Carlos Sainz (Citroën Xsara Coupé)   + 1:14.85 François Duval (Ford Focus)     + 1:19.04 ottobre 2003La seconda giornata del Rally di Sanremo 2003 si apre con il clamoroso ritiro di Solberg in PS7: la motivazione ufficiale della Subaru è un problema elettrico ma la verità è che la Impreza del pilota norvegese è rimasta senza benzina a soli tre chilometri dal parco assistenza.Martin, intanto, va velocissimo e porta a casa tutte le quattro prove speciali in programma mentre il francese Gilles Panizzi realizza una grande rimonta che lo porta in quinta posizione.Classifica dopo la seconda giornata
1 Sébastien Loeb (Citroën Xsara Coupé)  3:07:00.7
2 Markko Märtin (Ford Focus)     + 43.2
3 Marcus Grönholm (Peugeot 206)     + 1:10.5
4 Carlos Sainz (Citroën Xsara Coupé)   + 1:42.35 Gilles Panizzi (Peugeot 206)     + 1:59.15 ottobre 2003Sébastien Loeb vince agevolmente il Rally di Sanremo 2003 con la Citroën Xsara Coupé ma le più grandi sorprese arrivano nelle retrovie durante l’ultima prova speciale.La pioggia scombussola i piani dei piloti e premia i driver dotati di gomme intermedie: Panizzi – grazie al miglior tempo nella PS14 – porta a casa il secondo posto assoluto approfittando dell’incidente del finlandese Marcus Grönholm mentre il driver locale Pasquale Tarantino ottiene incredibilmente il secondo miglior scratch con la Renault Clio Williams e rifila circa un minuto a gente del calibro di Burns, Loeb e Mäkinen (in gara con pneumatici da asciutto).CLASSIFICA FINALE RALLY SANREMO 2003
1 Sébastien Loeb (Citroën Xsara Coupé) 4:16:33.7
2 Gilles Panizzi (Peugeot 206)     + 28.3
3 Markko Märtin (Ford Focus)     + 54.6
4 Carlos Sainz (Citroën Xsara Coupé)   + 2:33.25 François Duval (Ford Focus)     + 3:58.9
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Matra Ranch (1977): SUV prima che fosse trendy

La Matra Ranch – prodotta dal 1977 al 1984 – è una SUV che ha anticipato i tempi. In un panorama automobilistico che vedeva una sola fuoristrada comoda (la Range Rover) questa crossover francese a trazione anteriore riuscì a conquistare il pubblico – ma non gli italiani (da noi è impossibile trovarla) – usando le stesse armi delle Sport Utility moderne: design da 4×4 e spazio a volontà. Le sue quotazioni recitano 3.000 euro ma in realtà è impossibile trovare esemplari ben tenuti – in Francia – a meno di 5.000 euro.Matra Ranch (1977): le caratteristiche principaliLa Matra Ranch nasce nel 1977 come risposta economica alla Range Rover. Basata sulla Simca 1100 pick-up (ma più robusta), ha un design molto originale – opera del greco Antonis Volanis (creatore della Bagheera nonché responsabile dello stile della prima Renault Espace) – caratterizzato da una voluminosa zona posteriore con carrozzeria in plastica.I pregi della SUV transalpina? Abitacolo spazioso (era possibile addirittura dormirci dentro), bagagliaio ampio e versatile (lunotto apribile e sportello inferiore con apertura laterale, come la Jeep Wrangler), sospensioni morbide e meccanica robusta. Non altrettanto convincenti lo sterzo (durissimo) e l’accesso ai sedili posteriori (non ci sono le porte dietro).Nonostante le forme da 4×4 la Matra Ranch non va usata in off-road visto che la trazione è anteriore. La sfiziosa variante Grand Raid, però, offre alcuni accessori utili come il differenziale a slittamento limitato e il verricello elettrico anteriore.Matra Ranch (1977): la tecnicaIl motore della Matra Ranch – commercializzata dal 1977 al 1984 – è un 1.4 Simca a benzina da 80 CV abbinato ad un cambio manuale a quattro marce. Un propulsore elastico penalizzato da un’eccessiva rumorosità alle alte velocità.Matra Ranch (1977): le quotazioniLa Matra Ranch – contraddistinta da un design esterno ancora oggi gradevole – è molto difficile da trovare in Italia (all’epoca non fu apprezzata dalle nostre parti). Le sue quotazioni recitano 3.000 euro ma trovare esemplari “sani” a meno di 5.000 euro in Francia è semplicemente impossibile.
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Peugeot a Rétromobile 2017: sotto il segno del 3 (ma non solo)

Peugeot a Rétromobile 2017 – rassegna dedicata alle auto d’epoca in programma a Parigi dall’8 al 12 febbraio – punterà sul numero 3 in omaggio alla 3008.A Expo Porte de Versailles sarà possibile vedere, ad esempio, il quadriciclo Type 3 del 1891 (la prima auto del Leone di serie) e la Roadster 301 CR Grand Luxe del 1943 in prestito dal Club “les amis du Lion”.Tra le altre Peugeot presenti a Rétromobile 2017 segnaliamo la 504 da gara che parteciperà al Tour Auto 2017 e la concept car SR1 del 2010 che ha ispirato il design dei modelli attuali della Casa francese.
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PSA a Rétromobile 2017: Citroën, DS e Peugeot protagoniste a Parigi

Rétromobile 2017 – rassegna dedicata alle auto d’epoca in programma a Parigi (Expo Porte de Versailles) dall’8 al 12 febbraio – vedrà per la prima volta le vetture del Gruppo PSA (Citroën, DS e Peugeot) riunite in un unico spazio di 1.200 m2.Auto storiche selezionate appartenenti ai Club di appassionati affiancheranno alcune concept car de l’Aventure Peugeot Citroën DS. Venti i veicoli presenti: Peugeot punterà sul numero 3 con un quadriciclo Type 3 del 1891 (il primo modello di serie del Leone), “L’Amicale Citroën” Francia (sodalizio che riunisce oltre 10.000 collezionisti transalpini del Double Chevron) presenterà una selezione di veicoli commerciali e non mancheranno le prime Citroën DS 19 dai colori pastello.
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La breve vita dell’Alfa Romeo Giulia TZ2

La Giulia TZ2 è una delle Alfa Romeo più belle di sempre ma anche quella con la carriera sportiva più breve: nacque nel 1965 ma già alla fine dello stesso anno smise di essere sviluppata dai tecnici del Biscione, maggiormente concentrati sulla Giulia GTA e sulla Tipo 33 per puntare alle vittorie assolute nel turismo e nell’endurance. Scopriamo insieme la storia di questa sexy coupé.Alfa Romeo Giulia TZ2: la storiaL’Alfa Romeo Giulia TZ2 nasce nel 1965 per rimpiazzare la TZ: rispetto all’antenata è più bassa, più larga, più aggressiva nello stile e ancora più leggera. Grazie alla carrozzeria in fibra di vetro anziché in alluminio – realizzata come sempre da Zagato – il peso scende ulteriormente: da 660 a 620 kg.Progettata esclusivamente per le corse (a differenza della TZ), monta un motore 1.6 bialbero derivato da quello della Giulia “normale” ma si distingue per la lubrificazione a carter secco e per il sistema di accensione Twin Spark (due candele per cilindro). I 170 CV di potenza consentono alla sportiva del Biscione di raggiungere una velocità massima di 245 km/h (se dotata di cambio con rapporti allungati).Alfa Romeo Giulia TZ2: le vittorieA causa del motore dalla cilindrata contenuta l’Alfa Romeo Giulia TZ2 deve accontentarsi di portare a casa vittorie di classe. La sexy coupé lombarda debutta in gara il 25 aprile 1965 con il successo di categoria alla 1000 km di Monza con i nostri Roberto Bussinello e Andrea De Adamich (che conquista anche la 1000 km del Nürburgring con “Geki”).La vettura smette di essere sviluppata al termine del 1965: l’Alfa preferisce puntare su auto in grado di regalare vittorie assolute e i tecnici del Biscione si concentrano quindi sulla Giulia GTA nel turismo e sulla Tipo 33 nell’endurance.Nonostante questo è il 1966 l’anno nel quale arrivano le più grandi soddisfazioni (sempre successi di classe) per l’Alfa Romeo Giulia TZ2: “Geki” e lo svizzero Gaston Andrey primi alla 12 Ore di Sebring, De Adamich e Teodoro Zeccoli davanti a tutti i rivali di categoria alla 1000 km di Monza, Enrico Pinto e Nino Todaro trionfatori alla Targa Florio e il gradino più alto del podio al Nürburgring con il belga Lucien Bianchi e il tedesco Herbert Schultze.L’ultima vittoria importante per la sportiva del Biscione risale al 1967 quando il duo belga composto da Serge Trosch e Teddy Pilette regala alla Casa lombarda il terzo trionfo di categoria al Nürburgring.
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Dalla 760 alla V90, la storia delle grandi station wagon Volvo

Da oltre 30 anni le grandi station wagon Volvo riescono ad essere – a differenza delle rivali tedesche – tanto eleganti quanto versatili. Vetture dedicate a padri di famiglia che cercano il massimo della qualità e non vogliono rinunciare allo spazio.Attualmente la gamma della Casa svedese è composta da due modelli appartenenti a questo segmento. La seconda generazione della V90 (variante station dell’ammiraglia S90) – nata nel 2016, disponibile a trazione anteriore o integrale e dotata di cinque motori 2.0 sovralimentati (due a benzina da 254 e 320 CV e tre diesel da 150, 190 e 235 CV) – e la versione “off-road” V90 Cross Country, caratterizzata dall’assetto rialzato, da protezioni in plastica grezza, dalla trazione integrale e da una gamma motori pressoché identica a quella della V90 “normale” (manca solo il diesel “entry-level”). Scopriamo insieme la storia delle voluminose familiari scandinave.Volvo 760 S.W. (1985)La Volvo 760 S.W. – svelata nel 1985 (tre anni dopo la variante berlina, più originale ma anche meno apprezzata) – può essere considerata la prima grande station wagon realizzata dalla Casa svedese.Disponibile esclusivamente a trazione posteriore, viene lanciata in Italia con un motore 2.4 turbodiesel da 111 CV, affiancato nel 1986 da una variante da 116 CV. Il restyling del 1987 – anno in cui l’unità a gasolio meno potente abbandona le scene – porta una mascherina più moderna e paraurti parzialmente in tinta.L’anno seguente arrivano tre unità a benzina sulla Volvo 760 S.W.: due 2.8 V6 da 147 e 167 CV e un 2.3 turbo da 156 CV. Nel 1989 resta un solo V6 aspirato da 143 CV mentre la potenza dell’unità sovralimentata scende a quota 165 CV.Volvo 960 S.W. (1990)La Volvo 960 S.W. nata nel 1990 non è altro che un profondo restyling estetico (frontale e interni) della 760 S.W.. Tre i motori al lancio: due a benzina (2.0 turbo 190 CV e 2.9 da 204 CV) e il già noto 2.4 a gasolio da 116 CV (122 dal 1992).Il restyling del 1995 porta un frontale più elegante e i paraurti in tinta integrati ma la novità tecnica più importante riguarda l’introduzione delle sospensioni posteriori a ruote indipendenti già lanciate cinque anni prima sulla versione con la coda. Solo due – entrambi a benzina – i motori disponibili: un 2.5 da 170 CV e un 2.9 da 204 CV.Volvo V90 prima generazione (1996)La prima generazione della Volvo V90 nasce nel 1996 e non è altro che una 960 S.W. con un nuovo nome (scelta di “naming” ancora oggi utilizzata dal brand svedese) e un impianto di climatizzazione più efficace. L’ultima auto (insieme all’ammiraglia S90) a trazione posteriore della Casa scandinava resta in commercio fino al 1998 con un solo motore: il 2.9.
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Automotoretrò 2017, la festa delle auto d’epoca a Torino

Automotoretrò 2017 – in programma a Torino (Lingotto Fiere) – dal 3 al 5 febbraio è uno degli appuntamenti più importanti d’Italia dedicati alle auto d’epoca. Di seguito troverete tutte le informazioni utili (date, orari, prezzi dei biglietti, etc…) per seguire la rassegna piemontese, arrivata alla 35° edizione.Lo scorso anno Automotoretrò ha coinvolto oltre 65.000 visitatori, 300 piloti, più di 1.200 espositori e 14 Case automobilistiche. Nel 2017, in occasione dei 30 anni dal debutto della Lancia Delta Gruppo A nei rally, sarà possibile ammirare 10 esemplari della compatta torinese e incontrare il due volte campione del mondo WRC Miki Biasion.Ma non è tutto: ad Automotoretrò 2017 a Torino vedremo diverse auto d’epoca e nuove del gruppo FCA (Alfa Romeo 2600 Sprint, Alfa Romeo 2600 SZ Prototipo, Fiat 1100, Fiat 700 Prototipo, Lancia Flaminia Coupé, Lancia Flaminia Loraymo, Abarth 1100 Bialbero, Fiat Abarth 1000 Monoposto Record e Alfa Romeo 4C Spider) e verranno celebrati numerosi compleanni. Qualche esempio? I 50 anni delle Jensen Interceptor e FF, i 60 anni dell’Autobianchi Bianchina e della Fiat 500 e i 70 anni della Lambretta e della Ferrari.Automotoretrò 2017: informazioni utili
Indirizzo: Lingotto Fiere – Via Nizza 294 – Torino
Date: da venerdì 3 febbraio a domenica 5 febbraio 2017
Orari: venerdì dalle 10 alle 19, sabato e domenica dalle 9 alle 19Biglietti: Intero 13 euro, ridotto (per ragazzi da 10 a 12 anni e per invalidi inferiori all’80% senza accompagnatore) 10 euro, gratis per ragazzi fino a 10 anni e per invalidi oltre 80% con accompagnatore (ridotto per l’accompagnatore)
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