Category Archives: Auto Classiche

John DeLorean, non solo "Ritorno al futuro"

Considerare John DeLorean solo come il fondatore della Casa che ha realizzato la mitica DMC-12 (protagonista della trilogia cinematografica di “Ritorno al futuro”) sarebbe riduttivo: questo ingegnere/imprenditore statunitense è stato infatti uno dei manager più brillanti della storia delle quattro ruote. Scopriamo insieme la sua carriera.John DeLorean: la biografiaJohn DeLorean nasce il 6 gennaio 1925 a Detroit (USA): figlio di immigrati esteuropei (padre romeno, madre austroungarica), studia ingegneria industriale alla Lawrence Technological University della sua città natale ma è costretto ad interrompere gli studi per via dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale.Serve per tre anni nell’esercito statunitense, torna a casa nel 1946, lavora come progettista per poco più di un anno per aiutare economicamente la madre e successivamente torna all’università (conservando un impiego part-time alla Chrysler). John consegue la laurea nel 1948 ma nonostante le conoscenze tecniche acquisite decide di vendere assicurazioni sulla vita per migliorare le sue doti comunicative.Chrysler e PackardNegli anni Cinquanta John DeLorean prosegue gli studi frequentando per breve tempo il Detroit College of Law e un corso post laurea in ingegneria automobilistica alla Chrysler. Ottiene il master, lavora per breve tempo nella Casa “ yankee” e successivamente passa alla Packard.In questa azienda progetta il cambio automatico Twin-Ultramatic (evoluzione dell’Ultramatic contraddistinta da un convertitore di coppia più efficiente) e dopo poco tempo viene nominato responsabile della sezione “ricerca e sviluppo”.La svolta in General MotorsLa svolta nella carriera di John DeLorean arriva nel 1956 quando viene chiamato alla General Motors: il suo primo lavoro è alla Pontiac come assistente del capo ingegnere Pete Estes e del general manager Semon Knudsen.Nella seconda metà del decennio realizza numerosi brevetti per il marchio nordamericano e riesce a conciliare il lavoro con lo studio ottenendo il Master in Business Administration della Ross School of Business dell’Università del Michigan.Gli anni ’60Nel 1961 John DeLorean viene nominato capoingegnere Pontiac e il suo primo progetto – la GTO del 1964 – lancia la moda delle “muscle car” degli anni ’60. In seguito all’enorme successo riscosso dalla vettura viene promosso a responsabile del brand (il più giovane di sempre in General Motors).Nella seconda metà del decennio contribuisce alla realizzazione della Firebird del 1967, una sportiva realizzata sulla stessa base della Chevrolet Camaro che soffia parecchi clienti alla Ford Mustang, e della seconda generazione della lussuosa Grand Prix (1969), meno cara della rivale Ford Thunderbird.Questi modelli consentono alla Pontiac di crescere nelle immatricolazioni in un periodo di crisi per la GM e a John DeLorean di diventare responsabile Chevrolet nel 1969.In ChevroletLe doti manageriali di John emergono anche in Chevrolet: risana i conti riducendo i costi e puntando sul prodotto, gestisce il lancio della Vega nel 1970 focalizzandosi sul miglioramento della qualità e l’anno seguente porta il marchio del Cravattino ad ottenere quasi lo stesso numero di vetture immatricolate di quelle targate negli USA dall’intero gruppo Ford.Nel 1972 John DeLorean diventa vicepresidente della sezione auto e veicoli commerciali della General Motors ma l’anno seguente abbandona l’azienda in seguito a contrasti con i vertici del colosso statunitense (che lo ritengono troppo giovane e troppo frivolo per ricoprire un ruolo così importante).La DeLoreanDopo l’addio a GM DeLorean decide di mettersi in proprio: il 24 ottobre 1973 fonda una Casa automobilistica che porta il suo nome e presenta il prototipo DSV (DeLorean Safety Vehicle) disegnato da Giorgetto Giugiaro. Nel 1978, grazie a fondi del governo britannico, apre uno stabilimento in Irlanda del Nord ma deve aspettare tre anni prima di vedere la sua creatura uscire dalla catena di montaggio.La DeLorean DMC-12 – unica auto realizzata dal brand creato da John DeLorean – viene presentata nel 1981. Porte ad ali di gabbiano, telaio Lotus, carrozzeria in acciaio inossidabile non verniciata e un motore Peugeot Renault Volvo 2.8 V6 da 150 CV (132 per il mercato nordamericano): sono queste le caratteristiche principali di questa coupé. La vettura – prodotta in meno di 10.000 esemplari – non ottiene il successo sperato in quanto meno brillante e più costosa delle rivali.Il declinoIl declino economico di John inizia dopo i deludenti risultati di vendita della DMC-12: per racimolare i soldi necessari per salvare l’azienda nel 1982 accetta di trafficare cocaina, viene arrestato ma due anni più tardi viene assolto in quanto incastrato da un informatore dell’FBI in cambio di uno sconto di pena.La fedina penale pulita non basta a risollevare le sorti finanziarie di John DeLorean e anche il film “Ritorno al futuro” – che vede come protagonista la DMC-12 – contribuisce solo a far entrare nel mito questa sportiva.Negli anni ’90 John tenta di entrare nuovamente nel mondo delle quattro ruote realizzando l’erede della DMC-12 e per trovare i fondi mette in vendita (senza successo) un innovativo orologio al quarzo a carica automatica. DeLorean dichiara bancarotta nel 1999 e scompare il 19 marzo 2005 per via di un ictus a Summit (USA).

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ARO M 461 C (1969): la Jeep romena

La ARO M 461 C del 1969 è una fuoristrada (meglio non chiamarla SUV, potrebbe offendersi) da non sottovalutare: questa 4×4 romena – mamma della serie 240 e bisnonna della Dacia Duster – è un mezzo inarrestabile che si trova senza problemi a 2.000 euro.ARO M 461 C (1969): le caratteristiche principaliLa ARO M 461 C, svelata nel 1969, non è altro che un’evoluzione della M 461 presentata cinque anni prima caratterizzata da una plancia più moderna e da una strumentazione più completa. Gli esemplari commercializzati in Italia sono facilmente riconoscibili visto che montano indicatori di direzione di origine Fiat (appartenenti alla 500, alla 850, alla 1100 o alla 1300).Questo mezzo, ispirato nello stile alle fuoristrada sovietiche GAZ e utilizzato anche dall’esercito romeno, è uno dei più robusti e affidabili tra quelli prodotti nell’Europa dell’Est prima del crollo del comunismo ed è molto apprezzato tra gli appassionati di “off-road” d’epoca.La tecnicaIl motore della ARO M 461 C del 1969 è un 2.5 quattro cilindri a benzina da 71 CV e 160 Nm di coppia in grado di offrire una spinta corposa ai bassi regimi e di spingere la 4×4 romena fino ad una velocità massima di 100 km/h. Nel 1973 questo propulsore beneficia di alcune leggere modifiche al sistema di lubrificazione, reso più efficiente.Le quotazioniNegli anni ’70 la M 461 C ha conquistato parecchi clienti in Italia ed è grazie alla sua robustezza se ancora oggi non è difficile trovare nel nostro Paese degli esemplari in buono stato. Le quotazioni di 2.000 euro sono leggermente inferiori alla cifra necessaria per acquistarla.

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Peugeot 908 HDi, un’intrusa a Le Mans

La Peugeot 908 HDi ha smesso di correre solo quattro anni fa ma è già entrata di diritto nella storia della 24 Ore di Le Mans: nessun’altra auto, infatti, è riuscita dal 2000 ad oggi ad interrompere il monopolio Audi/Bentley nella mitica corsa endurance francese. Scopriamo insieme l’evoluzione di questo mito del motorsport transalpino.Peugeot 908 HDi: la storia sportivaLa Peugeot 908 HDi viene creata nel 2007 per contrastare l’Audi R10, prima vettura diesel della storia a vincere (l’anno prima) la 24 Ore di Le Mans. Dotata di un telaio monoscocca in fibra di carbonio rivestito da una carrozzeria coupé (come l’antenata 905, trionfatrice sul circuito della Sarthe nel 1992 e nel 1993), monta un motore 5.5 biturbodiesel V12 da 700 CV e 1.200 Nm di coppia montato in posizione posteriore longitudinale e abbinato ad un cambio sequenziale a sei rapporti.2007La Peugeot 908 HDi debutta ufficialmente in gara il 15 aprile 2007 alla 1000 km di Monza (valida per la Le Mans Series) con due vetture: quella guidata dal duo composto dallo spagnolo Marc Gené e dal francese Nicolas Minassian sale subito sul gradino più alto del podio mentre l’altra – condotta dal portoghese Pedro Lamy e dal transalpino Stéphane Sarrazin deve “accontentarsi” della terza piazza.I due si riscattano portando a casa il campionato grazie ai successi a Valencia, al Nürburgring e a Spa e al secondo posto a Interlagos e il titolo riservato ai team arriva con i trionfi di Minassian/Gené (secondi in Germania) nelle altre gare rimanenti: Silverstone e Brasile.In occasione della 24 Ore di Le Mans la Peugeot schiera due 908 HDi: a quella di Sarrazin/Lamy viene aggiunto il francese Sébastien Bourdais mentre nell’altra arriva il canadese Jacques Villeneuve. La prima conquista la pole position ma perde immediatamente la posizione in seguito ad un sorpasso da parte di Dindo Capello. Al tramonto (quando cessa la pioggia) le due vetture del Leone (più aerodinamiche ma costrette a fermarsi più spesso ai box per rimuovere i detriti accumulati in pista) sono dietro a due Audi (una dopo l’incidente al 262° giro di Capello dovuto all’errore di un meccanico).A circa un’ora dal termine della gara Gené è costretto a fermarsi per problemi al motore e anche l’altra 908 accusa gli stessi problemi: a dieci minuti dalla fine Bourdais rallenta, accosta, attende il passaggio dell’Audi vincente per evitare di effettuare un altro giro, riparte e taglia il traguardo in seconda posizione.2008Nel 2008 la Peugeot 908 HDi beneficia di alcune modifiche tecniche ed estetiche e prende parte anche ad alcune gare della serie ALMS (American Le Mans Series) ottenendo come miglior risultato un 2° posto a Road Atlanta (Minassian/Sarrazin con l’aggiunta dell’austriaco Christian Klien). La beffa arriva alla Le Mans Series: nonostante quattro vittorie (Minassian/Gené in Catalunya e a Spa con l’aiuto di Villeneuve e Sarrazin/Lamy a Monza e al Nürburgring) non arriva nessun titolo visto che all’ultima gara a Silverstone due incidenti impediscono alle vetture francesi di conquistare punti.Alla 24 Ore di Le Mans viene deciso di schierare tre esemplari: Sarrazin/Lamy e l’austriaco Alexander Wurz ottengono la pole ma terminano al quinto posto in seguito ad una sosta ai box obbligata per riparare i fari mentre Minassian/Gené/Villeneuve e il trio composto dal francese Franck Montagny, dal brasiliano Ricardo Zonta e da Klien si devono accontentare del 2° e del 3° posto dopo aver dominato per buona parte della gara.2009La stagione migliore per la Peugeot 908 HDi coincide con una fantastica doppietta alla 24 Ore di Le Mans: primi Gené e Wurz insieme all’australiano David Brabham e seconda posizione per il trio francese Bourdais/Montagny/Sarrazin. Le altre due vetture schierate – quella di Minassian/Lamy/Klien e quella del team Pescarolo guidata dai francesi Jean-Christophe Bouillion, Simon Pagenaud e Benoît Tréluyer – compromettono la loro corsa a causa di uno scontro ai box.Nello stesso anno segnaliamo il successo a Spa con Klien/Minassian/Pagenaud, la doppietta a Road Atlanta (1° Montagny/Sarrazin, 2° Minassian/Lamy) e il secondo posto di Bourdais/Montagny/Sarrazin alla 12 Ore di Sebring.2010La Peugeot 908 HDi nel 2010 si impegna su più fronti e porta a casa il neonato campionato ILMC vincendo tutte e tre le gare (doppietta a Silverstone con Minassian e il britannico Anthony Davidson e il duo transalpino composto da Sarrazin e Nicolas Lapierre, doppietta a Road Atlanta con Lamy/Montagny/Sarrazin e Davidson/Gené/Wurz e trionfo a Zhuhai con Montagny/Sarrazin).Nello stesso anno la Casa francese conquista tre titoli Le Mans Series su tre: Piloti con Sarrazin, Team con la squadra Oreca e Costruttori. Doppietta a Spa (1° Bourdais/Lamy/Pagenaud, 2° Montagny/Sarrazin) e vittoria in Algarve tutta transalpina con Lapierre, Sarrazin e Olivier Panis. Nella ALMS è impossibile non citare, infine, la doppietta a Sebring: primi Davidson/Gené/Wurz, secondi Bourdais/Minassian/Lamy.Alla 24 Ore di Le Mans la Peugeot 908 HDi domina le qualifiche conquistando i primi quattro posti: la vettura del trio Bourdais/Lamy/Pagenaud ottiene la pole ma si ritira dopo solo due ore per un problema alle sospensioni mentre le altre tre – guidate da Davidson/Gené/Wurz, Minassian/Montagny/Sarrazin e dal trio composto da Lapierre, Panis e dal transalpino Loïc Duval – abbandonano la gara per problemi al motore.2011I nuovi regolamenti per la categoria LMP1 nell’endurance impongono motori più piccoli ma la 908 HDi continua ancora a gareggiare con alcune restrizioni: propulsore depotenziato, pressione di sovralimentazione ridotta e serbatoio meno capiente.La Casa del Leone schiera una 908 tutta nuova dotata di un’unità 3.7 V8 però alcuni esemplari 5.5 continuano a farsi valere negli USA: una vettura del team Oreca trionfa a Sebring con Duval/Lapierre/Panis e arriva seconda a Road Atlanta con Gené/Lapierre/Minassian. L’ultima apparizione della Peugeot 908 HDi alla 24 Ore di Le Mans coincide con un quinto posto ottenuto dal trio Duval/Lapierre/Panis.

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Automotoretrò 2015, Torino capitale delle storiche

Automotoretrò 2015, in programma dal 13 al 15 febbraio presso il Lingotto Fiere di Torino, è un appuntamento imperdibile per gli appassionati di auto d’epoca. Scopriamo insieme tutte le informazioni utili per seguire nel migliore dei modi la 33° edizione di questo evento, che lo scorso anno ha coinvolto oltre 52.000 visitatori e circa 1.000 espositori.Nei tre giorni di manifestazione si festeggeranno parecchi anniversari: i 100 anni del nome Alfa Romeo, i 90 anni della Moretti (piccola Casa automobilistica piemontese), le 60 candeline dell’Alfa Romeo Giulietta, dell’Autobianchi, della Citroën DS e della Fiat 600 e i 30 anni dell’Autobianchi Y10.Ad Automotoretrò 2015 si ricorderà inoltre il centenario della Prima Guerra Mondiale grazie al contributo delle Forze Armate mentre presso l’Oval si svolgerà Automotoracing, evento dedicato al tuning e alle auto da corsa. Per maggiori informazioni cliccate sul sito ufficiale.Automotoretrò 2015: informazioni utiliIndirizzo: Lingotto Fiere – Via Nizza 294 – TorinoDate: da venerdì 13 febbraio a domenica 15 febbraio 2015Orari: venerdì dalle 10 alle 19; sabato e domenica dalle 9 alle 19Biglietti: intero 12 euro, ridotto 8 euro (ragazzi da 10 a 12 anni e invalidi inferiori all’80% senza accompagnatore), gratis per i ragazzi fino a 10 anni e per gli invalidi oltre 80% con accompagnatore. L’abbonamento per due giorni costa 20 euro e quello per tre giorni 30 euro.

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David Dunbar Buick, auto e… vasche da bagno

David Dunbar Buick è noto per aver fondato la Casa automobilistica che ancora oggi porta il suo nome ma i suoi maggiori successi imprenditoriali sono arrivati grazie alle… vasche da bagno. Scopriamo insieme la storia di quest’uomo.David Dunbar Buick: la biografiaDavid Dunbar Buick nasce il 17 settembre 1854 ad Arbroath (Regno Unito) ma a soli due anni si trasferisce negli USA – più precisamente a Detroit – con la famiglia. Dopo aver abbandonato la scuola a 15 anni trova lavoro in un’azienda specializzata nella produzione di tubi e la rileva nel 1882 insieme ad un socio.L’attività procede alla grande grazie soprattutto alle invenzioni di David: tra le più rilevanti segnaliamo un innaffiatore e un nuovo metodo di smaltatura della ghisa che consente di ridurre notevolmente i costi di produzione delle vasche da bagno.I motoriDavid Dunbar Buick si interessa al mondo dei motori alla fine del XIX secolo e abbandona l’azienda da lui rilevata qualche anno prima. Nel 1899 fonda la Buick Auto-Vim and Power Company, specializzata nella realizzazione di propulsori destinati ai mezzi agricoli, e all’inizio del ‘900 decide di puntare sulla costruzione di automobili complete (senza successo).Nel 1902 tenta nuovamente di sfondare nel mondo delle quattro ruote fondando la Buick Manufacturing Company (azienda che fallisce dopo pochi mesi) ma si riscatta l’anno seguente quando, grazie ad un prestito, crea la Buick Motor Company ancora oggi in attività.Gli ultimi anniDavid Dunbar Buick non è noto nell’ambiente finanziario statunitense per l’oculata gestione dei soldi a sua disposizione e per questa ragione nel 1906 è costretto a vendere la società a William C. Durant (l’uomo che nel 1908 darà vita alla General Motors).Dopo numerosi investimenti sbagliati in altri settori merceologici (tra cui la produzione di carburatori) David rientra nel mondo dell’auto nel 1921 come presidente della Lorraine Motors (Casa automobilistica fondata l’anno prima). Nella seconda metà degli anni ’20 è talmente in crisi da non potersi nemmeno permettere un telefono e scompare per un tumore al colon il 5 marzo 1929 a Detroit (USA).

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Sedici e 500X, la storia delle piccole SUV Fiat

Da quasi dieci anni la Fiat è entrata nel segmento delle piccole SUV e ora la Casa torinese offre in listino ben due modelli: la Sedici (in via di pensionamento) e l’erede 500X. Di seguito troverete la storia di queste vetture.La Fiat Sedici viene presentata ufficialmente al Motor Show 2005 di Bologna: disegnata da Giorgetto Giugiaro, è prodotta in Ungheria insieme alla gemella (pianale identico e design leggermente diverso) Suzuki SX4. Disponibile inizialmente solo a trazione integrale, ha una gamma motori al lancio che comprende un 1.6 a benzina da 107 CV e un 1.9 turbodiesel MJT da 120 CV.Nel 2008 debutta la variante a trazione anteriore in concomitanza con alcune leggere modifiche estetiche interne mentre nel 2009 è la volta di un profondo restyling: mascherina e paraurti completamente ridisegnati e due nuovi propulsori che rimpiazzano i precedenti (1.6 a benzina da 120 CV e 2.0 MJT a gasolio da 135 CV). Quest’ultima unità abbandona le scene nel 2013.La Fiat 500X, creata per rimpiazzare la Sedici, debutta invece al Salone di Parigi 2014: realizzata sullo stesso pianale della Jeep Renegade e disponibile a trazione anteriore o integrale, è prodotta a Melfi (Basilicata) e si differenzia dalla cugina “yankee” per uno stile meno “off-road”.I motori, per il momento, sono quattro: due a benzina (1.6 da 110 CV e 1.4 MultiAir da 140 CV) e due turbodiesel MultiJet (1.6 da 120 CV e 2.0 da 140 CV). Due le versioni: “normale” e “Cross”. Quest’ultima può vantare paraurti specifici, il sistema Traction Plus sulle varianti 4×2 (che simula il comportamento di un differenziale autobloccante) e scudi di protezione che consentono di aumentare gli angoli di rampa (molto utili nel fuoristrada leggero).

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Pierre-Jules Boulanger, il salvatore della Citroën

Pierre-Jules Boulanger è uno dei personaggi più importanti dell’automobilismo francese. Come direttore generale Citroën (carica ricoperta dal 1937 al 1950) ha infatti gestito i due progetti più importanti della Casa francese: la DS e, soprattutto, la 2CV. Scopriamo insieme la storia di questo manager.Pierre-Jules Boulanger: la biografiaPierre-Jules Boulanger nasce il 10 marzo 1885 a Sin-le Noble (Francia), nel 1906 tenta la carriera militare e due anni più tardi si trasferisce negli USA per cercare fortuna. Tornato in patria nel 1914 per combattere nella Prima Guerra Mondiale, viene decorato con la Legion d’onore al termine del conflitto.L’ingresso in MichelinGrazie all’amicizia col commilitone Marcel Michelin (nipote di Édouard, cofondatore dell’azienda di pneumatici che ancora oggi porta il suo nome) entra nella società nel 1919 come collaboratore e sale la scala gerarchica fino ai vertici, raggiunti all’inizio degli anni ’30.L’ingresso in CitroënLa svolta nella carriera di Pierre-Jules Boulanger arriva nel 1934, anno in cui la Michelin acquista l’intero pacchetto azionario della Citroën. Diventa assistente del nuovo direttore generale Pierre Michelin e dopo la morte di quest’ultimo (in un incidente stradale nel 1938) prende le redini della società.Boulanger, attraverso un’attenta politica di riduzione dei costi, impiega poco tempo a risollevare la Casa del Double Chevron (penalizzata da conti in rosso): cancella il lancio della superammiraglia 22-V8 preferendo puntare su modelli più accessibili e riporta il marchio al primo posto nelle immatricolazioni tra i costruttori francesi.Progetti importantiNel 1938 Pierre-Jules Boulanger inizia la gestione di due progetti destinati a cambiare la storia della Citroën -VGD (Voiture à Grande Diffusion, un’erede della Traction Avant) e TPV (Très petite voiture, vettura molto piccola) – e affida entrambi i lavori a due professionisti di alto livello: André Lefebvre per la parte tecnica e Flaminio Bertoni per il design.La 2CVLe decisioni di Boulanger influenzano sopratutto lo sviluppo della nuova “segmento B” del Double Chevron, quella che diventerà la 2CV. Pierre-Jules fissa le linee guida del modello – velocità di 60 km/h, adattabilità alle superfici sconnesse, consumi bassi, prezzo contenuto, linea poco ricercata e materiali resistenti –  e interviene più volte bocciando numerose idee e promuovendone parecchie.La Seconda Guerra MondialeNella Seconda Guerra Mondiale molti personaggi legati al mondo dell’auto scendono a patti con i nazisti ma non Pierre-Jules Boulanger: il manager transalpino rifiuta di collaborare con i tedeschi e per evitare che Adolf Hitler possa mettere le mani sul progetto della 2CV distrugge tutti i 250 modelli di pre-serie realizzati (qualcuno di questi viene ritrovato smontato dopo il conflitto).Il dopoguerraAl termine della guerra il progetto TPV riparte con numerose modifiche: la versione definitiva – la Citroën 2CV – viene presentata ufficialmente al Salone di Parigi del 1948. Boulanger perde la vita due anni più tardi – l’11 novembre 1950 a Broût-Vernet (Francia) – senza avere la possibilità di vedere la fine del secondo progetto da lui gestito: la DS, svelata nel 1955.

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Dacia, la storia della Casa romena

La storia della Dacia è la storia di un successo: quello di un marchio nato quasi mezzo secolo fa capace negli ultimi anni di sedurre tantissimi automobilisti, anche italiani (da noi le immatricolazioni del brand esteuropeo superano persino quelle dell’Alfa Romeo). Merito di prodotti “low-cost” ricchi di sostanza e di un legame con Renault attivo fin dagli esordi. Scopriamo insieme l’evoluzione del marchio romeno.Dacia, la storiaLa Dacia nasce negli anni Sessanta in seguito alla decisione del governo romeno di realizzare un’auto per il popolo assemblando su licenza una vettura estera. Dopo diversi contatti con numerose Case europee viene firmato nel 1966 un accordo con la Renault: nello stesso anno nasce la società UAP (Uzina de Autoturisme Pitești) mentre nel 1968 vede la luce a Mioveni la prima fabbrica da cui esce la 1100 a trazione posteriore, nient’altro che una 8 rimarchiata dotata di un motore posteriore da 46 CV.Alla conquista dell’EstLa svolta arriva nel 1969 con la 1300: la Renault 12 rivista in chiave esteuropea è più grande e spaziosa della 1100 (merito anche della filosofia “tutto avanti”: motore e trazione anteriori) e conquista in breve tempo non solo la popolazione della Romania ma anche molti automobilisti dell’ex blocco sovietico. Nel 1973 è la volta della variante station wagon mentre nel 1975 debutta (insieme alla D6, versione rimarchiata del veicolo commerciale Estafette) la pick-up.Alla fine degli anni Settanta (più precisamente nel 1979) la Dacia svela al Salone di Bucarest la 1310, profondo restyling della 1300 caratterizzato da uno stile più al passo con i tempi e da una gamma ricca di versioni. La più interessante è senza dubbio la Coupé, nata nel 1981 e apprezzatissima dal pubblico giovane.Nel 1988 vede la luce l’unico modello della Casa rumena prodotto prima della fine del comunismo non derivato dalla Renault 12 o dalla 8: la citycar Lăstun. Questa vettura – lunga meno di tre metri e dotata di un motore 0.5 bicilindrico da 23 CV – si rivela un flop.La fine del comunismoIl crollo del regime comunista non arresta la produzione Dacia di modelli basati sulla Renault 12. Solo nel 1995 viene lanciata la Nova, prima vettura disegnata e progettata da ingegneri romeni: una compatta a cinque porte dallo stile poco originale.Il 1999 è l’anno in cui il brand esteuropeo viene acquistato dalla Régie e il primo frutto di questa partnership è la SupeRNova del 2000, una Nova profondamente ristilizzata e più ricca di componenti meccaniche transalpine. Nel 2003 è la volta della Solenza, ultima evoluzione della Nova caratterizzata da finiture più curate e da forme più aggraziate.La Dacia modernaIl periodo d’oro della Dacia inizia ufficialmente nel 2004 con il debutto della Logan, una compatta “low-cost” con la coda che viene venduta anche dalle nostre parti. Il boom delle immatricolazioni nel nostro Paese inizia però con l’arrivo della più versatile station wagon MCV, mostrata al Salone di Parigi del 2006.La piccola Sandero vede la luce nel 2008 ma il modello che contribuisce più di tutti al successo della Casa romena è senza dubbio la SUV Duster mostrata al Salone di Ginevra del 2010: una Sport Utility a trazione anteriore o integrale che può vantare uno stile riuscito, contenuti di buon livello e un prezzo sensibilmente inferiore a quello delle rivali.Gli ultimi anniGli anni Dieci del XXI secolo vedono altre novità interessanti firmate Dacia che contribuiscono ad ampliare la gamma del marchio esteuropeo: nel 2012 vedono la luce la monovolume Lodgy, la multispazio Dokker e la seconda generazione di Sandero e Logan. L’anno seguente tocca invece all’attesissimo restyling della Duster.

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Jacky Ickx, i 70 anni di un mito

F1, endurance, rally raid, turismo, F2 e chi più ne ha più ne metta: Jacky Ickx ha corso e vinto ovunque. Il pilota belga – che questo mese ha compiuto 70 anni – può vantare nel suo ricco palmarès, tra le altre cose, sei 24 Ore di Le Mans e una Dakar ed è stato due volte campione del mondo Sport Prototipi. L’unico alloro che manca alla sua bacheca è il Mondiale F1, più volte sfiorato. Scopriamo insieme la storia di uno dei driver più veloci di sempre.Jacky Ickx, la storiaJacky Ickx nasce l’1 gennaio 1945 a Bruxelles (Belgio). Si avvicina al mondo delle corse grazie al padre – noto giornalista specializzato nel motorsport – e dopo aver disputato alcune gare con le moto (trial) si concentra sulle automobili e più precisamente nella categoria turismo.Il turismoIckx comincia a correre con le vetture turismo nella prima metà degli anni ’60: nel 1963 guida una BMW 700 mentre l’anno seguente inizia a farsi notare nel campionato europeo con la Ford Cortina. Nel 1965, al volante di questo modello, porta a casa il titolo belga mentre trionfa nel campionato continentale Divisione 3 con la Ford Mustang (auto con cui bissa il trionfo a livello nazionale nel 1966).La F2Nel 1966 Jacky Ickx passa alle monoposto di F2 e nello stesso anno partecipa al GP di Germania di F1 con una Matra motorizzata Ford della scuderia Tyrrell (ritirato). Nel 1967 (anno in cui conquista la 1000 km di Spa con una Mirage insieme allo statunitense Dick Thompson e il campionato europeo di F2 davanti all’australiano Frank Gardner e al francese Jean-Pierre Beltoise) gareggia nuovamente in Germania con la Matra e si ritira dopo aver disputato delle eccellenti qualifiche e una gara strepitosa.Il debutto in F1La Cooper si accorge di Jacky e lo ingaggia per disputare gli ultimi due GP della stagione: in Italia, al debutto su una F1, conquista i primi punti in carriera (sesto al traguardo) ma complessivamente si rivela più lento del compagno, l’austriaco Jochen Rindt.La prima vittoriaJacky Ickx viene chiamato dalla Ferrari per correre con la Rossa nel Mondiale 1968 e impiega pochissimo tempo a conquistare i tifosi del Cavallino: si rivela più veloce del coéquipier neozelandese Chris Amon e ottiene il primo podio in carriera nel Circus (Belgio), la prima vittoria (Francia) e altri due terzi posti in Gran Bretagna e in Italia.Il 1968 è anche l’anno in cui arrivano tre vittorie nel Mondiale Sport Prototipi con la Ford GT40: due (6 Ore di Brands Hatch e 1000 km di Spa) in coppia con il britannico Brian Redman e una (6 Ore di Watkins Glen) con il connazionale Lucien Bianchi.La prima Le Mans e la parentesi BrabhamNel 1969 Ickx passa alla Brabham e diventa vicecampione del mondo (risultando più rapido del fondatore del team, l’australiano Jack Brabham) grazie a due vittorie (Canada e Germania), a due secondi posti (Gran Bretagna e Messico) e ad una terza piazza ottenuta in Francia.Nello stesso anno Jacky Ickx conquista – insieme al britannico Jackie Oliver – la 12 Ore di Sebring e la 24 Ore di Le Mans al volante della Ford GT40 ed entra nella storia del motorsport quando in Francia per protestare contro l’anacronistica ed insicura procedura di start (vetture schierate a spina di pesce e piloti allineati dall’altro lato del rettilineo di partenza che attraversano il tracciato correndo a piedi prima di salire in macchina, soluzione che porta i driver a non indossare le cinture di sicurezza per risparmiare tempo) cammina lentamente verso la sua auto, si accomoda a bordo assicurando correttamente il proprio corpo al sedile attraverso il sistema di ritenuta e trionfa comunque.L’era FerrariIl periodo migliore di Jacky in F1 è indubbiamente quello trascorso con la Ferrari all’inizio degli anni Settanta: specialmente nel 1970 quando conquista il 2° posto nel Mondiale con tre vittorie (Austria, Canada e Messico), un secondo posto in Germania e un terzo in Olanda risultando più rapido dei due compagni di scuderia (lo svizzero Clay Regazzoni e il nostro Ignazio Giunti).Nel 1971 (1° in Olanda, 2° in Spagna e 3° a Monte Carlo) Jacky Ickx fa meglio di Regazzoni e dello statunitense Mario Andretti e l’anno seguente (1° in Germania, 2° in Spagna e a Monte Carlo e 3° in Argentina) si sbarazza nuovamente di questi due driver e dei nostri Nanni Galli e Arturo Merzario. Insieme a quest’ultimo disputa la disastrosa stagione 1973, intervallata da un eccellente GP di Gran Bretagna corso al volante di una McLaren (3°, più veloce dei due coéquipier: lo statunitense Peter Revson e il neozelandese Denny Hulme) e dal GP degli USA (7°, più rapido del compagno neozelandese Howden Ganley) affrontato al volante di una Iso-Marlboro.Nel 1972 Ickx conquista inoltre ben sei vittorie con la Ferrari 312PB nel Mondiale Sport Prototipi: quattro con Andretti (6 Ore di Daytona, 12 Ore di Sebring, 1.000 km di Brands Hatch e 6 Ore di Watkins Glen), una (la 1.000 km di Monza) con Regazzoni e una (Austria) con Redman. Insieme a quest’ultimo driver trionfa nel 1973 in due 1.000 km iridate: quella di Monza e quella del Nürburgring.La Lotus e la seconda Le MansIl 1974 (corredato dalla vittoria alla 1.000 km di Spa con una Matra-Simca MS670C guidata insieme al transalpino Jean-Pierre Jarier) è l’anno in cui Jacky inizia a correre per la Lotus: porta a casa due terzi posti in Brasile e in Gran Bretagna e trionfa alla Corsa dei Campioni (non valida per il Mondiale) ma si rivela più lento del compagno svedese Ronnie Peterson. L’anno seguente fa meglio del proprio coéquipier ma ottiene solo un podio (l’ultimo nel Circus, 2° in Spagna) e lascia la scuderia – poco competitiva – a metà stagione.Nel 1975 arriva anche la seconda vittoria alla 24 Ore di Le Mans di Jacky Ickx con una Mirage GR8 guidata insieme al britannico Derek Bell.La seconda metà degli anni ’70Nella seconda metà degli anni ’70 Ickx concentra le proprie energie sulle gare endurance. Nel 1976 vince la terza 24 Ore di Le Mans con una Porsche 936 e con la Casa di Zuffenhausen ottiene altri tre successi con il tedesco Jochen Mass (Mugello, Vallelunga, Digione).Il quarto trionfo sulla Sarthe per Jacky Ickx arriva nel 1977 con la Porsche 936/77 insieme al tedesco Jürgen Barth e allo statunitense Hurley Haywood mentre il binomio con Mass permette al marchio teutonico di trionfare per altre tre volte nel Mondiale Sport Prototipi (Silverstone, Watkins Glen e Brands Hatch) e di portare a casa la 6 Ore di Silverstone del 1979.Per quanto riguarda la F1 Jacky corre nel 1976 con la Williams (risultando più veloce del compagno francese Michel Leclère e più rapido del nostro Renzo Zorzi nella prima prova stagionale in Brasile). Nella seconda metà del campionato passa alla Ensign e resta con questa scuderia fino al 1978.Nel 1979 Jacky Ickx conquista il campionato nordamericano Can-Am con una Lola davanti al britannico Geoff Lees e affronta la sua ultima stagione nel Circus al volante di una Ligier, senza tuttavia riuscire a convincere più del coéquipier transalpino Jacques Laffite.Gli anni ’80Gli anni ’80 si aprono alla grande per Ickx, che nel 1981 sale sul gradino più alto del podio (per la quinta volta) della 24 Ore di Le Mans insieme a Bell con una Porsche 936 (trionfo bissato l’anno seguente con una 956).Jacky Ickx conquista inoltre due Mondiali Sport Prototipi con la Porsche nel 1982 (con la 956) e nel 1983 (con la 956-83): il primo anno grazie a quattro vittorie (oltre a Le Mans, la 1.000 km di Spa, la 6 Ore del Fuji e la 1.000 km di Brands Hatch) e il secondo grazie a due successi (Nürburgring e Spa).L’ultimo successo rilevante per Jacky arriva sempre nel 1983, anno in cui al volante di una Mercedes classe G taglia per primo il traguardo della Dakar.Gli ultimi trionfiAnche negli anni ’80 Jacky Ickx resta un protagonista delle gare endurance: nel 1984 vince con la Porsche 956 insieme a Mass a Silverstone e a Mosport e nel 1985 questo binomio porta a casa altri tre successi (Mugello, Silverstone e Shah Alam). Alla fine della stagione – nella quale è protagonista dell’incidente a Spa che porta la morte di Stefan Bellof – Ickx si ritira ufficialmente dalle corse su pista.

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Zagato Hyena (1992): il lato oscuro della Lancia Delta

La Zagato Hyena del 1992 è un’auto molto amata dai lancisti: questa rarissima coupé (solo 25 gli esemplari prodotti) realizzata sulla stessa base della mitica Lancia Delta Integrale è il simbolo di quello che avrebbe potuto fare la Casa torinese se solo avesse deciso di continuare a puntare sulla sportività. Non fatevi ingannare dalle quotazioni ufficiali che recitano 40.000 euro: ce ne vogliono circa 100.000 per trovare qualcuno disposto a vendervi un esemplare ben conservato.Zagato Hyena (1992): le caratteristiche principaliIl progetto della Zagato Hyena nasce all’inizio degli anni ’90 quando l’importatore olandese Lancia Paul Koot propone al marchio piemontese di realizzare una versione sportiva della Delta Integrale in modo da proseguire la carriera dell’auto da rally più vincente della storia (10 Mondiali – quattro Piloti e sei Costruttori – tra il 1987 e il 1992).Koot si rivolge quindi al carrozziere Zagato: dopo aver ottenuto dalla Lancia solo il diritto di usare il marchio viene costruita la vettura, che viene presentata ufficialmente al Salone di Bruxelles del 1992. il design firmato Marco Pedracini – contraddistinto da forme tondeggianti e dalle caratteristiche gobbe sul tetto – conquista subito il pubblico ma il prezzo (140 milioni di vecchie lire) scoraggia molti potenziali clienti.Il motivo di un listino così salato? I costi di produzione. Per costruire la Zagato Hyena vengono prese delle Lancia Delta Integrale di serie che vengono “spogliate” in Olanda e riassemblate a mano a Rho, in provincia di Milano, utilizzando materiali pregiatissimi come l’alluminio (per i pannelli della carrozzeria) e la fibra di carbonio (per la plancia e per i rivestimenti interni). Elementi che contribuiscono (insieme all’eliminazione del divano posteriore, al suo posto la ruota di scorta e un telo trapuntato) a ridurre il peso della compatta torinese di 150 kg.Il progetto iniziale di produrre 500 esemplari in serie svanisce rapidamente dopo l’ennesimo rifiuto della Lancia di collaborare: al lancio si parla di 75 unità, che diventano però solo 25 dopo che molte prenotazioni iniziali non si concretizzano in un acquisto.La tecnicaLa base tecnica della Zagato Hyena è la stessa della Lancia Delta Integrale: quattro ruote motrici e un motore 2.0 sovralimentato (con potenze fino a 250 CV) che permette alla coupé lombarda di raggiungere una velocità massima di 230 km/h e di accelerare da 0 a 100 chilometri orari in 5,4 secondi. Il piacere di guida è ulteriormente migliorato: merito del passo più corto, dell’assetto più rigido e degli ammortizzatori Koni.Le quotazioniLe quotazioni ufficiali recitano 40.000 euro ma tre anni fa un esemplare della Hyena è stato venduto all’asta a quasi 90.000 euro. Considerando l’inflazione e il crescente interesse storico di questa rarissima sportiva è impossibile pensare di acquistarla oggi con meno di 100.000 euro.

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