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Jaguar, la storia della Casa britannica
Sportività ed eleganza: sono questi – da oltre 90 anni – i punti di forza delle vetture Jaguar. Questo marchio (che può vantare, tra le altre cose, il primato di successi alla 24 Ore di Le Mans tra le Case britanniche) è sopravvissuto a tutte le crisi dell’automobilismo inglese ed è ancora oggi uno dei pochi capaci di contrastare i brand “premium” tedeschi. Scopriamo insieme la sua storia.Jaguar, la storiaLa storia della Jaguar inizia ufficialmente nel settembre 1922 quando William Lyons (appassionato di moto) e William Walmsley (costruttore di sidecar) si mettono in società e fondano la Swallow Sidecar Company. Questa azienda, inizialmente specializzata nella realizzazione di mezzi a due ruote, ottiene un grande successo nella seconda metà degli anni ’20 grazie alla creazione di carrozzerie per la Austin Seven, rivolte a clienti che amano distinguersi ma non vogliono spendere cifre esagerate.Le prime autoLyons, stufo di lavorare su automobili di altre Case, progetta per la prima volta due vetture e le presenta al Salone di Londra del 1931: le scoperte SS 1 e SS 2 hanno un aspetto premium ma un prezzo relativamente abbordabile. Tre anni più tardi Walmsley abbandona la società.Cambio di nomeNel 1935 il nome Jaguar viene usato per la prima volta su una berlina 2.5 chiamata SS Jaguar e due anni dopo arriva il primo successo sportivo per il brand inglese quando il britannico Jack Harrop conquista il RAC Rally (vittoria bissata nel 1938) al volante di una SS100.Durante la Seconda Guerra Mondiale la produzione si concentra sui sidecar per l’esercito di Sua Maestà e al termine del conflitto la dirigenza decide di vendere la divisione motociclistica e, soprattutto, di togliere il nome SS, troppo simile a quello usato dall’unità paramilitare nazista.La XK120La prima auto rivoluzionaria firmata Jaguar è la XK120 del 1948: una scoperta dotata di un motore 3.4 a sei cilindri in linea che consente a questa sportiva di raggiungere le 120 miglia orarie (193 km/h: l’auto di serie più veloce in commercio).Questa vettura conquista numerosi clienti e vince diverse corse in giro per l’Europa: nel 1951 – anno in cui debutta la variante chiusa FHC – Ian Appleyard conquista il RAC Rally e la C-Type (vettura da corsa con telaio tubolare che condivide la meccanica con la XK120) permette al brand di ottenere il primo successo alla 24 Ore di Le Mans con il duo “british” composto da Peter Walker e Peter Whitehead.Questi due successi Jaguar vengono ripetuti nel 1953: la mitica corsa di durata francese viene però vinta da un altro equipaggio sempre britannico (Tony Rolt e Duncan Hamilton) e da una vettura più evoluta dotata degli innovativi freni a disco. Nello stesso anno arriva in listino la terza variante della XK120: la Coupé Drophead.La D-TypeLa D-Type – prima auto da corsa di sempre con struttura monoscocca – è una vettura che ha fatto la storia del motorsport: caratterizzata da una vistosa pinna posteriore, conquista tra il 1955 e il 1957 tre edizioni consecutive della 24 Ore di Le Mans con piloti rigorosamente britannici. La prima con il duo composto da Mike Hawthorn e Ivor Bueb, la seconda con Ron Flockhart e Ninian Sanderson e la terza con Flockhart e Bueb. Quest’ultimo trionfo è oltretutto l’ultimo “all british” (auto e piloti provenienti dal Regno Unito) nella storia di questa importante corsa di durata.Nello stesso periodo segnaliamo la vittoria del Rally di Monte Carlo del 1956 di una Jaguar Mark VII guidata dal britannico Ronnie Adams e – per quanto riguarda la produzione di serie – il lancio della XK150, prima vettura stradale del brand a montare i freni a disco portati al debutto nelle competizioni dalla C-Type.Gli anni ’60 e la E-TypeNel 1960 il brand inglese rileva la Daimler e trasferisce nello stabilimento di Coventry di questa azienda la produzione dei motori. L’anno seguente è la volta del debutto – al Salone di Ginevra – del modello più famoso di questo marchio: la E-Type. Considerata da un certo Enzo Ferrari l’auto più bella mai costruita, tocca le 150 miglia orarie (241 km/h) ed è oltretutto molto evoluta tecnicamente: quattro freni a disco, telaio monoscocca e sospensioni a quattro ruote indipendenti. I suoi punti deboli? Il cambio, gli spazi di frenata lunghi e i sedili poco avvolgenti.Nel 1963 arriva la prima vittoria importante per una Jaguar guidata da un pilota straniero quando il tedesco Peter Nöcker conquista la prima edizione del Campionato Europeo Turismo con una Mark II e tre anni più tardi viene lanciata la versione 2+2 della E-Type con passo allungato per ospitare due passeggeri sui posti posteriori.Il marchio britannico è in buona salute: è uno di quelli più amati nel Regno Unito ed è il brand straniero più amato negli USA. Nel 1966 viene fuso con la BMC per creare la British Motor Holdings e l’anno seguente William Lyons abbandona il ruolo di direttore generale.Il 1968 è l’anno in cui viene presentata un’altra icona del marchio Jaguar – l’ammiraglia XJ (che toglie dal mercato quasi tutte le obsolete berline della Casa britannica) – e nel 1969 lo storico progettista William Heynes (entrato in SS nel 1934) va in pensione.Gli anni ’70Il primo avvenimento importante degli anni ’70 arriva nel 1971 quando il motore 5.3 V12 viene introdotto sulla E-Type. L’anno seguente lo stesso propulsore – montato sulla XJ – permette all’ammiraglia britannica di diventare la quattro posti di serie più veloce in commercio (quasi 220 km/h). Sempre nel 1972 (quando Lyons va ufficialmente in pensione) viene lanciata la variante a passo lungo della berlinona “british” (per rimediare al principale difetto di questa vettura: lo spazio ridotto per i passeggeri posteriori) e tre anni dopo viene presentata la coupé XJ-S, realizzata sulla stessa base della XJ “standard”.Gli anni ’80Il 1984 è un anno importante per la Jaguar. Il marchio inglese viene privatizzato ed entra in Borsa e arrivano due vittorie sportive importanti grazie al britannico Tom Walkinshaw e alla XJS, vincitori del Campionato Europeo Turismo e – con un equipaggio composto anche dal tedesco Hans Heyer e dall’inglese Win Percy – della 24 Ore di Spa. Nel febbraio del 1985 scompare William Lyons.Tra la seconda metà degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 la Casa britannica ottiene numerose soddisfazioni sportive nella categoria endurance: nel 1987 arriva il primo Mondiale Sportprototipi (condito dal trionfo tra i piloti del brasiliano Raul Boesel), successo bissato nel 1988 (con l’inglese Martin Brundle iridato tra i driver) grazie anche alla vittoria della 24 ore di Le Mans portata a casa dall’olandese Jan Lammers e dai britannici Johnny Dumfries e Andy Wallace. Nello stesso anno Boesel, Brundle, Lammers e il danese John Nielsen vincono la 24 Ore di Daytona.Il passaggio a FordNel 1989 la Jaguar viene acquisita dalla Ford ma non cessa l’impegno sportivo: nel 1990 la XJR-12 vince la 24 Ore di Le Mans con Brundle, Nielsen e lo statunitense Price Cobb e la stessa vettura – guidata questa volta da Lammers, Wallace e dallo “yankee” Davy Jones – si aggiudica la 24 Ore di Daytona. L’ultimo successo sportivo rilevante per la Casa britannica risale al 1991: vittoria nel Mondiale Sportprototipi e titolo iridato per il nostro Teo Fabi.La produzione di serie dell’ultimo decennio del XX secolo vede la supercar XJ220 del 1992 (motore 3.5 V6 a doppia sovralimentazione da 542 CV e 335 km/h di velocità massima), la sexy sportiva XK8 e l’ammiraglia S-Type, sorella minore della XJ dallo stile retrò.Il terzo millennioNel 2000 la Jaguar entra in F1: resta nel Circus fino al 2004 ma ottiene solo due podi con il pilota britannico Eddie Irvine. Va meglio con le vetture stradali: la berlina X-Type del 2001 – realizzata sullo stesso pianale della Ford Mondeo – è la prima auto del brand britannico a trazione integrale e due anni più tardi (in occasione del lancio delle varianti station wagon e diesel) diventa anche la prima a trazione anteriore.Questo modello ottiene buoni risultati di vendite ma intacca il blasone del brand: la rinascita arriva nel 2007 con la XF, erede della S-Type contraddistinta da uno stile moderno e rivoluzionario riproposto dalla XJ X351 del 2009. Nel mezzo (nel 2008) l’acquisto del marchio da parte degli indiani della Tata.Per quanto riguarda i modelli più recenti firmati Jaguar è impossibile non citare la sportiva F-Type del 2013 e la berlina XE del 2015, con pianale in alluminio e, a differenza dell’antenata X-Type, a trazione posteriore.

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Tazio Nuvolari, la storia di un mito
Il pilota italiano più forte di tutti i tempi? Probabilmente Tazio Nuvolari. Il driver mantovano ha dominato le corse degli anni ’30: la Seconda Guerra Mondiale gli ha impedito di ottenere altri trionfi e solo l’età avanzata non gli ha permesso di correre in F1. Scopriamo insieme la sua storia ricca di vittorie.Tazio Nuvolari, la storiaTazio Nuvolari nasce il 16 novembre 1892 a Castel d’Ario (Mantova). Appassionato di veicoli a motore fin da bambino, impara a guidare moto e auto molto presto e durante la Prima Guerra Mondiale si occupa di trasportare feriti (con le ambulanze della Croce Rossa), soldati e ufficiali (con i camion) tra le prime linee e le retrovie del fronte orientale. Nel 1917 si sposa civilmente (uno scandalo, all’epoca) con Carolina Perina e nel 1918 vede la luce il suo primo figlio: Giorgio.Gli anni ’20La carriera di pilota di Tazio inizia nel 1920: ottiene la licenza per correre con le moto, disputa la prima gara il 20 giugno a Cremona in sella ad una Della Ferrera e si ritira dopo pochi giri per un guasto meccanico. Il debutto con le auto – il 20 marzo 1921 a Verona in occasione di una prova di regolarità al volante di una Ansaldo Tipo 4 – coincide con una vittoria.Il primo successo sulle due ruote arriva nel 1922 quando si laurea campione mantovano con una Harley-Davidson, l’anno seguente trionfa a Busto Arsizio con una Norton e sale sul gradino più alto del podio del Giro dell’Emilia e del Circuito del Piave con una Indian. La prima vittoria in auto in una gara di velocità risale al 1924 (Circuito del Tigullio con una Bianchi 18): nello stesso anno con una moto Norton ottiene tre successi (Belfiore, Cremona e Tortona).I primi successi importantiNel 1925 Tazio Nuvolari è uno dei piloti più famosi del Nord Italia e per questa ragione l’1 settembre viene invitato dall’Alfa Romeo ad effettuare una serie di test nei quali rimane vittima di un grave incidente. Dodici giorni più tardi, pur essendo pieno di fasciature e bendaggi, sale in sella alla Bianchi e conquista il GP delle Nazioni a Monza valido per il campionato europeo moto nella classe 350. Con lo stesso mezzo conquista il Circuito Ostiense nel 1926.Mettersi in proprioIl 1927 è l’anno in cui Tazio decide di creare una propria scuderia: al volante di una Bugatti da lui acquistata e gestita è primo assoluto al Reale Premio di Roma e sul Circuito del Garda. I successi con le due ruote firmate Bianchi proseguono senza sosta (Lugo, Helvia Recina, Circuito del Pozzo e Circuito Colle dell’Infinito). Nel 1928 arrivano il secondo figlio Alberto (nato l’11 marzo), la prima vittoria all’estero (Tripoli) e altri trionfi con le due (GP delle Nazioni) e quattro ruote (Alessandria e Circuito del Pozzo).Gestire una scuderia richiede parecchi soldi e per arrotondare Tazio Nuvolari si mette a vendere automobili trascurando la carriera di pilota: questo spiega l’unica vittoria conseguita nel 1929 (Circuito del Lario).Con l’Alfa rossa…Nel 1930 – anno in cui arriva l’ultima vittoria rilevante con le moto (Lario) – Nuvolari viene ingaggiato dall’Alfa Romeo e si fa subito notare portando a casa la Mille Miglia (diventando oltretutto il primo driver a terminare la corsa ad oltre 100 km/h di media), la Trieste-Opicina (primo successo conquistato come pilota della Scuderia Ferrari), la Cuneo-Colle della Maddalena, la Vittorio Veneto-Cansiglio e l’Ulster Tourist Trophy. La fame di successi non si arresta: nel 1931 arrivano la prima Targa Florio e il GP d’Italia insieme ad altre vittorie minori (Pontedecimo-Giovi, Coppa Ciano, Circuito delle Tre Province, Coppa della Consuma).Il mitico 1932Il 1932 è senza alcun dubbio l’anno migliore nella carriera di Tazio Nuvolari: il 17 aprile vince il GP di Monte Carlo, poco dopo riceve da Gabriele D’Annunzio una piccola tartaruga d’oro (la dedica recita “all’uomo più veloce, l’animale più lento”), a maggio conquista la seconda e ultima Targa Florio, a giugno sale sul gradino più alto del podio del GP d’Italia, a luglio porta a casa il GP di Francia, il Circuito di Avellino e la Coppa Ciano mentre risale ad agosto il successo nella Coppa Acerbo.Le Mans e la rottura con FerrariIl palmarès di Tazio si arricchisce nel 1933: conquista il GP di Tunisia, la Mille Miglia, il circuito di Alessandria, il Nürburgring e Nimes. La vittoria più importante è però quella riportata alla 24 Ore di Le Mans a giugno insieme al pilota francese Raymond Sommer.In quell’anno, però, il rapporto tra Tazio Nuvolari ed Enzo Ferrari (che si occupa di gestire le Alfa Romeo da corsa con la scuderia che porta il suo nome) si incrina: per non sentirsi vincolato ad un solo marchio (e per guadagnare di più con i successi scegliendo ogni volta la vettura più adatta) abbandona il Biscione, acquista una Maserati e la fa preparare dal suo meccanico personale Decimo Compagnoni. Con questo modello tra luglio e agosto vince in Belgio e a Nizza e porta a casa la Coppa Ciano. A settembre con la MG surclassa invece tutti all’Ulster Tourist Trophy.Il 22 aprile 1934 Tazio è vittima di un pauroso incidente ma dopo poco più di un mese torna in pista: con il Tridente prevale a Modena e nella Coppa Principessa di Piemonte.Ritorno all’Alfa RomeoDopo aver fatto pace con Enzo Ferrari Tazio Nuvolari torna all’Alfa Romeo nel 1935 e trionfa in numerose gare (Pau, Bergamo, Biella e Torino). A luglio ottiene la vittoria più bella della sua carriera nel GP di Germania sconfiggendo – al volante di una vettura dotata di soli 265 CV – le più potenti Mercedes (430 CV) e Auto Union (375 CV) e nel corso dell’anno riesce a trionfare anche a Nizza, a Modena e alla Coppa Ciano.Nel 1936 riporta l’incrinatura di qualche vertebra in un altro brutto incidente a Tripoli ma nonostante questo continua a vincere sui circuiti di tutta Europa (Penya Rhin, Ungheria, Milano, Coppa Ciano e Modena) e ad ottobre si fa conoscere anche negli USA conquistando la prestigiosa Coppa Vanderbilt. L’anno seguente – funestato dalla morte prematura (per malattia) del primogenito Giorgio – l’unico trionfo arriva a Milano.Il periodo Auto UnionTazio Nuvolari viene ingaggiato dall’Auto Union nel 1938 per rimpiazzare Bernd Rosemeyer (scomparso nel gennaio di quell’anno in un incidente) e permette alla Casa tedesca di vincere il GP d’Italia e quello di Donington. L’ultimo successo prima dell’interruzione delle gare dovuta allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale arriva nel 1939 a Belgrado.Dopo la guerraNel 1946 Nuvolari perde anche il secondo figlio Alberto e conquista l’ultimo successo internazionale al volante di una Maserati 4 CL in Francia nel GP di Albi. Il 22 giugno dell’anno seguente rischia di vincere la Mille Miglia con una Cisitalia e il 13 luglio porta a casa l’ultimo successo assoluto (a Parma con una Ferrari 125 SC).L’ultimo exploit dell’allora 56enne Tazio Nuvolari risale alla Mille Miglia del 1948: recatosi a Brescia per salutare i colleghi, ottiene la possibilità di correre con una Ferrari e con la vettura del Cavallino mantiene la testa della corsa fino a Firenze prima di essere costretto al ritiro a causa di numerosi problemi meccanici.Il 10 aprile 1950 Tazio Nuvolari disputa la sua ultima gara (primo nella classe 1100 Sport con una Cisitalia-Abarth 204 sulla Salita al Monte Pellegrino) e l’11 agosto 1953 perde la vita a Mantova.

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Tucson e ix35, la storia delle SUV compatte Hyundai
Da poco più di dieci anni le SUV compatte Hyundai contribuiscono in maniera rilevante a mantenere alte le vendite del marchio coreano in Europa. Al Salone di Ginevra 2015 abbiamo visto in anteprima l’ultimo modello della Casa asiatica appartenente alla categoria delle crossover del “segmento C”: la seconda generazione della Tucson.Lunga meno di quattro metri e mezzo, caratterizzata da un design ricercato e disponibile a trazione anteriore o integrale, ha una gamma motori composta da cinque unità: due 1.6 a benzina da 135 e 176 CV e tre turbodiesel CRDi (1.7 da 115 CV e 2.0 da 136 e 184 CV). Scopriamo insieme la storia delle antenate di questo modello.Hyundai Tucson prima generazione (2004)La prima generazione della Tucson (prima SUV compatta firmata Hyundai) vede la luce nel 2004: realizzata sulla stessa piattaforma della Kia Sportage, viene lanciata con quattro motori – due a benzina (2.0 da 141 CV e 2.7 V6 da 175 CV) e due 2.0 turbodiesel CRDi da 112 e 125 CV – ed è disponibile inizialmente solo a trazione integrale.Nel 2005 sparisce il turbodiesel più potente mentre l’anno seguente la potenza del due litri a gasolio sale fino a quota 140 CV. Il 2007 è l’anno in cui entrano in listino le varianti a trazione anteriore e risale a due anni più tardi l’introduzione di un propulsore 2.0 a GPL da 141 CV.Hyundai ix35 (2010)La Hyundai ix35 viene presentata ufficialmente al Salone di Francoforte del 2009, debutta nelle nostre concessionarie l’anno seguente e impiega pochissimo tempo a conquistare gli automobilisti europei: merito di un design seducente, della possibilità di avere fin da subito la possibilità di scegliere tra la trazione anteriore e quella integrale e di una gamma motori (due a benzina – 1.6 da 135 CV e 2.0 da 163 CV – e tre turbodiesel CRDi: 1.7 da 115 CV e 2.0 da 136 e 184 CV) adatta a tutte le esigenze.Nel 2013 abbandona le scene il propulsore a benzina da due litri di cilindrata mentre l’anno seguente è la volta di un leggero restyling che coinvolge principalmente i gruppi ottici.

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Triumph Dolomite Sprint (1973): la sportiva fragile
La Triumph Dolomite Sprint ha un posto speciale nel cuore degli appassionati di auto d’epoca britanniche: è stata la prima auto di grande serie ad adottare un motore a quattro valvole per cilindro e la prima inglese a montare i cerchi in lega di serie, ha ottenuto diversi successi in carriera nella categoria turismo, è divertente e non costa una follia. Trovare un esemplare abbastanza sano è semplice ma per portarsela a casa ci vogliono più dei 7.000 euro previsti dalle quotazioni.Triumph Dolomite Sprint (1973): le caratteristiche principaliLa Triumph Dolomite Sprint non è altro che la versione sportiva della Dolomite presentata l’anno prima. Nata nel 1973 per rubare clienti alla BMW 2002, si distingue al lancio per il prezzo più contenuto e per la presenza di due pratiche porte posteriori.Il design – pur essendo obsoleto (evoluzione di quello della 1300 svelata nel 1965) – seduce molti automobilisti grazie ad una serie di elementi “racing” come lo spoiler anteriore, il tetto in vinile e i doppi scarichi ma quello che più convince è il comportamento stradale: la trazione posteriore, l’assetto ribassato e i freni a tamburo più grandi rispetto alla Dolomite “standard” contribuiscono ad incrementare il piacere di guida, penalizzato esclusivamente dal peso elevato del corpo vettura.La Triumph Dolomite Sprint non è molto ingombrante (poco più di 4,10 metri di lunghezza) ma in compenso è molto spaziosa: inizialmente viene commercializzata solo con la vernice gialla e l’anno seguente – in concomitanza con l’ampliamento della gamma dei colori – entra nel listino degli optional il cambio automatico.Nel 1975 – anno in cui la berlina inglese conquista con il pilota Andy Rouse il prestigioso campionato britannico turismo – la dotazione di serie si arricchisce con lo specchietto retrovisore lato guidatore e con l’overdrive mentre i poggiatesta vengono introdotti nell’elenco degli accessori a pagamento. Diventano compresi nel prezzo l’anno successivo, quando il differenziale autobloccante sbarca tra gli optional.La Triumph Dolomite Sprint smette di essere esportata nel 1978 e continua ad essere prodotta per altri due anni: nell’ultima fase della carriera questa vettura non è in più in grado di contrastare le più moderne, veloci e sicure compatte dotate di portellone e della trazione anteriore come la Volkswagen Golf GTI.La tecnicaIl motore della Dolomite Sprint è un 2.0 16 valvole – con due carburatori ma con un solo albero a camme – a benzina in grado di generare una potenza di 129 CV e facilmente elaborabile. Grazie a questa unità – abbinata ad un cambio manuale preso in prestito dalla spider TR6 – la berlina britannica raggiunge una velocità massima di 192 km/h e accelera da 0 a 100 km/h in meno di 9 secondi.L’affidabilità non è il punto forte della Triumph Dolomite Sprint: il sistema di raffreddamento fragile causa numerosi problemi di surriscaldamento al propulsore ed è davvero complicato trovare esemplari privi di ruggine.Le quotazioniNon è difficile trovare in Italia esemplari ben tenuti di questa vettura (che negli anni ’70 conquistò diversi automobilisti nel nostro Paese): di sicuro è impossibile pensare di portarsene una a casa con meno di 10.000 euro. Una cifra ben lontana dalle quotazioni (7.000 euro).

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Ugo Gobbato, il padre dell’industria italiana
Ugo Gobbato può essere considerato il padre dell’industria automobilistica italiana: oltre ad aver risollevato l’Alfa Romeo negli anni ’30 ha gestito i primi passi degli stabilimenti del Lingotto e di Pomigliano d’Arco. Scopriamo insieme la storia dell’uomo che Enzo Ferrari considerava suo maestro.Ugo Gobbato: la biografiaUgo Gobbato nasce il 16 luglio 1888 a Volpago del Montello (Treviso): da giovane lavora come operaio presso un’azienda idroelettrica di Treviso e consegue a Vicenza il diploma di perito elettromeccanico e filotessitore. Nel primo decennio del XX secolo emigra in Germania, viene impiegato come progettista e nel 1909 si laurea in ingegneria meccanica e in ingegneria elettrotecnica al Politecnico di Zwickau.Il ritorno in ItaliaTornato in Italia per il servizio militare, entra nella Brigata Specialisti (sezione tecnica del Servizio Aeronautico) dove segue la manutenzione degli aerei e terminato il servizio di leva viene assunto come progettista e capo officina alla Petrò di Milano (azienda in cui si occupa di presse idrauliche ad alta pressione).Le guerreNel 1911 Ugo Gobbato viene richiamato alle armi in seguito alla campagna di Libia e nel campo di aviazione di Cascina Malpensa si occupa di organizzare i magazzini di smistamento per il fronte. L’anno seguente, tornato “civile”, viene nominato direttore del reparto produttivo piccoli motori industriali presso la Ercole Marelli di Sesto San Giovanni.In occasione della Prima Guerra Mondiale Gobbato torna nuovamente ad indossare la divisa: prima come organizzatore dei corsi di istruzione tecnica per la Compagnia Automobilisti e successivamente come ufficiale al Genio Minatori. A luglio chiede di essere inviato in prima linea nelle trincee del Carso e riceve la Croce di guerra al valor militare.Il 1916 è l’anno in cui Ugo Gobbato viene trasferito a Padova per seguire un corso come ufficiale, poco dopo viene incaricato di dirigere il deposito milanese di motori e aeroplani e, in seguito, di supervisionare la realizzazione di uno stabilimento di aerei a Firenze. Nel 1918 nasce il primogenito Pierugo (che diventerà direttore generale Ferrari e Lancia e si occuperà in prima persona del progetto della mitica Stratos).La FiatUna volta terminata la Prima Guerra Mondiale Gobbato viene assunto dalla Fiat per riconvertire gli impianti dalla produzione bellica a quella civile e fa parte di un ristretto numero di ingegneri che viene inviato negli USA a studiare la catena di montaggio della Ford. Nel 1922 viene nominato direttore dello stabilimento del Lingotto e accorpa le varie officine della Casa piemontese sparse per Torino in un unico luogo.Il ruolo di Ugo Gobbato in azienda è fondamentale: crea la Scuola Apprendisti e dal 1928 tiene corsi di organizzazione industriale. Nel 1929 lascia la direzione del Lingotto e viene inviato in Germania, a Neckarsulm, per la riorganizzazione dello stabilimento NSU, l’anno seguente va in Spagna per realizzare un’industria automobilistica locale e nel 1931 si occupa in Unione Sovietica (a Mosca) della costruzione della fabbrica di cuscinetti a sfera RIV.L’Alfa RomeoDopo i due anni nell’URSS Gobbato torna in Italia e riceve l’incarico dall’IRI e da Benito Mussolini di rimettere in sesto l’Alfa Romeo, all’epoca in crisi profonda. In pochi anni risolleva la Casa lombarda grazie anche alla produzione di motori aeronautici.Nel 1938 Ugo Gobbato, in seguito alla decisione del Biscione di decentrare la produzione “avio”, apre la fabbrica di Pomigliano d’Arco (Napoli), destinata alla realizzazione di motori per aerei. In questa fabbrica, quattro anni più tardi, vengono realizzati su licenza anche propulsori aeronautici Daimler Benz.Gli ultimi anniDopo l’8 settembre 1943 Gobbato resta direttore generale dell’Alfa Romeo: non tanto per collaborazionismo quanto piuttosto per evitare lo “scippo” da parte dei tedeschi di materiali e di operai.Dopo la Liberazione il CLN esautora Ugo Gobbato da qualsiasi incarico e lo sottopone ad un processo in un Tribunale del Popolo allestito in azienda. Viene assolto, nuovamente processato il 27 aprile e nuovamente assolto da tutte le accuse di collaborazionismo. Il 28 aprile 1945 mentre torna a casa a Milano viene ucciso da tre uomini armati: l’unico responsabile identificato – l’operaio Antonio Mutti (uno dei due testimoni dell’accusa), insoddisfatto del verdetto – non sconterà mai un giorno di galera in quanto il suo delitto (determinato da motivi politici) viene dichiarato estinto dall’amnistia del 1959.

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In vendita la casa di Ayrton Senna
La casa di Ayrton Senna è in vendita: “bastano” 9.500.000 euro per acquistare la villa di 900 mq di Quinta do Lago (uno dei posti più esclusivi dei Portogallo) che il campione brasiliano usava come “base” quando correva in Europa. L’annuncio si trova sul sito LuxuryEstate.com, partner di Immobiliare.it specializzato nel mercato del lusso.Nell’abitazione – distribuita su due piani – si trovano sei camere da letto, sette bagni, un’enorme cucina a isola e grandi salotti. All’esterno (la proprietà ha una dimensione complessiva di oltre 10.000 mq) troviamo invece una piscina di dimensioni paragonabili a quelle di una vasca olimpionica, un campo da calcetto, uno da tennis e uno da minigolf con quattro buche.Ayrton Senna – nato il 21 marzo 1960 a San Paolo (Brasile) e morto l’1 maggio 1994 a Bologna (Italia) – ha disputato 161 GP di F1 in carriera con quattro costruttori britannici (Toleman, Lotus, McLaren e Williams): il suo palmarès nel Circus comprende tre Mondiali (1988, 1990, 1991), 41 vittorie, 65 pole position, 19 giri veloci e 80 podi.

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John Francis, il primo fratello Dodge
John Francis Dodge è noto per aver fondato, insieme al fratello Horace Elgin, la Casa automobilistica che ancora oggi porta il loro nome. Scopriamo insieme la storia di quest’uomo, uno dei pionieri delle quattro ruote “yankee”.John Francis Dodge: la biografiaJohn Francis Dodge nasce il 25 ottobre 1864 a Niles (USA): figlio del proprietario di una fonderia, si trasferisce a Detroit nel 1886 e trova lavoro insieme all’inseparabile fratello in una fabbrica specializzata nella costruzione di generatori di vapore per mezzi navali. Nel 1894 si sposta in Canada, più precisamente a Windsor, dove trova un impiego in un’azienda tipografica.Mentalità managerialeLa mentalità manageriale di John emerge alla fine del XIX secolo quando apre insieme al fratello grazie all’aiuto di un investitore una società focalizzata sull’assemblaggio di biciclette. Dopo pochi anni i due vendono l’azienda e si concentrano sulla produzione di componenti per automobili.Il mondo dell’autoNel 1902 John Francis Dodge diventa fornitore di trasmissioni per la Olds e l’anno successivo si cimenta nella realizzazione di motori per una Casa automobilistica nata da pochi mesi: la Ford. La partnership prosegue con successo fino al 1913, anno in cui Dodge abbandona il brand dell’Ovale Blu per mettersi in proprio.Nasce la DodgeNel 1914 vede la luce la 30-35, prima vettura prodotta dal neonato brand Dodge: lo scoppio della Prima Guerra Mondiale porta però i due fratelli a modificare quasi subito la produzione concentrandosi sulle forniture militari.Gli ultimi anniNel primo dopoguerra la Dodge torna a produrre automobili destinate al grande pubblico ma John Francis contrae l’influenza spagnola e muore di polmonite a New York (USA) il 14 gennaio 1920.

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Infiniti, la storia della Casa giapponese
Ci sono Case automobilistiche con un passato importante e altre – come la Infiniti – che pur essendo attive da poco tempo sono riuscite rapidamente a conquistare il pubblico. In meno di trent’anni il marchio di lusso del gruppo Nissan ha saputo imporsi sul mercato come alternativa ai più blasonati brand tedeschi e nel breve periodo è destinato ad incrementare ulteriormente le proprie quote di mercato grazie ad una serie di modelli più accessibili. Scopriamo insieme la sua storia.Infiniti, la storiaLa Infiniti nasce ufficialmente alla fine degli anni ’80 quando la Nissan – in seguito ad operazioni analoghe effettuate dalle rivali Honda (con la Acura) e Toyota (con la Lexus) – decide di creare un marchio “premium” destinato al mercato nordamericano.Il primo modello della gamma – l’ammiraglia Q45 (realizzata sul pianale accorciato della Nissan President) – inizia ad essere commercializzato l’8 novembre 1989. L’anno seguente tocca invece alla sportiva M30 e alla berlina G20, varianti rimarchiate delle Nissan Leopard e Primera.Il debutto nel 1992 della filante “berlinona” a quattro porte J30 (creata per rimpiazzare la M30) non basta a far crescere le (scarse) immatricolazioni della Infiniti: i potenziali clienti amanti dell’understatement preferiscono rivolgersi ai prodotti Acura e Lexus.La seconda metà degli anni ’90La situazione migliora leggermente nella seconda metà degli anni ’90 e più precisamente nel 1997 in concomitanza con il lancio della QX4 (la prima SUV del marchio), costruita sulla stessa piattaforma della Nissan Pathfinder. Gli altri modelli presenti in listino, invece, continuano a faticare.La svoltaLa svolta per la Infiniti arriva nel Terzo Millennio, poco dopo l’inizio dell’alleanza tra Renault e Nissan. Grazie a corposi investimenti il marchio “premium” nipponico rivoluziona completamente la propria immagine attraverso una serie di prodotti eleganti come sempre ma contraddistinti anche da un tocco di sportività nelle linee.Il modello che simboleggia meglio questo “cambio di rotta” è la terza generazione della G del 2002, che abbandona la trazione anteriore (e lo stile) della Nissan Primera) per passare ad un pianale a trazione posteriore condiviso nientepopodimeno che con la Nissan 350Z. Particolarmente riuscita la versione Coupé, prima vettura del brand giapponese a far battere forte il cuore degli appassionati di automobili.Grazie a questo modello la Infiniti inizia ad essere considerata come una BMW in salsa giapponese e l’introduzione delle affascinanti SUV FX (nel 2002), QX (2004) ed EX (2007) contribuisce ad aumentare considerevolmente le vendite.Lo sbarco in Europa e gli anni DieciIl 2008 è l’anno in cui il marchio di lusso del gruppo Nissan sbarca ufficialmente in Europa ma la vera rivoluzione arriva nel 2010 con l’introduzione di un motore V6 turbodiesel di origine Renault perfetto per gli automobilisti del Vecchio Continente.Dalle nostre parti, per il momento, le quote di mercato del marchio Infiniti non sono molto elevate ma alcune mosse di marketing come la sponsorizzazione della scuderia di F1 Red Bull e il rafforzamento della partnership con Mercedes e nuovi prodotti come la berlina Q50 e le future Q30 (compatta) e QX30 (SUV compatta) realizzate sulla stessa piattaforma della classe A stanno portando frutti preziosi.

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La BMW M1 ProCar e la F1
A cavallo tra gli anni ’70 e ’80 la BMW M1 ProCar, variante da corsa della supercar bavarese, fu protagonista di un evento che oggi sarebbe impossibile da ripetere: un trofeo monomarca che coinvolgeva i piloti di F1 il giorno prima dei GP. Un po’ come se oggi driver del calibro di Daniel Ricciardo, Valtteri Bottas e Felipe Massa si sfidassero il sabato prima di una gara al volante di vetture diverse dalle loro monoposto. Scopriamo insieme la storia di questo esperimento.BMW M1 ProCar: la storiaLa BMW M1 ProCar non è altro che la versione da gara della M1 del 1978: dotata di un motore 3.5 a sei cilindri in linea da 470 CV (contro i 277 del modello di serie) abbinato ad un cambio manuale a cinque marce, a seconda della rapportatura della trasmissione può raggiungere una velocità massima di 311 km/h e accelerare da 0 a 100 chilometri orari in 4,3 secondi.Jochen Neerpasch, numero 1 della sezione Motorsport del marchio tedesco, decide di schierare queste vetture in un campionato monomarca composto da otto gare disputate tra maggio e settembre in concomitanza con i Gran Premi europei del Mondiale F1 1979. Ricco il montepremi: 5.000 dollari al vincitore di ogni corsa, 3.000 al secondo, 1.000 al terzo e una M1 stradale per il trionfatore della serie.1979Tutti i piloti del Circus prendono parte al campionato BMW M1 ProCar tranne quelli Ferrari (il sudafricano Jody Scheckter e il canadese Gilles Villeneuve) e Renault (i due transalpini Jean-Pierre Jabouille e René Arnoux). Due i motivi: l’impossibilità di far guidare a questi driver vetture di marchi concorrenti e la presenza di pneumatici Goodyear sulle sportive di Monaco, usati da tutti i team tranne quello emiliano e transalpino.Il regolamento della serie è semplice: i primi cinque piloti delle prove libere del venerdì guadagnano automaticamente le prime cinque posizioni della griglia e ottengono la possibilità di correre con vetture ufficiali gestite direttamente dal brand teutonico (e realizzate dall’azienda britannica BS Fabrications) mentre gli altri corrono con modelli costruiti dall’inglese Project Four e dai piemontesi della Osella.Il campionato BMW M1 ProCar debutta ufficialmente il 12 maggio 1979 sul circuito belga di Zolder e a trionfare è il nostro Elio de Angelis. Il titolo va invece all’austriaco Niki Lauda – primo in tre occasioni (Monte Carlo, Silverstone e Hockenheim) sempre con vetture “non ufficiali” – seguito dal tedesco Hans-Joachim Stuck (vincitore delle ultime due gare a Zandvoort e a Monza) e dallo svizzero Clay Regazzoni.1980Nel 1980, anno in cui la M1 conquista un terzo posto alla 1.000 km del Nürburgring con il duo composto da Stuck e dal brasiliano Nelson Piquet, il calendario del monomarca presenta nove gare invece di otto ma solo sei (Monte Carlo, Brands Hatch, Hockenheim, Österreichring, Zandvoort e Imola) coincidono con il Mondiale F1.Per i tre eventi extra-Circus (Donington nel Regno Unito, AVUS e Norisring in Germania Ovest) vengono selezionati cinque piloti per correre con le BMW M1 “ufficiali”: Piquet, l’australiano Alan Jones, i francesi Jacques Laffite e Didier Pironi e l’argentino Carlos Reutemann. Il titolo va al driver brasiliano che conquista le ultime tre gare (Austria, Olanda e Italia): dietro di lui Jones e Stuck, primo a Monte Carlo e a Norisring con una vettura non ufficiale.Alla fine della stagione la BMW sospende l’iniziativa per concentrarsi sulla realizzazione di motori di F1: diventerà fornitore Brabham nel 1982 e l’anno seguente questo binomio conquisterà il Mondiale F1 Piloti con Piquet.

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Lancia Delta: all’asta una Martini 5 praticamente nuova
La Martini 5 è una delle Lancia Delta più desiderate dagli appassionati e nel weekend del 21 e 22 febbraio 2015 verrà messo all’asta – in occasione dell’evento Race Retro in programma a Stoneleigh Park (Regno Unito) – un esemplare del 1992 praticamente nuovo della compatta torinese che ha percorso solo 50 chilometri. Si stima un prezzo compreso tra 120.000 e 150.000 euro.La Lancia Delta Martini 5 nasce nel 1992 per celebrare i cinque Mondiali WRC Costruttori conquistati dalla “segmento C” piemontese nei rally (in quell’anno diventeranno poi sei) e si distingue dalla Evoluzione da cui deriva per i cerchi bianchi da 15”, per la livrea Martini Racing sulle fiancate e per le prese d’aria nere sul cofano. Dentro spiccano invece le cinture di sicurezza rosse, i sedili in Alcantara nera con cuciture rosse e la targhetta identificativa sul tunnel della trasmissione. Invariato il motore: un 2.0 sovralimentato da 210 CV (non catalizzato).

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