Category Archives: Auto Classiche
Cizeta V16T (1991): voleva essere la Diablo
La Cizeta V16T – svelata ufficialmente nel 1991 – avrebbe dovuto essere la Lamborghini Diablo. Il design di questa vettura è lo stesso che Marcello Gandini aveva pensato per l’erede della Countach ma il progetto fu bocciato in quanto ritenuto troppo “esagerato”.Cizeta V16T (1991): le caratteristiche principaliLa Cizeta V16T nasce nel 1991 grazie alla partnership finanziaria tra l’imprenditore modenese Claudio Zampolli (che battezza il brand con le sue iniziali) e il noto compositore altoatesino Giorgio Moroder. Quest’ultimo si occupa anche di disegnare il logo ma abbandona l’accordo poco dopo il lancio della vettura.Progettata da un gruppo di ingegneri ex-Lamborghini e disponibile nelle varianti coupé e spider, non ottiene un grande successo di pubblico e viene prodotta in una ventina di esemplari. Dal 2006 la produzione di questo modello è ripartita negli USA.La tecnicaIl motore della Cizeta V16T è un possente 6.0 V16 montato in posizione posteriore-centrale e abbinato ad un cambio manuale a cinque marce in grado di generare una potenza di 560 CV. Grazie a questa unità la supercar emiliana raggiunge una velocità massima di 328 km/h e accelera da 0 a 100 km/h in quattro secondi.Le quotazioniLe quotazioni ufficiali recitano 200.000 euro ma siccome si tratta di una vettura estremamente rara preparatevi a spendere almeno il doppio della cifra per un esemplare in possesso di qualcuno interessato a vendere. Il prezzo è destinato sicuramente a salire nei prossimi anni per via delle numerose “chicche” per appassionati presenti su questa vettura: l’originale motore V16, il design by Gandini e il fatto che avrebbe dovuto essere una sportiva del Toro.

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Maria Teresa de Filippis: la prima donna della F1
Maria Teresa de Filippis non è solo una delle cinque donne che hanno corso in F1 ma anche la prima ad averlo fatto. L’ex-pilota napoletana ha gareggiato nel Circus (senza brillare particolarmente, a dire il vero) alla fine degli anni Cinquanta: scopriamo insieme la sua storia.Maria Teresa de Filippis: la biografiaMaria Teresa de Filippis nasce il 6 novembre (per l’anagrafe l’11) 1926 a Napoli. Appassionata di cavalli (quelli a quattro zampe) fin da ragazzina, dopo la Seconda Guerra Mondiale inizia a provare interesse anche verso quelli delle automobili.L’esordio nel mondo delle corseIl debutto nel mondo delle corse avviene nel 1948 e, contrariamente all’opinione dei suoi fratelli (che la ritengono lenta), porta a casa – al volante di una Fiat 500 “Topolino” – la prima vittoria già nella seconda corsa disputata: la Salerno-Cava de’ Tirreni.Nel 1954 Maria Teresa de Filippis diventa vicecampionessa italiana (perdendo il titolo e l’udito all’orecchio destro a causa di un incidente in Sardegna) e viene ingaggiata dalla Maserati. Con la Casa del Tridente partecipa a diverse gare nei tre anni successivi.Il debutto in F1Maria Teresa debutta in F1 al GP di Monte Carlo del 1958 come privata al volante di una Maserati 250F ma non prende parte alla gara in quanto non supera le qualifiche (23° tempo su 30 con una griglia di partenza limitata a 16 piloti).La situazione migliora in Belgio: Maria Teresa de Filippis approfitta di una gara che non prevede le qualifiche, si piazza all’ultimo posto (19°) della griglia e riesce a terminare la corsa (per l’unica volta in carriera) al 10° posto, ultima tra i driver arrivati al traguardo.L’esclusione e il ritornoLa de Filippis non prende parte alla corsa successiva – il GP di Francia – in seguito al veto del direttore di gara (il quale ritiene che l’unico casco che può indossare una donna sia quello del parrucchiere). In Portogallo – sotto le insegne della Scuderia Centro Sud – non riesce a qualificarsi mentre a Monza (nuovamente nelle vesti di privata) è costretta al ritiro al 57° giro per un problema alla biella mentre si trovain ottava posizione (ultima tra i piloti che girano sul circuito).Nel 1959 Maria Teresa de Filippis – passata alla Porsche – partecipa al GP di Monte Carlo al volante di una Behra ma non riesce a superare lo scoglio delle qualifiche.La vita privataMaria Teresa abbandona il mondo delle corse l’1 agosto 1959 dopo che il pilota francese Jean Behra (suo amico nonché titolare della scuderia per la quale corre) perde la vita sul circuito tedesco dell’AVUS durante una gara di F2. Lei avrebbe dovuto gareggiare al suo posto.Maria Teresa de Filippis si sposa nel 1961 con un chimico austriaco e ancora oggi continua ad essere legata al mondo della Maserati.

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Peugeot 205 GTI 1.9 Gutmann: tuning d’epoca
La Peugeot 205 GTI 1.9 Gutmann del 1990 è uno dei più begli esempi di tuning d’epoca: questa versione speciale della piccola francese – realizzata in oltre 300 esemplari (una decina importati nel nostro Paese) – è stata restaurata dalla filiale italiana della Casa del Leone. Chi ha partecipato lo scorso ottobre ad Auto e Moto d’Epoca a Padova ha avuto modo di vederla dal vivo.Basata sulla versione 1.9 da 130 CV ed elaborata da Gutmann, ancora oggi concessionario del brand transalpino a Breisach (Germania), adottava la testata a sedici valvole della compatta 309, una centralina con diversa mappatura, il radiatore per il raffreddamento dell’olio, un filtro aria e uno scarico sportivo. Soluzioni che consentirono di far salire la potenza fino a quota 160 CV.Facile distinguere la Gutmann dalle altre Peugeot 205 GTI 1.9: merito degli pneumatici 195/50-15 montati su cerchi in lega personalizzati, del logo 16V posteriore, della strumentazione chiara, del pomello del cambio specifico e delle scritte Gutmann presenti sul volante a tre razze e sul cruscotto.Da non sottovalutare, inoltre, le sospensioni ribassate di 30 mm, la barra duomi anteriore, il rapporto della quinta accorciato (da 0,88 a 0,81), il disco della frizione rinforzato e le pastiglie dei freni a disco realizzate con una mescola speciale.

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Chung Ju-yung, il fondatore della Hyundai
Il nome di Chung Ju-yung non è molto conosciuto dalle nostre parti. Eppure questo imprenditore coreano è riuscito a creare un impero – la Hyundai – dal nulla. Scopriamo insieme la sua storia.Chung Ju-yung: la biografiaChung Ju-yung nasce il 25 novembre 1915 nella contea di Tongchon (nell’attuale Corea del Nord) in un periodo nel quale la penisola asiatica appartiene al Giappone. Primo di sei figli di una famiglia povera, sogna di diventare insegnante ma deve rinunciare all’istruzione per mantenere i suoi parenti.Inizia a commerciare legname e a 16 anni scappa di casa per andare a Kowon, dove viene assunto nel campo dell’edilizia.I tentativi di fugaChung Ju-yung viene riportato a casa dal padre ma, desideroso di grandi imprese, tenta nuovamente di fuggire. Nel 1933 cerca di raggiungere Seul ma perde tutti i soldi in seguito ad un incontro con un truffatore e pochi mesi più tardi ci riprova: acquista il biglietto del treno per la capitale vendendo una delle mucche del padre e trova un posto come contabile prima di essere riportato nuovamente a casa.La fuga decisivaIl quarto tentativo di fuga, effettuato poco dopo il terzo, si rivela quello definitivo: scappa di notte, raggiunge Seul e si adatta a qualsiasi lavoro. Comincia come bracciante al porto di Incheon (località in cui ora si trova uno degli aeroporti più grandi del mondo), ritorna nel settore dell’edilizia e successivamente svolge il ruolo di tuttofare in una fabbrica di sciroppi.Il primo impiego fisso di Chung Ju-yung è quello di uomo delle consegne in un negozio di riso: si impegna talmente tanto che dopo soli sei mesi il titolare gli chiede di gestire l’esercizio. Nel 1937 – a soli 22 anni – acquista l’attività e la fa crescere fino al 1939, anno in cui il Giappone vara in Corea un decreto sul razionamento alimentare.Tutto inizia da un garageDopo la batosta finanziaria arrivata in seguito al razionamento del riso Chung torna nel suo villaggio ma dopo pochi mesi – nel 1940 – decide di riprovare a mettersi in proprio. A Seul crea un’officina per riparare le automobili – la A-do – e in tre anni il numero dei suoi dipendenti cresce da 20 a 70. Nel 1943 – in tempo di guerra – è costretto dai giapponesi a fondere la sua azienda con un’acciaieria e torna nuovamente quindi nel suo villaggio ma stavolta con un guadagno considerevole.La fondazione della HyundaiL’ascesa di Chung Ju-yung nel mondo degli affari inizia nel 1946, anno in cui la Corea viene liberata dal dominio nipponico. L’azienda da lui fondata – chiamata Hyundai (“modernità”) – è specializzata nelle costruzioni – specialmente quelle navali – e vince diversi appalti governativi per la realizzazione di numerose infrastrutture.Nel 1967 nasce la Hyundai Motor Company, sezione dell’azienda riservata alle automobili, mentre nel 1973 la sezione navale cambia nome in Hyundai Shipbuilding and Heavy Industries, attualmente la più grande società del mondo specializzata in ingegneria nautica. A Ulsan – città dove ha sede la fabbrica automobilistica più grande del pianeta – viene realizzato il cantiere navale più grande di sempre.L’impero fondato da Chung Ju-yung continua ad espandersi: nel 1976 nasce la Hyundai Corporation (commercio) e nel 1983 tocca alla Hyundai Elevator (ascensori) e alla Hyundai Electronics (elettronica).Le attività extra aziendaliGrazie all’attività di lobbying di Ju-yung Seul riesce ad ottenere l’organizzazione delle Olimpiadi del 1988 e i Mondiali di calcio (evento sponsorizzato dal brand coreano) del 2002. Negli anni Novanta il tycoon asiatico collabora con il governo della Corea del Sud per migliorare le relazioni con la Corea del Nord: una delle iniziative più rilevanti è la creazione nel 2002 della regione industriale nordcoreana di Kaesong, popolata da numerose aziende sudcoreane che impiegano lavoratori provenienti da entrambe le nazioni. Chung Ju-yung muore di cause naturali il 21 marzo 2001 a Seul (Corea del Sud).

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Yoshisuke Aikawa, il fondatore della Nissan
Yoshisuke Aikawa è ufficialmente il fondatore della Nissan ma la sua esperienza nel mondo delle auto è durata pochi anni. Scopriamo insieme la storia di questo imprenditore giapponese, aiutato negli affari dalla politica.Yoshisuke Aikawa: la biografiaYoshisuke Aikawa nasce il 6 novembre 1880 a Yamaguchi (Giappone). Figlio della nipote di Inoue Kaoru (più volte ministro nipponico alla fine del XIX secolo), ottiene nel 1903 la laurea in ingegneria all’Università di Tokyo e trova lavoro alla Shibaura Seisakusho, azienda che nel 1939 si unisce con la Tokyo Denki per dare vita alla Toshiba.Lo stipendio non è particolarmente elevato ma nonostante questo riesce a risparmiare abbastanza per andare negli USA ad imparare i metodi di lavorazione della ghisa. Tornato in patria, nel 1909 apre una fonderia – chiamata Tobata – a Kitakyshu: l’azienda da lui fondata è ancora attiva e si chiama Hitachi Metals.Spirito imprenditorialeNel 1928 Yoshisuke Aikawa diventa presidente dell’azienda mineraria Kuhara (ora nota con il nome Nippon Mining & Metals) al posto del cognato Fusanosuke Kuhara, che preferisce cimentarsi nella carriera politica. Poco dopo crea la Nihon Sangyo (“industrie giapponesi”, meglio conosciuta con l’abbreviazione Nissan), che racchiude le aziende Tobata e Hitachi.Due anni più tardi Yoshisuke acquista i pacchetti di maggioranza di 132 compagnie appartenenti alla Nissan e fonda un nuovo zaibatsu (termine nipponico per indicare una holding) che comprende quasi tutte le aziende tecnologiche più importanti del Paese come ad esempio Hitachi, Isuzu, NEC e Nissan Motors, creata alla fine del 1933.Il trasferimento nel Manchukuo e la guerraYoshisuke Aikawa sposta nel 1937 il quartier generale della Nissan nel Manchukuo – stato creato dai giapponesi cinque anni prima su territori attualmente appartenenti alla Cina – e ingloba la società in un nuovo zaibatsu, la Manchurian Industrial Development Company (joint-venture tra la Casa nipponica e il governo locale). Gli affari procedono bene ma la Seconda Guerra Mondiale si avvicina: Aikawa è contrario all’alleanza del Giappone con la Germania e l’Italia ed è convinto che il conflitto sarà vinto dalla Francia e dal Regno Unito. Yoshisuke sostiene inoltre il piano Fugu, che prevede il trasferimento nel Manchukuo di rifigiati ebrei.Nel 1942 è spinto dall’Armata del Kwantung – reparto dell’esercito nipponico di stanza nel Manchukuo – a rassegnare le proprie dimissioni da amministratore delegato della Manchurian Industial Development Group e ritorna in Giappone.La fine della Seconda Guerra MondialeIn seguito alla resa del Giappone Yoshisuke Aikawa viene arrestato dalle forze di occupazione statunitensi e incarcerato per 20 mesi per crimini di guerra. Durante la sua prigionia assiste al disfacimento dello zaibatsu Nissan da lui creato.Una volta rilasciato acquista una banca e concede prestiti ad aziende impegnate nella ricostruzione del paese, diventa presidente della compagnia petrolifera Teikoku, nel 1953 viene eletto nella camera alta del parlamento giapponese e poco dopo viene nominato presidente della Japex (Japan Petroleum Exploration Company), azienda specializzata nella ricerca di idrocarburi. Negli anni Sessanta è leader del Chuseiren, la più importante associazione nipponica di piccole e medie imprese.Yoshisuke Aikawa muore il 13 febbraio 1967 a Tokyo (Giappone) in seguito ad una colecistite.

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Le dieci auto più sexy degli anni ’70
Poche auto sanno essere sexy come quelle degli anni ’70: questo decennio è stato caratterizzato infatti dalla presenza di un numero impressionante di sportive che fanno ancora oggi battere forte il cuore degli appassionati.Di seguito troverete i dieci modelli che – a nostro avviso – rappresentano meglio questo periodo storico: la maggior parte di questi proviene dal nostro Paese ma non mancano proposte tedesche e statunitensi. Scopriamole insieme.Alfa Romeo GTAm (1970)L’Alfa Romeo GTAm (“m” come “maggiorata”) nasce nel 1970 sulla base della 1750 GTV e monta un motore 2.0 da 220 CV ad iniezione. Si distingue dal modello da cui deriva per la carrozzeria più larga, l’assetto più rigido e gli pneumatici più grandi. L’anno seguente è la volta di una nuova variante da 240 CV basata sulla 2000 GTV.BMW M1 (1979)La BMW M1 del 1979 monta un motore 3.5 a sei cilindri da 277 CV. Disegnata da Giorgetto Giugiaro e dotata di una carrozzeria in fibra di vetro, viene realizzata in soli 400 esemplari stradali. Prestazioni da urlo: 262 km/h di velocità massima e 5,6 secondi per accelerare da 0 a 100 chilometri orari.Dino 246 GTS (1972)La Dino 246 GTS del 1972 non è altro che la variante spider – decisamente più difficile da rintracciare – della 246 GT. Il motore è un 2.4 V6 (lo stesso utilizzato dalla Fiat Dino e dalla Lancia Stratos) da 195 CV.Ferrari Daytona Spider (1970)La Ferrari Daytona Spider del 1970 – nome ufficiale 365 GTS/4 – è la versione scoperta della 365 GTB/4 creata per soddisfare le richieste dei clienti nordamericani. Caratterizzata dai fari a scomparsa e disponibile in poco più di 100 esemplari, monta un motore 4.4 V12 da 352 CV.Iso Grifo Can Am (1971)La Can Am del 1971 è la versione più cattiva della Iso Grifo: dotata di un possente motore 7.0 V8 di origine Chevrolet, ha un design seducente realizzato da Bertone.Lamborghini Miura SV (1971)La SV del 1971 si distingue dalle Lamborghini Miura “normali” per il motore più potente (3.9 V12 da 390 CV) e per l’assenza delle “ciglia” intorno ai fari anteriori. Prodotta in soli 150 esemplari, può essere considerata come l’ultima evoluzione della supercar di Sant’Agata.Lancia Stratos (1973)La Lancia Stratos del 1973 – disegnata da Bertone (e più precisamente da Marcello Gandini) – viene realizzata per correre nei rally. La variante stradale – prodotta in circa 500 esemplari – monta un motore 2.4 V6 da 192 CV.Maserati Ghibli SS Spyder (1970)La Maserati Ghibli SS Spyder del 1970 monta un motore 4.9 V8 da 335 CV. Rispetto alla versione “base” è più potente e ha una dotazione di serie più ricca che comprende – tra le altre cose – il piantone dello sterzo regolabile, i sedili in pelle, gli alzacristalli elettrici e l’aria condizionata.Plymouth Superbird (1970)La Plymouth Superbird del 1970 viene realizzata per correre nelle gare NASCAR e ottiene il successo l’anno seguente con Richard Petty al volante. Basata sulla Road Runner, si distingue per il frontale più aerodinamico con fari a scomparsa e per il vistoso spoiler posteriore. La versione stradale – disponibile con due motori V8 (7.0 e 7.2) – viene prodotta in poco meno di 2.000 esemplari.Porsche 911 Carrera RS 2.7 (1972)La Carrera RS 2.7 del 1972 è una delle Porsche 911 più desiderate. Il motore è un 2.7 da 210 CV mentre tra le differenze più evidenti rispetto alle altre versioni segnaliamo lo spoiler posteriore, le sospensioni riviste, i freni più grandi e gli pneumatici posteriori più grossi.

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Mini Cooper (2001), la classica del terzo millennio
Sembra ieri eppure sono già passati 13 anni dal lancio della seconda generazione della Mini Cooper (quella realizzata dalla BMW, per intenderci). Da nuova la piccola inglese è stata l’oggetto del desiderio di tutti i neopatentati nati nei primi anni Ottanta, oggi si porta a casa senza problemi con 3.000 euro e il suo futuro come auto d’epoca è assicurato.Mini Cooper (2001): le caratteristiche principaliLa seconda serie della Mini Cooper viene svelata nel 2001: sensibilmente più grande dell’antenata (3,63 metri di lunghezza) ha un abitacolo ottimamente rifinito che offre un discreto spazio per le spalle e le gambe di chi si accomoda sui sedili posteriori (pochi, invece, i centimetri a disposizione della testa) e un bagagliaio di 160 litri adeguato alle esigenze di un single.L’affidabilità dei primi esemplari non è eccezionale (il cambio – con sole cinque marce – è particolarmente fragile), così come la dotazione di serie: i fendinebbia, ad esempio, si pagavano a parte. Il comportamento stradale, in compenso, è ottimo: la vettura è incollata all’asfalto (ma non è molto agile in quanto non ha molti cavalli) ed è dotata di un assetto rigido poco adatto nei lunghi viaggi. I freni sono molto resistenti ma non troppo potenti e lo sterzo dei primi esemplari non è preciso come i comandi arrivati dopo.La tecnicaIl motore della Mini Cooper è un 1.6 Euro 4 a benzina di origine Chrysler povero di cavalli (116) e di coppia (149 Nm). L’unità è poco vivace ai bassi regimi ma si riscatta con un ottimo allungo. Rumoroso alle alte velocità, non offre prestazioni esaltanti: 200 km/h di velocità massima e 9,2 secondi per accelerare da 0 a 100 km/h. Interessanti, invece, i consumi: i 14,9 km/l dichiarati si possono raggiungere tranquillamente adottando uno stile di guida tranquillo.Le quotazioniQuesto è il momento migliore per acquistare le prime Mini Cooper “by BMW”: le quotazioni hanno infatti raggiunto il minimo storico (3.000 euro) e d’ora in poi i prezzi potranno soltanto aumentare.

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Dalla Dino alla Barchetta, la storia delle sportive Fiat a motore anteriore
Da quasi dieci anni la Fiat non produce più auto sportive: in tempi di crisi la Casa torinese ha preferito concentrarsi su modelli più profittevoli lasciando all’Alfa Romeo il compito di creare vetture in grado di fare battere forte il cuore degli appassionati. Oggi ci concentreremo sulla storia delle coupé e delle spider a motore anteriore realizzate a partire dagli anni ’60: veicoli brillanti e, spesso, alla portata di molte tasche.Fiat Dino (1966)La Fiat Dino nasce in seguito ad una partnership con la Ferrari: il Cavallino ha bisogno di omologare un motore V6 da destinare alle monoposto 166 di F2 e l’unico modo che ha è quello di farlo montare da una vettura prodotta in almeno 500 esemplari.La prima a debuttare è la Spider nel 1966: disegnata da Pininfarina e dotata di trazione posteriore, monta un propulsore 2.0 V6 da 160 CV. L’anno seguente, a Torino, viene invece svelata la Coupé firmata Bertone: il passo più lungo, il peso più elevato e le dimensioni esterne più ingombranti (4,51 metri contro i 4,11 della variante scoperta) contribuiscono a migliorare la tenuta di strada.Nel 1969 arrivano le prime modifiche alla Fiat Dino: la cilindrata del motore viene portata a 2,4 litri (potenza salita fino a quota 180 CV) e il retrotreno a ponte rigido viene rimpiazzato dalle più moderne ruote indipendenti. Esteticamente, invece, i cambiamenti più rilevanti riguardano il frontale (con la mascherina nera opaca) e la plancia rivista.Fiat 124 Sport Spider (1966)La Fiat 124 Sport Spider – presentata ufficialmente al Salone di Torino del 1966 – è realizzata sullo stesso pianale (accorciato) della berlina. Dotata di un motore 1.4 da 90 CV, è una scoperta 2+2 disegnata e prodotta da Pininfarina.Nel 1970 il propulsore viene portato a 1,6 litri e la potenza sale fino a quota 110 CV. Tre anni più tardi, in concomitanza con la riduzione di cavalli del 1.6 (106 CV) e il lancio di un 1.8 da 118 CV, viene svelata la versione Rally: la variante di serie – realizzata in soli 900 esemplari e caratterizzata dal tetto rigido – monta un 1.8 da 128 CV mentre quella da gara (con potenze comprese tra 190 e 215 CV) si aggiudica due campionati europei rally nel 1972 (con Raffaele Pinto) e nel 1975 (con Maurizio Verini).La 124 Sport Spider – che nel 1979 riceve un nuovo motore 2.0 – viene venduta con il brand Fiat fino al 1982. Dal 1983 al 1985 viene invece commercializzata con i nomi Pininfarina Spidereuropa e Spideramerica.Fiat 124 Coupé (1967)La Fiat 124 Coupé viene svelata al Salone di Ginevra del 1967, un anno dopo la Sport Spider. La prima generazione – denominata AC e disegnata da Felice Mario Boano del Centro stile della Casa torinese – monta un motore 1.4 da 90 CV abbinato ad un cambio a quattro marce (quinto rapporto optional).La seconda serie – conosciuta con la sigla BC – debutta al Salone di Torino del 1969. Esteticamente si distingue dall’antenata per il frontale più simile a quello della Dino e per i gruppi ottici posteriori più voluminosi. Tecnicamente le modifiche riguardano invece l’arrivo di un propulsore 1.6 da 110 CV, che affianca l’unità 1.4.L’ultima generazione della Fiat 124 Coupé – la CC – viene lanciata nel 1972. Il frontale è meno “pulito” rispetto a prima e nella coda spiccano i gruppi ottici verticali. Il 1.6 da 110 CV (l’unico motore previsto al debutto) viene presto rimpiazzato da un’unità leggermente calata alle voci “cilindrata” e “potenza” (108 CV). Si aggiunge anche un 1.8 da 118 CV.Fiat Coupé (1993)A poco più di dieci anni di distanza dall’addio al listino della 124 Sport Spider la Fiat rientra ufficialmente nel segmento delle sportive con la Coupé del 1993. Realizzata sullo stesso pianale della compatta Tipo a trazione anteriore e disegnata da Chris Bangle (esterni) e Pininfarina (interni), debutta al Salone di Bruxelles con due motori 2.0: aspirato da 139 CV e turbo da 190 CV.Nel 1996 si aggiunge alla gamma propulsori un 1.8 da 131 CV e pochi mesi dopo arrivano due 2.0 a cinque cilindri da 147 e 220 CV che rimpiazzano i vecchi due litri. Nel 1999 è invece la volta di un altro 2.0, questa volta da 154 CV.Fiat Barchetta (1994)La Fiat Barchetta – ultima spider prodotta dal marchio piemontese – vede la luce nel 1994. Disegnata da Andreas Zapatinas e costruita sulla base accorciata della prima generazione della piccola Punto, monta un motore 1.8 da 130 CV. Il restyling del 2003 porta numerose modifiche al frontale e alla coda.

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Acura MDX, la storia della SUV giapponese
La Acura MDX – SUV media “premium” del marchio di lusso del gruppo Honda – non è commercializzata nel nostro Paese mentre negli USA rappresenta una via di mezzo tra la RDX e la ZDX.La terza generazione denominata YD3 – quella attualmente in listino – viene svelata ufficialmente al Salone di New York del 2013. Disponibile a trazione anteriore o integrale, ha un design ispirato alla concept mostrata a Detroit nello stesso anno e l’unico motore disponibile è un 3.5 V6 ad iniezione diretta di benzina da 294 CV. Scopriamo insieme la storia delle sue antenate.Acura MDX YD1 (2000)La prima serie della Acura MDX, conosciuta con la sigla YD1, viene lanciata nel 2000. Realizzata sulla stessa base della berlina Accord e disponibile esclusivamente a trazione integrale, può accogliere sette passeggeri e monta un motore 3.5 V6 a benzina da 245 CV.In occasione del restyling del 2003 – caratterizzato dal frontale modificato, dal cambio rivisto e dai cerchi in lega ridisegnati – la potenza del propulsore sale a quota 269 CV.Acura MDX YD2 (2006)La Acura MDX YD2 – seconda evoluzione della Sport Utility giapponese – debutta nel 2006. Il design – più aggressivo – deriva da un prototipo mostrato al Salone di New York dello stesso anno mentre il passo allungato consente di aumentare lo spazio a disposizione dei passeggeri.Dotata di un motore 3.7 V6 da 305 CV e della trazione integrale, beneficia di un restyling nel 2010 che porta una nuova mascherina, un cambio inedito e una dotazione di serie più ricca. Grazie a queste modifiche la MDX diventa la Acura più venduta negli Stati Uniti.

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Bruno Sacco: un italiano in Mercedes
Prima degli anni ’80 la Mercedes aveva una gamma di modelli limitata e il design della maggior parte delle sue vetture non era particolarmente innovativo. Tutto è cambiato grazie ad un designer italiano, Bruno Sacco. Scopriamo insieme la sua storia.Bruno Sacco: la biografiaBruno Sacco nasce il 12 novembre 1933 a Udine e si appassiona alle automobili a 19 anni, quando ammira per le strade di Tarvisio una Studebaker. Dopo essersi laureato in ingegneria meccanica al Politecnico di Torino si concentra sul design.Le prime esperienzeDopo alcune piccole collaborazioni con Ghia e Pininfarina nel 1958 Bruno si trasferisce in Germania, dove inizia a lavorare con la Mercedes.Una lunga gavettaI primi lavori di Bruno Sacco per la Casa della Stella vedono la luce nel 1963 e sono l’ammiraglia 600 e la sportiva SL (meglio nota con il nome “Pagoda”). Il prototipo C111 del 1969 con le sue forme aggressive rappresenta invece un taglio netto col passato.Gli anni SettantaNel 1975 Sacco viene nominato responsabile del design Mercedes: uno dei primi modelli nati sotto la sua direzione è la classe S W126.La 190Gli anni Ottanta si aprono con il modello più significativo creato dalla matita di Bruno Sacco: la berlina 190 del 1982, che rappresenta il modello d’accesso alla gamma della Stella. Nello stesso decennio si segnalano la classe E W124 del 1985 e la SL R129 del 1989.Gli anni NovantaL’ultimo decennio della carriera in Mercedes di Bruno si apre con la classe S W140 del 1991 e con la classe C W202 del 1993. Qualche anno più tardi vengono abbandonate le linee squadrate per puntare su forme più tondeggianti: nel 1995 è la volta della classe E W210 (contraddistinta dal frontale con i doppi fari), seguita l’anno successivo dalle sportive CLK e SLK. Nel 1997 tocca alla SUV classe M W163 mentre l’anno seguente viene lanciata la classe S W220.Bruno Sacco va in pensione all’inizio degli anni Duemila, poco dopo essere stato nominato tra i 25 car designer più importanti del XX secolo.

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