Category Archives: Auto Classiche

Rallylegend 2014: il programma, gli orari, le auto e i piloti

Rallylegend 2014, in programma a San Marino dal 9 al 12 ottobre, è un evento imperdibile per gli appassionati di rally. In questa manifestazione, giunta alla 12° edizione, sarà possibile ammirare le vetture che hanno fatto la storia di questo sport, guidate da grandi campioni.Di seguito troverete una guida completa: programma, orari, auto, piloti e prezzi dei biglietti. Per maggiori informazioni consultate il sito ufficiale.I piloti più importanti del Rallylegend 2014Al Rallylegend 2014 ci saranno quattro piloti campioni del mondo WRC: il finlandese Markku Alén (trionfatore nel 1978) guiderà una Lancia Rally 037 del 1983, lo svedese Stig Blomqvist (1984) sarà al volante di un’Audi S1 del 1985, il finlandese Juha Kankkunen (1986 e 1987) correrà con una Lancia Delta e il francese Didier Auriol (iridato nel 1994) prenderà parte alla manifestazione con una Citroën Xsara del 2003.Il finlandese Jari-Matti Latvala (vicecampione del mondo 2010 e attualmente al 2° posto nel Mondiale 2014) parteciperà in veste di apripista con la sua Volkswagen Polo.Le auto del Rallylegend 2014La Casa automobilistica più rappresentata al Rallylegend 2014 è la Lancia: a San Marino sarà possibile ammirare tantissime vetture della Casa torinese che hanno fatto la storia di questa disciplina. Ci sarà anche una grande presenza di vetture Ford e BMW.Rallylegend 2014, il programma completoGiovedì 9 ottobre 2014
07:30-13:30 Ricognizioni percorso regolamentate presso San Marino Sport Domus Multieventi
07:30-18:30 Apertura Centro Accrediti
09:00-21:00 Apertura Rally Village
08:00-12:00 Consegna road book
09:00  Apertura sala stampa
12:00-17:30 Verifiche sportive regolamentate per numero di gara
12:30-18:00 Verifiche tecniche regolamentate per numero di gara
19:15  “The Legend Parade” – presentazione dei Top Drivers sulla pedana del Rallylegend Village19:45-23:45 Ricognizioni percorso regolamentateVenerdì 10 ottobre 2014
07:30-18:30 Apertura Centro Accrediti
09:00-01:30 Apertura Rally Village
09:30-11:30 Shakedown San Marino (RSM) riservato conduttori prioritari
11:30-14:00 Shakedown San Marino (RSM) aperto ai conduttori iscritti allo shakedown
14:00-16:00 Ingresso obbligatorio vetture in Parco Partenza
16:00-18:00 Walkabout all’interno dello Stadio Olimpico di Serravalle (Parco Partenza)
19:30  Partenza giorno 1
19:49  PS1 San Marino (7,49 km)
20:27  PS2 I Laghi (3,90 km)
23:16  PS3 San Marino 223:54  PS4 I Laghi 2Sabato 11 ottobre 2014
00:00  Arrivo giorno 1
02:00  Pubblicazione classifica giorno 1 ed ordine partenza giorno 2
07:30-18:30 Apertura Centro Accrediti
09:00-23:30 Apertura Rally Village
09:00-12:00 Walkabout all’interno dello stadio Olimpico di Serravalle
13:00  Partenza giorno 2
13:48  PS5 Le Tane (7,49 km)
14:17  PS6 La Casa (11,01 km)
15:10  PS7 The Legend (4,62 km)
17:20  PS8 Le Tane 2
17:49  PS9 La Casa 2
18:42  PS10 The Legend 2
19:00  Arrivo giorno 2
21:00  Cena ufficiale “12° Rallylegend”21:30  Pubblicazione classifica tappa 2 ed ordine partenza tappa 3Domenica 12 ottobre 2014
08:30-12:30 Apertura Centro Accrediti
09:00-17:30 Apertura Rally Village
10:30  Partenza tappa 3
11:08  PS11 Piandavello (6,60 km)
11:47  PS12 The Legend 3
14:09  PS13 Piandavello 2
14:48  PS14 The Legend 4
15:30  Arrivo giorno 3 – Premiazioni
16:45  Pubblicazione classifica finale17:30  Chiusura manifestazione e Villaggio RallylegendI biglietti del Rallylegend 2014
Rallylegend One   15 euroIl biglietto comprende l’accesso a Rallyvillage e alle Prove Speciali venerdì, sabato o domenica ma non prevede l’accesso alle tribune su prove speciali.
Rallylegend Weekend  25 euroIl biglietto comprende l’accesso a Rallyvillage e a tutte le Prove Speciali sabato e domenica ma non prevede l’accesso alle tribune su prove speciali.
Rallylegend All   30 euroIl biglietto comprende l’accesso a Rallyvillage da venerdì a domenica, l’accesso allo Shakedown di venerdì, l’accesso a tutte le Prove Speciali da venerdì a domenica ma non prevede l’accesso alle tribune su prove speciali.
Prova speciale    10 euroIl biglietto non comprende l’accesso alle tribune su prove speciali.
Area Camper    10 euroP.S. The Legend/Serravalle. Tutti gli occupanti del camper, caravan, roulotte devono essere muniti di regolare titolo di ingresso.Tribuna su P.S. The Legend 10 euro

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Audi R18 TDI: l’ultima "non ibrida" a vincere a Le Mans

L’Audi R18 TDI è un’auto da corsa recente – il progetto risale a soli tre anni fa – eppure ha già un posto di riguardo nella storia del motorsport. Questa vettura è stata infatti l’ultima “non ibrida” ad aggiudicarsi la mitica 24 Ore di Le Mans (oltretutto in una delle edizioni più belle di sempre, quella del 2011). Scopriamo insieme la storia di questo modello.Audi R18 TDI: la storiaL’Audi R18 TDI viene presentata ufficialmente il 10 dicembre 2010. I numerosi cambiamenti imposti alle Case per prendere parte alla 24 Ore di Le Mans 2011 portano parecchie modifiche tecniche rispetto all’antenata R15 TDI plus (trionfatrice in Francia nel 2010): le più rilevanti riguardano il motore  – un 3.7 turbodiesel V6 da 550 CV (che rimpiazza il precedente 5.5 V10) – e la carrozzeria chiusa anziché aperta per migliorare l’aerodinamica (scelta tecnica che la Casa tedesca non adottava dal 1999 con la R8C).Il debutto in gara risale al 7 maggio 2011 in occasione della 6 Ore di Spa-Francorchamps: l’annata nella serie ILMC (Intercontinental Le Mans Cup) non è delle più esaltanti (il titolo viene vinto dalla Peugeot) ma l’unica vittoria stagionale arriva proprio nella gara più importante.La 24 Ore di Le Mans 2011L’Audi schiera tre R18 TDI alla 24 Ore di Le Mans 2011: la numero 1 è guidata da un equipaggio composto dai tedeschi Timo Bernhard e Mike Rockenfeller e dal francese Romain Dumas, la numero 2 dallo svizzero Marcel Fässler, dal tedesco André Lotterer e dal francese Benoît Tréluyer e l’auto numero 3 (gestita dal Team North America e non, come le altre due, dal Team Joest) dal nostro Dindo Capello, dal danese Tom Kristensen e dal britannico Allan McNish.La vettura tedesca deve lottare per la vittoria contro la Peugeot 908: la sportiva transalpina, più lenta ma meno assetata di carburante, può percorrere più giri con un pieno di gasolio e per questo motivo i piloti della Casa dei quattro anelli devono puntare sulle prestazioni per salire sul gradino più alto del podio.L’Audi R18 TDI numero 2 conquista la pole position (la prima per la Casa teutonica dopo cinque anni), seguita dalla numero 1. La 3 si deve invece accontentare della quinta posizione in griglia.Dopo soli 14 giri le cose si mettono male per il team di ingolstadt: l’auto numero 3 guidata da McNish si trova già in seconda posizione ma deve ritirarsi dopo un incidente con la Ferrari 458 Italia di Anthony Beltoise. All’ottava ora si schianta invece la numero 1 pilotata da Rockenfeller: l’urto è talmente violento che la safety-car rimane in pista per ben due ore (e si ritrova oltretutto a dover fare rifornimento di carburante).Le numerose interruzioni della gara permettono all’Audi R18 TDI di attenuare il divario con la Peugeot per quanto riguarda i consumi e la corsa si decide negli ultimi pit-stop: Lotterer taglia il traguardo per primo, la 908 arriva con un ritardo di poco meno di 14 secondi (13.854, per la precisione).Grazie a questo successo la Casa dei quattro anelli ottiene la decima vittoria alla 24 Ore di Le Mans staccando così la Ferrari ferma a nove e posizionandosi al secondo posto tra le Case più vincenti dietro alla Porsche.

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Toyota Hilux, la storia del pick-up giapponese

Il Toyota Hilux è uno dei pick-up migliori in commercio: noto per la sua robustezza e per la sua elevata affidabilità, ha conquistato – in quasi 50 anni di carriera – numerosi automobilisti in tutto il mondo.Il modello attualmente in commercio  – la settima generazione, chiamata N70 – vede la luce nel 2005 e sbarca in Italia l’anno successivo con un motore 2.5 turbodiesel D-4D da 102 CV, affiancato nel 2007 da un 3.0, sempre a gasolio, da 172 CV. Il restyling del 2008 porta alcune leggere modifiche al frontale mentre due anni dopo la potenza del tre litri scende a 171 CV. L’ultimo lifting (che coinvolge la mascherina e gli interni) risale al 2011.Scopriamo insieme le antenate del Toyota Hilux, l’indistruttibile mezzo da lavoro (e da svago) giapponese.Toyota Hilux N10 (1968)Il primo Toyota Hilux, noto anche con la sigla N10, viene presentato nel 1968: disponibile con la sola trazione posteriore e solo in configurazione a due porte, ha un solo motore al lancio (1.5 a benzina da 77 CV).L’anno seguente debuttano la variante a passo lungo e – per il mercato nordamericano – un 1.9 da 86 CV (saliti a 98 nel 1970). Nel 1971 il 1.5 viene rimpiazzato da un 1.6 e l’anno successivo il 1.9 lascia spazio ad un due litri da 110 CV.Toyota Hilux N20 (1972)Nel 1972 vede la luce il Toyota Hilux N20, evoluzione dell’N10 con uno stile più aggressivo e un comportamento stradale più confortevole. La gamma motori prevede al lancio solo un 1.6 da 83 CV, affiancato l’anno seguente da un 2.0 da 105 e 110 CV (quest’ultimo solo per il mercato nordamericano).Il 1975 è l’anno di debutto dell’N25, un profondo restyling che porta anche un considerevole incremento nelle dimensioni esterne (da 4,28 metri a 4,68 metri di lunghezza) e interne (passo di 2,80 metri anziché 2,58). In America il due litri viene sostituito da un 2.2 da 98 CV.Toyota Hilux N30/40 (1978)La terza generazione del Toyota Hilux – in commercio dal 1978 e chiamata N30/40 – porta parecchie novità: questa variante viene infatti venduta anche con la trazione integrale (a partire dal 1979) e con quattro porte.Due i motori al lancio: 1.6 da 80 CV e 2.2 da 91 CV. Nel 1981 – anno in cui debutta un propulsore diesel (un 2.2 da 63 CV) – il 2.2 viene rimpiazzato da un 2.4 da 98 CV.Toyota Hilux N40 (1983)Il Toyota Hilux N40 del 1983 (noto anche per essere il pick-up di Marty McFly nella trilogia cinematografica di Ritorno al Futuro) è il primo della famiglia ad essere prodotto anche fuori dal Giappone (più precisamente in Uruguay).La gamma motori al lancio prevede quattro propulsori a benzina (1.6, 2.0 e 2.4 da 98 CV e 106 CV) e due unità a gasolio (2.2 da 63 CV e 2.4 da 84 CV). Nel 1985 – anno in cui arriva un 2.4 sovralimentato a benzina da 137 CV – il diesel meno potente abbandona le scene (sostituito l’anno seguente da un 2.4 turbo da 94 CV). Nel 1987 il 2.4 a ciclo Otto da 98 CV cede il posto ad un più prestante 3.0 V6 da 152 CV.Toyota Hilux N50 (1988)Con la quinta generazione – chiamata N50 e mostrata nel 1988 – il Toyota Hilux diventa ancora più globale in quanto inizia ad essere prodotto in ben tre continenti (America, Asia ed Europa): la Volkswagen realizza inoltre una variante rimarchiata di questo modello e la chiama Taro.Uno solo il motore al lancio: un 1.8 a benzina da 79 CV o 83 CV. Nel 1989 la gamma si arricchisce con due unità a ciclo Otto (2.4 da 114 CV e 3.0 V6 da 152 CV) e due a gasolio (2.4 da 90 CV e 2.8 da 91 CV) mentre due anni più tardi è la volta di un restyling che porta alcune modifiche al frontale.Toyota Hilux N60 (1997)Il Toyota Hilux N60 del 1997 non è altro che un evoluzione dell’N50: in Italia viene venduto con due motori 2.5 diesel (aspirato da 79 CV e turbo da 90 CV). In occasione del restyling del 2002 arrivano un frontale più elegante e propulsori 2.5 sovralimentati a gasolio D-4D da 88 e 102 CV.

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Jeep, la storia del 4×4

Il ruolo della Jeep nella storia delle fuoristrada è fondamentale: non è un caso, infatti, che molte persone poco esperte di automobili associno questo marchio a tutte le 4×4 in commercio. Impossibile trovare in listino un brand di veicoli “off-road” più significativo, difficile rintracciare in commercio marchi che rispecchino meglio una filosofia di vita.Di seguito troverete l’evoluzione dei modelli della Casa statunitense, tutti capaci di affrontare qualsiasi superficie senza difficoltà. Dalla Willys MB alla Renegade passando per altre 4WD che hanno permesso a questa azienda – attualmente nelle mani del Gruppo Fiat – di entrare nel mito.Jeep: la storiaLa Jeep come la conosciamo oggi nasce ufficialmente durante la Seconda Guerra Mondiale quando l’esercito statunitense invita 135 costruttori a partecipare ad una gara d’appalto finalizzata alla realizzazione di un mezzo di ricognizione dotato di trazione integrale.Solo tre aziende (la American Bantam, la Ford e la Willys) accettano la sfida: l’offerta più vantaggiosa arriva da quest’ultima ma è la prima a vincere la commessa in quanto è l’unica che riesce a rispettare i tempi di consegna (domanda di partecipazione entro 11 giorni, un prototipo prodotto entro 49 e 70 esemplari costruiti in 75 giorni).La Bantam, però, non è in grado da sola di far fronte alle necessità del Dipartimento della Guerra USA e per questa ragione i suoi progetti vengono rivelati alle due aziende rivali, che subito allestiscono modelli simili. All’inizio degli anni ’40 i tre mezzi (Bantam BRC-40, Ford GP e Willys MA) vengono ordinati in 1.500 esemplari ciascuno ma nel 1941 viene deciso di puntare esclusivamente sulla Willys MB (più potente e più economica da produrre), che viene assemblata su licenza anche dalla Ford.Uso civileNel 1944 gli Alleati – in procinto di vincere la Seconda Guerra Mondiale – permettono alla Willys di progettare una Jeep (l’origine del nome dovrebbe essere legata alla pronuncia della sigla GP, “general purpose”, usata per identificare i veicoli destinati ad impieghi multipli) per uso civile.La CJ -2A (Civilian Jeep) entra in commercio nel 1945 e si distingue dalla versione militare per i fari più grandi, per il portellone posteriore, per la ruota di scorta montata lateralmente e per il serbatoio esterno.L’anno successivo è la volta della Jeep Station Wagon, una spaziosa familiare a sette posti che diventa disponibile a trazione integrale nel 1949.L’era KaiserNel 1953 la Willys viene venduta alla Kaiser Motors, che due anni più tardi lancia la Jeep CJ-5 (versione destinata al pubblico del veicolo M38 – evoluzione dell’MB – usato durante la Guerra di Corea). Più grande, più spaziosa, più affidabile e con un design più moderno, impiega pochissimo tempo a conquistare gli appassionati di fuoristrada.Il modello più rilevante degli anni Sessanta è invece la Wagoneer del 1962, antesignana delle moderne SUV di lusso e dotata di sospensioni anteriori a ruote indipendenti e del cambio automatico.Gli anni SettantaLa Kaiser-Jeep, in crisi economica, viene acquistata dalla AMC (American Motors Corporation) nel 1970. I nuovi proprietari migliorano la gamma riducendo i costi di produzione e incrementando il comfort su asfalto delle 4×4 “yankee”.  Nel 1973 debutta il primo sistema automatico di trazione integrale permanente – il Quadra-Trac – e tre anni più tardi tocca alla CJ-7, più spaziosa della CJ-5 e progettata in modo da poter accogliere un cambio automatico.Gli anni OttantaNel 1979 la Renault diventa partner della AMC e inizia a progettare – insieme ai tecnici statunitensi – una SUV compatta che vede la luce cinque anni dopo: la Cherokee XJ, dotata anche di propulsori francesi.La prima Wrangler – più confortevole delle CJ – vede invece la luce nel 1987, pochi mesi prima dell’acquisto della American Motors da parte della Chrysler. In quello stesso anno Jeep diventa ufficialmente un brand.L’era ChryslerSotto la Chrysler la Jeep amplia la propria gamma con la Grand Cherokee, un’ingombrante Sport Utility nata nel 1993 per rubare clienti alla Range Rover. Nel 1997 la Wrangler TJ abbandona le balestre per le più moderne molle.Nel 1998 il colosso americano si fonde con il gruppo Daimler: le 4×4 statunitensi iniziano ad adottare motori e componentistica Mercedes ma il modello che meglio simboleggia questa fusione – la Grand Cherokee WK2 del 2007 sviluppata su una piattaforma con molti elementi in comune con quella della classe M W164 – vede la luce nello stesso anno in cui termina l’accordo tra le due multinazionali.Con l’acquisto di Chrysler da parte di Fiat nel 2009 iniziano le sinergie tra il colosso torinese e la Jeep. La Cherokee KL del 2014, ad esempio, sfrutta la stessa piattaforma dell’Alfa Romeo Giulietta mentre la Renegade dello stesso anno ha diversi elementi in comune con la 500L.

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Takeo Fujisawa, il cofondatore della Honda

Takeo Fujisawa ha contribuito a fondare la Honda e a tenerla in vita (è stato il responsabile finanziario della Casa giapponese) ma il suo nome non è famoso come quello di Soichiro, che si occupava soprattutto di prodotto senza preoccuparsi dei costi. Scopriamo insieme la storia di quest’uomo, uno dei personaggi più rilevanti dell’automobilismo nipponico.Takeo Fujisawa, la biografiaTakeo Fujisawa nasce il 10 novembre 1910 a Tokyo (Giappone). Il padre, imprenditore specializzato nella pubblicità nelle sale cinematografiche, perde tutto nel grande terremoto del Kantō del 1923 e successivamente si ritrova invalido.Per aiutare economicamente la famiglia Takeo cerca un impiego: fallisce il concorso per diventare insegnante e si ritrova a scrivere indirizzi sulle buste per lavoro. Nel 1930 trascorre un anno nell’esercito mentre nel 1934 diventa venditore per la Mitsuwa Shokai, azienda specializzata nella realizzazione di prodotti in acciaio: diventa in breve tempo uno dei migliori dipendenti della società.Mettersi in proprioTakeo Fujisawa si mette in proprio nel 1939 quando crea la Nippon Kiko Kenkyujo, impresa produttrice di oggetti da taglio che inizia la propria attività solo tre anni più tardi a causa della scarsità di conoscenze tecniche da parte del suo fondatore.Nel 1945, per evitare i bombardamenti, trasferisce la propria fabbrica a Fukushima e dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale decide di investire anche nel business del legnameL’incontro con Soichiro HondaNel 1948 Takeo Fujisawa si reca a Tokyo per acquistare componenti per la sua azienda di oggetti da taglio e grazie ad un incontro con un suo vecchio cliente scopre che un mago della tecnica di nome Soichiro Honda sta progettando motori ausiliari per biciclette.Takeo torna a Fukushima, vende la Nippon Kiko Kenkyujo e si stabilisce nella capitale nipponica dove apre un negozio di legname. L’anno successivo avviene l’incontro tra i due uomini e scocca immediatamente la scintilla.L’avventura in HondaTakeo Fujisawa viene nominato direttore finanziario della Honda mentre Soichiro si occupa di migliorare sempre più il prodotto: una combinazione perfetta che permette alla Casa giapponese di crescere rapidamente.Nel 1964 diventa addirittura vicepresidente e nel 1973 va in pensione insieme a Soichiro rimanendo comunque all’interno dell’azienda. Negli ultimi anni della sua vita apre e gestisce un negozio di antiquariato a Tokyo, città nella quale perde la vita – il 30 dicembre 1988 – per un attacco cardiaco.

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Riley 1500 (1957): compatta e "british"

La Riley 1500 (nota anche con il nome One-Point-Five) del 1957 è il classico esempio di compatta britannica: lunga meno di quattro metri e realizzata sullo stesso pianale a trazione posteriore della Morris Minor, offre tanta eleganza e buone prestazioni a meno di 5.000 euro. In Italia, però, è introvabile.Riley 1500 (1957): le caratteristiche principaliLa Riley 1500 debutta nelle concessionarie del Regno Unito alla fine del 1957 e viene prodotta (anche in Australia) per dieci anni. Si differenzia dalla gemella Wolseley 1500 per la presenza di un carburatore doppio corpo (anziché monocorpo), per la strumentazione più ricca e posizionata davanti al pilota e per i freni più potenti.Il tentativo di creare un’auto di piccole dimensioni “chic” è chiaramente percepibile nel frontale, contraddistinto da una calandra raffinata che contribuisce ad aumentare la sensazione di prestigio. Nel 1960 la vettura beneficia di alcune modifiche estetiche agli interni mentre due anni più tardi viene irrobustito il propulsore grazie ad alcune componenti provenienti dalla Austin A60 Cambridge.La tecnicaIl motore 1.5 quattro cilindri a benzina della Riley 1500 del 1957 – montato in posizione anteriore e abbinato ad un cambio (lo stesso della MG Magnette) manuale a quattro marce (con la prima non sincronizzata) – genera una potenza massima di 68 CV. Le sospensioni e lo sterzo sono gli stessi della Morris Minor.Le quotazioniLe quotazioni della Riley 1500 (4.500 euro) non sono molto alte: questa vettura è stata prodotta in meno di 40.000 esemplari ma può risultare interessante solo per gli appassionati di veicoli provenienti da oltremanica. In Italia trovarla è impossibile, più semplice rintracciarla nel Regno Unito: buona disponibilità di ricambi meccanici.

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Henry M. Leland, il fondatore di Cadillac e Lincoln

Le due Case automobilistiche più prestigiose degli USA sono la Cadillac e la Lincoln: attualmente questi due brand appartengono a due gruppi differenti (rispettivamente GM e Ford) ma sono entrambi stati fondati da un’unica persona, Henry M. Leland. Scopriamo insieme la storia di questo imprenditore statunitense, creatore del lusso in salsa “yankee”.Henry M. Leland, la biografiaHenry M. Leland nasce il 16 febbraio 1843 a Barton (USA). Ultimo di otto figli e appassionato di meccanica fin da giovane, inizia a lavorare alla Brown & Sharpe (azienda del Rhode Island specializzata in macchine utensili) e successivamente collabora con numerose società produttrici di armi come la Colt.Dopo aver imparato in queste ditte a sviluppare metodi di produzione efficienti decide di mettersi in proprio alla fine del XIX secolo: fornisce motori alla Olds Motor Vehicle Company (che successivamente cambierà nome in Oldsmobile) e produce trenini giocattolo.La CadillacNel 1902 Henry M. Leland viene assunto dalla Casa automobilistica Henry Ford Company per gestire il processo di liquidazione della società ma lui suggerisce ai vertici dell’azienda di produrre un nuovo modello dotato di un motore monocilindrico originariamente sviluppato per la Oldsmobile.L’impresa – che viene ribattezzata con il nome Cadillac – introduce numerose innovazioni nel mondo delle quattro ruote (il più importante riguarda la produzione di parti meccaniche in serie intercambiabili) e viene venduta alla General Motors nel 1909. Henry rimane a capo dell’azienda fino al 1917 e cinque anni prima sviluppa un sistema di avviamento elettrico.La LincolnHenry M. Leland abbandona la GM dopo una disputa con il fondatore del colosso nordamericano – William C. Durant – relativa alla fornitura di motori aeronautici. Nello stesso anno crea insieme al figlio Wilfred la Lincoln, che inizia a costruire propulsori V12 Liberty destinati all’aviazione.Al termine della Prima Guerra Mondiale la società punta sulla produzione di auto di lusso ma senza ottenere grandi successi: nel 1922 dichiara bancarotta e viene acquistata dalla Ford. Leland scompare dieci anni più tardi – più precisamente il 26 marzo 1932 – a Detroit (USA).

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Jochen Mass, non solo Villeneuve

Il nome di Jochen Mass è associato indissolubilmente a quello di Gilles Villeneuve: fu contro la monoposto di questo pilota tedesco, infatti, che il driver canadese andò a schiantarsi mettendo fine alla sua breve vita. Questo avvenimento ha oscurato in parte la carriera di questo bravo driver teutonico, che può vantare nel proprio palmarès numerosi successi importanti: scopriamo insieme la sua storia.Jochen Mass: la storiaJochen Mass nasce il 30 settembre 1946 a Dorfen (Germania). A 17 anni, su consiglio del nonno ufficiale di marina, si arruola e in quel periodo – durante le licenze – inizia a correre nei rally locali. Tre anni più tardi lascia le forze armate per seguire la propria passione per le automobili: comincia a lavorare come meccanico in un’officina specializzata nella preparazione di vetture da corsa e nel 1968 inizia a cimentarsi in pista.La svoltaJochen si fa conoscere nel mondo del motorsport all’inizio degli anni Settanta quando inizia ad ottenere i primi risultati importanti nelle gare di durata e nelle cronoscalate. Il risultato più rilevante di quel periodo è indubbiamente la conquista del campionato europeo turismo del 1972 al volante di una Ford Capri.Le monopostoJochen Mass inizia a vincere con le monoposto nel 1973, anno in cui diventa vicecampione europeo di F2 (dietro a Jean-Pierre Jarier). Risale alla stessa stagione il debutto in F1: partecipa al GP di Gran Bretagna con una Surtees senza riuscire a tagliare il traguardo e disputa tre corse risultando più lento del compagno brasiliano Carlos Pace ma più rapido del britannico Mike Hailwood.Nel 1974 diventa pilota titolare della scuderia inglese ma continua ad ottenere risultati peggiori del coéquipier sudamericano: nelle ultime due corse stagionali in Canada e negli USA trova un sedile più prestigioso alla McLaren, dove viene tuttavia surclassato dai nuovi compagni (un certo Emerson Fittipaldi, che in quell’anno diventerà oltretutto campione del mondo, e il neozelandese Denny Hulme).La prima (e unica) vittoriaJochen Mass viene promosso driver titolare della McLaren nel 1975: le sue prestazioni non sono al livello di quelle di Fittipaldi ma nonostante questo arrivano la prima vittoria in F1 (Spagna, corsa interrotta dopo 29 giri a causa dell’incidente di Rolf Stommelen, che provoca quattro morti tra gli spettatori) e due podi (Brasile e Francia).Il 1976 è l’anno in cui Jochen si ritrova un nuovo compagno di squadra: James Hunt, che diventerà campione iridato in quello stesso anno. Il driver tedesco, invece, si deve accontentare di altri due podi in Sudafrica e in Germania. Il 1977 è la sua migliore stagione: termina al 6° posto nel Mondiale grazie a due podi in Svezia e in Canada ma resta meno rapido di Hunt.Il declinoLa parabola discendente di Jochen Mass nel Circus inizia nel 1978 con il passaggio alla ATS: pur essendo il più veloce tra i piloti della scuderia tedesca (Alberto Colombo, Jarier e l’allora debuttante Keke Rosberg) non riesce a portare a casa punti. La situazione migliora nel 1979 (tre sesti posti e più veloce del compagno Riccardo Patrese) e nel 1980 (una quarta piazza ma più lento complessivamente del coéquipier padovano), anno in cui rimane vittima di un pauroso incidente in Austria che lo costringe a saltare due gare, alla Arrows.Il 1982 e VilleneuveNel 1982, dopo un anno di pausa, Jochen torna in F1 e affronta la sua ultima stagione nel Circus al volante della March: non ottiene punti, se la cava meglio dei compagni di scuderia (il brasiliano Raul Boesel e lo spagnolo Emilio de Villota) ma non si può certo parlare di un’annata memorabile.L’annus horribilis di Jochen Mass inizia l’8 maggio durante le prove del GP del Belgio sul circuito di Zolder: mentre sta procedendo lentamente nel giro di rientro si sposta sulla destra per lasciare spazio a Gilles Villeneuve, il quale – lanciatissimo alla ricerca della pole position – decide però di seguire la stessa traiettoria. Il pilota canadese perde la vita nello scontro con la March dell’incolpevole driver teutonico.Un paio di mesi più tardi, in occasione del GP di Francia, è vittima di un pauroso incidente: tocca la Arrows di Mauro Baldi a forte velocità e la sua monoposto decolla verso gli spalti. Jochen se la cava con qualche leggera bruciatura ma decide di abbandonare di punto in bianco il Circus.Oltre la F1Jochen Mass si concentra sulle vetture Sport (da lui guidate spesso anche in concomitanza con la carriera in F1) e nella seconda metà degli anni ’80 arrivano per lui dei successi rilevanti. Nel 1987 vince con la Porsche la 12 Ore di Sebring insieme al pilota statunitense Bobby Rahal e due anni più tardi porta addirittura a casa la 24 Ore di Le Mans con una Sauber insieme allo svedese Stanley Dickens e al connazionale Manuel Reuter.Tempi moderniNegli anni Novanta Mass diventa commentatore di F1 per la TV tedesca e da diverso tempo collabora con il Museo Mercedes, dove si occupa anche di guidare le vetture storiche nelle più prestigiose manifestazioni internazionali.

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Le Porsche "segrete" in mostra a Stoccarda

La mostra “Porsche: Secret!” in programma fino all’11 gennaio 2015 al Museo Porsche di Stoccarda (Germania) è un evento da non perdere per gli appassionati delle vetture della Casa di Zuffenhausen. I visitatori potranno ammirare infatti 16 auto “segrete” che per motivi tecnici o economici non sono mai approdate alla produzione di serie, modelli che solitamente sono custoditi nei caveau dell’azienda tedesca.Con questi veicoli è possibile viaggiare attraverso la storia dell’automobile e del marchio teutonico: la concept ecologica FLA del 1973, ad esempio, fu progettata in risposta alla crisi energetica mentre in rappresentanza degli anni Ottanta segnaliamo un prototipo aerodinamico basato sulla 959, una 928 Cabriolet, una roadster mai messa in produzione (la 984) e la velocissima 965, dotata di un motore V8 posteriore raffreddato ad acqua.La mostra “Porsche: Secret!” a Stoccarda presenta anche due vetture interessanti ideate alla fine del XX secolo: la 986 A4 (concept basata sulla 911 Targa 964 impiegata per testare il concetto di motore centrale della Boxster) e, soprattutto, la 989 a quattro porte, “mamma” della Panamera. Dalle 14:00 alle 17:00 delle domeniche 28/09, 19/10, 16/11, 14/12, 28/12 e 04/01 è inoltre prevista una caccia al tesoro per famiglie: per registrarsi basta inviare una mail a info.museum@porsche.de.Il Museo Porsche è aperto dal martedì alla domenica dalle 09:00 alle 18:00. I prezzi dei biglietti? 8 euro l’intero, 4 euro il ridotto. Per maggiori informazioni www.porsche.com/museum/en.

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Restyling per il Museo dell’Automobile di Torino

Il MAUTO si rinnova: tre anni dopo la riapertura il Museo dell’Automobile di Torino beneficia di un restyling che porta parecchie novità. Più interattività, più multimedialità e nuovi spazi espositivi per ammirare ancora meglio le vetture più significative della storia.Il percorso è ora più ricco: merito di 32 iPad fissi all’ingresso di ciascuna sezione e a disposizione dei visitatori, del QRcode su tutte le automobili e i pannelli di sezione, dei 20 nuovi video, delle tre nuove vetture e di una serie di completamenti scenografici. Senza dimenticare uno spazio interamente dedicato al design, il grande garage visitabile (su prenotazione) e un’officina che accoglierà la Scuola di restauro.Il Museo Nazionale dell’Automobile (MAUTO) si trova a Torino in Corso Unità d’Italia 40 ed è aperto il lunedì dalle 10 alle 14, il martedì dalle 14 alle 19, il mercoledì, il giovedì e la domenica dalle 10 alle 19 e il venerdì e il sabato dalle 10 alle 21. Per maggiori informazioni www.museoauto.it.

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