Category Archives: Auto Classiche
Václav Klement, il libraio che cofondò la Skoda
Václav Klement è senza dubbio uno dei personaggi più rilevanti dell’automobilismo esteuropeo: ha fondato la Skoda, insieme a Václav Laurin, e l’ha resa uno dei marchi più importanti del Vecchio Continente. Scopriamo insieme la sua storia.Václav Klement: la biografiaVáclav Klement nasce il 16 ottobre 1868 a Velvary (Repubblica Ceca). Orfano di madre, inizia a lavorare presto come libraio in diverse città del Paese ma dopo aver rilevato una libreria e averla venduta poco dopo per problemi di debiti decide di concentrarsi su altro.Le bicicletteLa svolta per Václav inizia dopo l’acquisto di una bicicletta dell’azienda tedesca Seidel & Naumann: dopo aver rilevato un problema nel mezzo spedisce una lettera alla società teutonica chiedendo assistenza. La risposta non è delle più cordiali – “soddisferemo le vostre richieste solo quando saranno scritte in un linguaggio comprensibile” – e questo spinge Klement a creare un’officina di riparazione per le due ruote insieme a Václav Laurin.Nasce la Laurin & KlementNel 1895 Václav Klement fonda insieme a Laurin l’azienda Laurin & Klement, marchio specializzato nella produzione di biciclette. L’azienda si espande e quattro anni più tardi realizza anche moto: il successo ottenuto da questi mezzi è talmente elevato che viene abbandonato il business dei veicoli a pedali.Le prime autoLe prime auto realizzate dalla Laurin & Klement vedono la luce nel 1905: due anni più tardi l’azienda entra in borsa e sceglie di concentrarsi esclusivamente sulle quattro ruote. Dopo la Prima Guerra Mondiale si specializza nei veicoli commerciali e nel 1925 viene acquisita dalla Skoda, una delle multinazionali più importanti dell’epoca.Václav Klement scompare il 10 agosto 1938 a Mladá Boleslav, città dove ancora oggi ha sede la Casa ceca.

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Frazer Convertible (1949): cabriolet a quattro porte
La Frazer Convertible del 1949 è una delle auto americane più originali del secondo dopoguerra: poche Case, infatti, si sono cimentate con successo nella realizzazione di cabriolet dotate di quattro porte. Rara (è stata prodotta in poco più di 250 esemplari) ma non difficile da trovare negli USA, si porta a casa con circa 20.000 euro.Frazer Convertible (1949): le caratteristiche principaliLa Convertible nasce nel 1949, tre anni dopo la creazione del marchio Frazer (brand di lusso del gruppo Kaiser-Frazer scomparso già nel 1951). La berlina, mostrata due anni prima, ha un design obsoleto che fatica a conquistare il pubblico e per questa ragione viene deciso di realizzare una variante scoperta.La cornice dei finestrini laterali fissa penalizza l’eleganza di questo modello, contraddistinto da un livello di finitura eccezionale, da una cura dei dettagli maniacale e da interni raffinatissimi ricchi di pelle e assemblati a mano. Il prezzo di listino alto – unito alle prestazioni deludenti – non favorisce le immatricolazioni.La tecnicaIl motore della Frazer Convertible del 1949 è un 3.7 a sei cilindri in linea da 114 CV abbinato ad un cambio manuale a tre marce (optional la trasmissione automatica). Un propulsore robusto ma tutt’altro che brioso: 145 km/h di velocità massima e addirittura 22 secondi per accelerare da 0 a 60 miglia orarie (97 km/h).Le quotazioniLe quotazioni ufficiali – 20.000 euro – sono molto simili a quelle reali (lo scorso maggio un esemplare ben tenuto è stato venduto ad un’asta nell’Indiana per 27.500 dollari, poco più di 20.000 euro). Pur essendo una vettura rara (abbastanza semplice, comunque, da rintracciare negli States), resta un modello dalla carriera breve (tre anni) che ha un ridotto numero di fan.

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Ferrari 312 T4: brutta e vincente
La 312 T4 del 1979 occupa un posto speciale nel cuore degli appassionati Ferrari: questa monoposto è stata infatti l’ultima a portare un Mondiale Piloti a Maranello (con il sudafricano Jody Scheckter) prima dell’arrivo di Schumacher e ha oltretutto accompagnato Gilles Villeneuve nella sua stagione migliore di sempre. Scopriamo insieme la sua storia.Ferrari 312 T4: la storiaLa Ferrari 312 T4, progettata da Mauro Forghieri e derivata dalla 312 T3 del 1978, è una delle monoposto più brutte della storia della F1 (la scelta di una linea così strana è dovuta a ragioni aerodinamiche). Il motore è un 3.0 a 12 cilindri contrapposti da 515 CV.Il debutto in garaLa vettura debutta al GP del Sudafrica e si rivela vincente fin da subito grazie al successo di Villeneuve e al secondo posto di Scheckter. Lo stesso risultato viene ottenuto negli USA Ovest, con l’aggiunta della pole position del canadese.Il duello Villeneuve-ArnouxIl riscatto di Scheckter con la Ferrari 312 T4 arriva con due vittorie consecutive in Belgio e a Monte Carlo (successo, quest’ultimo, condito con la pole position) mentre in Francia la corsa entra nella storia per il duello tra Villeneuve (che termina secondo) e il francese René Arnoux.Il Mondiale di ScheckterDopo due gare fuori dal podio la Rossa torna nella “top 3” in Austria (secondo posto di Villeneuve) e in Olanda (“argento” per Scheckter). La doppietta (primo il sudafricano, secondo il canadese) in Italia permette a Jody di vincere il Mondiale Piloti e alla Ferrari di conquistare il titolo Costruttori.Il canto del cignoNelle ultime due gare della stagione la Ferrari 312 T4 ottiene i migliori risultati con Villeneuve, che grazie al secondo posto nel GP di casa e alla vittoria nel GP degli USA Est diventa vicecampione iridato.

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Dalla 250 LM alla LaFerrari: la storia delle supercar Ferrari
Non tutte le Ferrari sono uguali: ci sono quelle "normali" e quelle che si meritano l’appellativo di supercar. Modelli in grado di raggiungere prestazioni superlative contraddistinti da un design originale.L’auto del Cavallino che attualmente soddisfa queste caratteristiche è la LaFerrari, la vettura "made in Maranello" più estrema di sempre. Monta un motore 6.3 V12 che, grazie al KERS, genera una potenza complessiva di 963 CV.Ma è solo l’ultima di una lunga serie: scopriamo insieme i 50 anni di storia delle Rosse mozzafiato.Ferrari 250 LM (1963)L’erede della 250 GTO viene presentata al Salone di Parigi. Derivata dal prototipo 250 P, la Ferrari 250 LM viene realizzata per partecipare alla 24 Ore di Le Mans (ecco spiegato il suo nome di battesimo), corsa che vincerà nel 1965 con Jochen Rindt e Masten Gregory in quello che sarà l’ultimo successo della Casa di Maranello nella mitica gara di durata francese.Il motore 3.0 V12 (lo stesso della 250 GTO e della Testa Rossa) da 320 CV beneficia di un aumento di cilindrata a 3,3 litri e i soli 33 esemplari prodotti impediscono alla vettura di partecipare nella categoria Gran Turismo (che prevede un minimo di 100 veicoli costruiti).Tra gli altri successi sportivi di questa Ferrari – tanto bella quanto vincente – segnaliamo la 12 Ore di Reims, la 500 km di Spa e la 1000 km di Parigi.Al Salone di Ginevra del 1965 viene mostrata la versione Berlinetta Speciale destinata a un uso stradale: si distingue dalla variante da corsa per il lunotto in plexiglas, per le prese d’aria coperte da una griglia e per i parafanghi cromati. Molto elegante la vernice bianca impreziosita da una striscia blu.Ferrari 288 GTO (1984)Prodotta in 272 esemplari e presentata al Salone di Ginevra, la Ferrari 288 GTO viene progettata da Mauro Forghieri per partecipare alle gare destinate alle Gruppo B.Il design somiglia molto a quello della 308 GTB (le uniche differenze riguardano i parafanghi allargati e gli spoiler "oversize") ma sotto la pelle le modifiche sono tantissime, a cominciare dalla carrozzeria in kevlar e dal motore 2.9 V8 (usato anche per le Lancia LC2) sovralimentato con due turbocompressori in grado di generare una potenza di 400 CV e di far raggiungere alla coupé emiliana una velocità massima di 305 km/h.Nel 1985 vengono costruiti cinque esemplari della variante Evoluzione, caratterizzati da un’aerodinamica più curata, da un peso ridotto a 940 kg e da un motore potenziato a 650 CV grazie a turbocompressori più ampi.La 288 GTO raggiunge una velocità di 360 km/h e viene sviluppata per partecipare alle gare endurance ma l’abolizione del Gruppo B trasforma questi mezzi in vetture laboratorio utilizzate per lo sviluppo della F40.Ferrari F40 (1987)L’erede della 288 GTO Evoluzione viene presentata al Salone di Francoforte per festeggiare i 40 anni di vita della Casa di Maranello.Al momento del lancio la Ferrari F40 è l’auto di serie più veloce (324 km/h) dell’epoca, facendo la storia, ma è anche una di quelle più tecnologiche: telaio in kevlar, carrozzeria in fibra di vetro e finestrini laterali in plexiglas.La supercar di Maranello rispetta le normative del Gruppo B (anche se questa categoria non è più ammessa nel mondo del motorsport) e monta un motore meno potente di quello della 288 GTO Evoluzione (2.9 da 478 CV) più adatto alla guida di tutti i giorni e a rispettare le normative anti-inquinamento.La Ferrari F40 viene prodotta inizialmente in 400 esemplari, che diventano successivamente 1.337 dopo che viene ottenuta l’omologazione per gli USA: un contratto stipulato con l’importatore nordamericano obbliga infatti la Casa emiliana a destinare oltreoceano il 22% del venduto.Nel 1988 vendono costruiti 18 esemplari della versione LM (acronimo di Le Mans), realizzati per poter correre nel campionato IMSA GTO: il propulsore può raggiungere una potenza di 720 CV in gara e di ben 900 in prova.L’ultima evoluzione della F40 – la GTE – viene creata per correre nella serie BPR Global GT Series e viene prodotta tra il 1994 e il 1996. Monta un motore 3.5 da 660 CV.Ferrari F50 (1995)Realizzata in 349 esemplari (pochi per soddisfare tutti i clienti del Cavallino) per celebrare il mezzo secolo di attività della Ferrari, la F50 è una spider con tetto rigido asportabile nonché l’auto stradale di quella fetta di storia che più si avvicina al mondo della F1.Il telaio della supercar è in materiali compositi di carbonio mentre il motore 4.7 V12 da 520 CV deriva dal 3.5 montato nel 1989 dalla 640 guidata da Nigel Mansell e Gerhard Berger.Nel 1996 arriva la Ferrari F50 GT destinata alle gare ma a causa dell’abbandono del programma sport la vettura viene prodotta e venduta in soli due esemplari con una clausola che vieta espressamente di schierarli nelle competizioni.Ferrari Enzo (2002)Nata per festeggiare i 55 anni della Rossa, laFerrari Enzoviene svelata al Salone di Parigi.Inizialmente la produzione è limitata a 349 esemplari, cifra successivamente aumentata a 399 per scontentare meno persone. Per acquistarla nuova bisogna avere posseduto almeno cinque Ferrari.Caratterizzata dal telaio e dalla carrozzeria in fibra di carbonio, è estremamente aerodinamica ed è priva di spoiler posteriore, rimpiazzato da un’appendice che si inclina quando si superano gli 80 km/h di velocità.Motore 6.0 V12 da 660 CV e un abitacolo essenziale, privo di autoradio e di alzacristalli elettrici. Supercar nel DNA.Ferrari FXX (2005)Un’evoluzione della Enzo, prodotta in 30 esemplari – di cui uno, nero, per Michael Schumacher – e destinata unicamente all’uso in pista.La Ferrari FXX monta un motore 6.3 V12 da 800 CV e ha un abitacolo costruito intorno al pilota in cui spicca un sistema di telemetria.La versione Evoluzione del 2008 ha un propulsore ancora più potente (860 CV) e un cambio ulteriormente più rapido nei passaggi marcia.

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Battista Farina, meglio noto come Pinin
Battista Farina può essere considerato il padre fondatore della grande scuola di car design italiana (anche se sarebbe meglio definirla piemontese). La creazione della Pininfarina ha permesso allo stile "made in Torino" di affermarsi nel mondo. Scopriamo insieme la storia di quest’uomo.Battista Farina: la biografiaBattista Farina nasce a Cortanze (Asti) il 2 novembre 1893. Decimo di undici figli, viene soprannominato Pinin ("Giuseppino" in dialetto piemontese) per via della grande somiglianza fisica con il padre Giuseppe.Dopo pochi anni dalla sua nascita la sua famiglia si trasferisce a Torino a causa della crisi economica che colpisce la zona alla fine del XIX secolo e nel 1906 – a soli tredici anni – Battista inizia a lavorare negli Stabilimenti Farina, fondati nello stesso anno dal fratello maggiore Giovanni (padre di Nino, che nel 1950 diventerà il primo campione del mondo di F1 della storia).Nel 1928 Battista Farina diventa direttore degli Stabilimenti e nel 1930 – grazie ad un prestito concesso dalla zia della moglie – decide di mettersi in proprio e fonda, insieme ad altri soci tra cui Vincenzo Lancia (creatore della Casa automobilistica omonima), la Carrozzeria Pininfarina.Prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale l’atelier piemontese lavora principalmente con la Lancia realizzando modelli in piccola serie basati su Augusta, Artena e Appia. La situazione migliora ulteriormente nel secondo dopoguerra, quando Battista affida l’azienda al figlio Sergio (nato nel 1926 e scomparso lo scorso anno) e al genero Renzo Carli e inizia la collaborazione proficua con la Ferrari.Nel 1953 – anno in cui la Pininfarina acquisisce gli Stabilimenti Farina – Battista Farina viene nominato Cavaliere del Lavoro dal Presidente della Repubblica Luigi Einaudi mentre nel 1959 abbandona temporaneamente l’azienda e parte per un lungo viaggio di piacere incentrato sull’arte, la sua vera grande passione.Battista non ha mai disegnato un’auto in vita sua: il suo compito in azienda è sempre stato quello di scegliere l’opera migliore tra quelle proposte dai suoi designer e di intervenire solo sul progetto in scala 1:1 alla luce della sua grande esperienza come carrozziere. Nel 1961 chiede e ottiene dal governo italiano di cambiare nome in Battista Pininfarina, nel 1963 riceve dal Politecnico di Torino la laurea honoris causa in architettura mentre nel 1965 viene insignito della Legion d’onore dal Presidente della Repubblica francese Charles de Gaulle.L’ultima auto da lui supervisionata è la mitica Alfa Romeo Duetto, presentata al Salone di Ginevra del 1966 poche settimane prima della sua scomparsa, avvenuta a Losanna (Svizzera) il 3 aprile 1966.

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Land Rover Series, la storia delle antenate della Defender
Le Series rappresentano l’inizio della storia Land Rover: per quasi quarant’anni queste fuoristrada – antenate della Defender – hanno rappresentato l’alternativa europea alle Jeep e ancora oggi non è difficile trovarle nei posti più impervi. Scopriamo insieme l’evoluzione di questi modelli.Land Rover Series I (1948)La Land Rover Series I vede la luce in un momento critico per la Rover: la Casa britannica, specializzata prima della Seconda Guerra Mondiale nella realizzazione di modelli eleganti, si ritrova dopo il conflitto con lo stabilimento di Coventry bombardato. Oltretutto viene obbligata a creare modelli più economici per facilitare le esportazioni del Regno Unito.L’azienda si sposta in una ex fabbrica di aerei militari a Solihull e dopo aver tentato di realizzare una piccola (idea rivelatasi troppo costosa) decide di costruire una fuoristrada destinata ad un uso prevalentemente agricolo in grado di sfidare le 4×4 statunitensi ancora presenti in gran numero in Europa dopo la guerra.Il primo prototipo della Land Rover Series I – creato nel 1947 da Maurice Wilks (all’epoca ingegnere capo Rover) – viene realizzato su un pianale Jeep, è dotato di un motore Rover, ha una carrozzeria in lega di alluminio e magnesio (l’acciaio, razionato, viene preso in considerazione solo per il telaio, per la paratia tra l’abitacolo e il propulsore e per i rinforzi tra un pannello e l’altro) ed è caratterizzato dal volante centrale.Dopo la realizzazione di 48 esemplari di preserie la vettura – costruita con componenti rigorosamente “british” e con il volante spostato sul lato destro (o sinistro a seconda del mercato di riferimento) debutta ufficialmente il 30 aprile 1948 al Salone di Amsterdam. Ha un passo di due metri e monta un motore 1.6 a benzina da 50 CV abbinato ad un cambio manuale a quattro marce derivato da quello della Rover P3. La trazione integrale è sempre in presa con ruote libere, nel 1950 diventa inseribile.Il primo grande cambiamento per la Land Rover Series I arriva nel 1952, quando il propulsore 1.6 viene rimpiazzato da un 2.0, mentre due anni più tardi il passo viene incrementato a 2,18 metri e viene introdotta una versione Pick Up con una distanza tra le ruote anteriori e posteriori portata a 2,72 metri per aumentare la superficie destinata al carico.La più versatile versione a cinque porte – nota anche come Station Wagon – debutta nel 1956: ha un passo di 2,72 metri e può ospitare fino a dieci passeggeri. L’anno successivo si registra nuovamente un incremento del passo (corto da 2,18 a 2,24 metri e lungo da 2,72 a 2,77 metri) per poter accogliere un nuovo motore diesel 2.0 a quattro cilindri da 53 CV, non disponibile sulla Wagon.Land Rover Series II (1958)La Land Rover Series II – disponibile sempre in due varianti di passo – nasce nel 1958. Contraddistinta da uno stile più raffinato, presenta i finestrini laterali più curvi e un tetto arrotondato. La gamma motori si arricchisce con l’arrivo di una più potente unità a benzina – un 2.250 da 73 CV che rimane in commercio fino agli anni ’80 – mentre la Station Wagon può accogliere fino a dodici passeggeri.Land Rover Series IIA (1961)La terza generazione della fuoristrada britannica non è altro che un’evoluzione della Series II: lo stile è molto simile a quello dell’antenata mentre sotto il cofano si segnala la presenza di un propulsore 2.2 diesel, affiancato nel 1967 da un 2.6 sei cilindri a benzina disponibile esclusivamente per le varianti a passo lungo.Nel 1962 viene lanciata la Land Rover Series IIA FC (Forward Control), contraddistinta dalla cabina posizionata sopra al motore per ottenere più spazio per il carico. Con la Series IIB FC del 1966 diventa disponibile anche l’unità a gasolio.Land Rover Series III (1971)L’ultimo sviluppo della Series entra in listino nel 1971 e non è molto diverso esteticamente dal modello che va a sostituire: le differenze più rilevanti riguardano il frontale con i fari disposti in una maniera differente e la griglia anteriore in plastica anziché in metallo. Nell’abitacolo spiccano invece la plancia imbottita e il quadro strumenti posizionato davanti al guidatore e non più al centro della plancia.Diverso il discorso relativo alla tecnica: la Series III è infatti la prima Land Rover con marce tutte sincronizzate e le varianti dotate del motore 2.250 possono inoltre vantare un rapporto di compressione più alto. Da non sottovalutare, inoltre, la maggiore robustezza di numerose componenti meccaniche.La variante Stage One V8 del 1979 condivide molti elementi con la Range Rover e con il mezzo militare 101 Forward Control come ad esempio il motore 3.5 V8 a benzina Rover depotenziato a 92 CV. Disponibile nelle varianti a passo corto e passo lungo, è l’unica Series III dotata di trazione integrale permanente.

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8C 35: l’Alfa Romeo più costosa di sempre
La 8C 35 non è un’auto famosa per le vittorie: nonostante questo è l’Alfa Romeo più costosa di sempre visto che lo scorso anno fu acquistata ad un’asta di Bonhams per 5.937.500 sterline (quasi 7,5 milioni di euro).Nel 2013 raccontammo la storia di quell’esemplare, oggi vi parleremo invece dei successi di questa monoposto, protagonista delle corse tra il 1935 e il 1937.Alfa Romeo 8C 35: la storiaL’Alfa Romeo 8C 35 viene progettata da Luigi Bazzi per contrastare le vetture tedesche: dotata di un motore 3.8 sovralimentato a otto cilindri in linea da 330 CV abbinato ad un cambio manuale a quattro marce, monta quattro sospensioni indipendenti e ha un peso inferiore a 750 kg.Poco brillante sui circuiti veloci e più competitiva sui tratti misti, non riesce a conquistare un GP valido per il campionato europeo. In compenso porta a casa numerose vittorie “minori” sui tracciati di tutto il mondo.1935Il primo (nonché unico) successo dell’Alfa Romeo 8C 35 nel 1935 arriva il 15 settembre sul circuito di Modena con Tazio Nuvolari.1936Nuvolari ottiene altre due vittorie con questa monoposto: il 16 giugno in Ungheria e il 2 agosto alla Coppa Ciano (Livorno) in coppia con Carlo Maria Pintacuda. Mario Tadini conquista la Coppa Edda Ciano a Lucca il 6 settembre mentre un mese più tardi a Donington (Regno Unito) trionfano lo svizzero Hans Rüesch e il britannico Richard Seaman.1937Nell’ultimo anno di attività l’Alfa Romeo 8C 35 ottiene le vittorie più importanti grazie a Rüesch, primo in Finlandia, al Grand Prix des Frontières (a Chimay, in Belgio) e a Brooklands (Regno Unito). Pintacuda sale invece sul gradino più alto del podio a Rio de Janeiro.

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Nuccio Bertone, il talent scout del design italiano
Cento anni fa nasceva Nuccio Bertone: questo imprenditore e designer torinese ha segnato la storia del car design mondiale realizzando alcune delle auto più belle del mondo. Grazie soprattutto all’aiuto di due suoi dipendenti, destinati a diventare gli stilisti più affermati del pianeta: Giorgetto Giugiaro e Marcello Gandini. Scopriamo insieme la sua storia.Nuccio Bertone: la biografiaGiuseppe Bertone – conosciuto con il soprannome Nuccio – nasce il 4 luglio 1914 a Torino. Figlio di Giovanni, creatore – due anni prima – della società che ancora oggi porta il suo nome, prende in mano l’azienda dopo la Seconda Guerra Mondiale.Dopo aver tentato – senza molto successo – di diventare un pilota professionista al volante di vetture da lui carrozzate decide di concentrarsi, all’inizio degli anni Cinquanta, sulla produzione di modelli personalizzati destinati a facoltosi clienti stranieri, specialmente statunitensi.La svolta Alfa RomeoNuccio Bertone inizia a diventare un nome importante nel mondo dell’automobile nel 1953, quando svela al Salone di Torino il seducente prototipo BAT 5, realizzato sul pianale dell’Alfa Romeo 1900.L’anno seguente si occupa – con l’aiuto di Giovanni Michelotti e Franco Scaglione – della carrozzeria dell’Alfa Romeo Giulietta Sprint e costruisce questa sportiva nello stabilimento di Corso Peschiera arrivando ad un ritmo di 32 vetture al giorno.La crescitaNuccio Bertone si espande alla fine degli anni Cinquanta: apre una nuova fabbrica a Grugliasco, in provincia di Torino, e si occupa di assemblare altri modelli come le Fiat 850 Spider e Dino Coupé e la Simca 1200S.Nel 1959 assume un giovane designer destinato a fare grandi cose: Giorgetto Giugiaro, che abbandona l’azienda nel 1965 per passare alla Ghia dopo aver realizzato l’Alfa Romeo Giulia GT. Per rimpiazzarlo Nuccio chiama Marcello Gandini, dalla cui matita usciranno le Lamborghini Miura e Countach, l’Alfa Romeo Montreal, la Fiat X1/9 e la Lancia Stratos. Questi ultimi tre modelli vengono anche assemblati a Grugliasco.Gli anni OttantaNegli anni Ottanta Nuccio Bertone continua ad alternare l’attività di studio di design con quella di costruttore: all’inizio del decennio firma un accordo con la Volvo per la realizzazione e l’assemblaggio della coupé 780 mentre nel 1989 produce con il suo marchio la piccola fuoristrada Freeclimber, una Daihatsu Rocky riveduta e corretta dotata di motori BMW.La crisiCon gli anni Novanta inizia la crisi per la Bertone: le Case automobilistiche decidono, per ragioni di costi, di ridurre i rapporti con i carrozzieri affidando il lavoro di design ai propri centri stile e quello di assemblaggio ai propri stabilimenti. L’atelier torinese si ritrova quindi con fabbriche sottoutilizzate e con una forza lavoro superiore a quella necessaria.La morte di Nuccio Bertone – avvenuta a Torino il 26 febbraio 1997 – peggiora ulteriormente le cose: l’azienda – trovatasi senza una guida solida – si avvia lentamente verso il declino a causa di scelte manageriali errate e oggi il fallimento è sempre più vicino. Ma questa è un’altra storia.

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Maserati 150S: la piccola regina del Nürburgring
La 150S non è tra le Maserati da corsa più vincenti ma nonostante questo è uno dei modelli più rilevanti del Tridente. Scopriamo insieme la sua storia.Maserati 150S: la storiaIl progetto della Maserati 150S nasce nel 1953 quando la Casa emiliana decide di rimpiazzare la A6GCS con un modello capace di conquistare non solo i piloti italiani ma i driver di tutto il mondo. Vittorio Bellentani si occupa dello sviluppo mentre il collaudo viene affidato allo storico tester Guerino Bertocchi.Presentata nel 1955 e realizzata in poco meno di 30 esemplari, è lunga 4,40 metri e pesa solo 600 kg. Il motore 1.5 a quattro cilindri da 140 CV (potenza salita fino a 165 CV all’apice della preparazione) permette alla vettura di raggiungere una velocità massima di 230 km/h ed è abbinato ad un cambio manuale a quattro marce.La Maserati 150S – dotata di ponte posteriore De Dion e con una carrozzeria realizzata da Celestino Fiandri – vince la sua corsa più importante il 28 agosto 1955 quando il pilota francese Jean Behra conquista la 500 km del Nürburgring. L’anno seguente arrivano il cambio a cinque marce e il differenziale autobloccante mentre lo stile della carrozzeria viene affidato a Medardo Fantuzzi. Nel 1956 arriva il secondo successo rilevante – la 5 Ore di Messina – con i due driver transalpini Claude Bourillot e Henri Perroud.

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NSU Sport Coupé (1959): sportiva in miniatura
La NSU Sport Coupé – prodotta dal 1959 al 1967 in Italia e in Germania – non è altro che una Prinz senza sedili posteriori e con uno stile decisamente più riuscito (opera di Bertone, più precisamente di Franco Scaglione).La sportiva in miniatura tedesca si trova abbastanza facilmente a meno di 10.000 euro: un mezzo ideale per chi vuole entrare nel mondo delle auto d’epoca ma non vuole spendere troppi soldi.NSU Sport Coupé (1959): le caratteristiche principaliLa NSU Sport Coupé, dotata di soli due posti (molto comodi, merito del padiglione rialzato del tetto), somiglia – soprattutto nella zona posteriore – all’Alfa Romeo Giulietta SS.Caratterizzata da finiture eccellenti e da un rilevante spazio per i bagagli (che possono essere alloggiati dietro i sedili, nel vano del cofano anteriore e in un pozzetto ricavato sotto il lunotto), ha una posizione di seduta un po’ troppo bassa – unita ad un volante quasi orizzontale – che nei lunghi viaggi può risultare scomoda.La strumentazione della NSU Sport Coupé non è molto completa (mancano l’indicatore del livello carburante – c’è solo la spia della riserva che si accende quando rimangono nel serbatoio 4 litri di benzina – e il termometro dell’olio) e l’ergonomia non è il massimo: il clacson si trova sulla levetta di destra, che regola anche le luci. Posteggiarla non è semplice: nonostante le dimensioni esterne ridotte, infatti, bisogna fare i conti con un lunotto posizionato troppo in alto.Alla guida la baby sportiva teutonica convince in parte: la tenuta di strada è soddisfacente ma quando si esagera con il pedale dell’acceleratore si avverte un sensibile sovrasterzo (stiamo parlando di un’auto a trazione posteriore) e la leggerezza del corpo vettura porta parecchi problemi in caso di vento.Il comfort della NSU Sport Coupé è garantito dalla taratura abbastanza soft degli ammortizzatori anche se il propulsore ha un sound fastidioso. Lo sterzo è preciso anche se un po’ troppo leggero.La tecnicaIl motore posteriore, di derivazione motociclistica, è un bicilindrico da 0,6 litri (583 cc saliti a 598 nel 1961, anno in cui arriva il nuovo propulsore della Prinz IV dall’erogazione migliore) in grado di generare una potenza di 30 CV e di far raggiungere alla vettura una velocità massima di 130 km/h.I consumi sono il punto di forza della NSU Sport Coupé: 16,1 km/l dichiarati. Un valore facilmente raggiungibile adottando uno stile di guida rilassato.Le quotazioniUn esemplare in buono stato si trova senza problemi (soprattutto fuori dall’Italia, dove la NSU ha riscosso maggiore successo) a 8.000 euro. Per un modello da restaurare, invece, ne bastano 5.000.La Sport Coupé è tra le NSU più prestigiose, anche se va detto che quelle che manterranno maggiormente il valore in futuro saranno quelle dotate del motore rotativo Wankel.

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