Monthly Archives: Febbraio 2014

Peugeot 205 GTI 1.9 Gutmann: tuning d’epoca

La Peugeot 205 GTI 1.9 Gutmann del 1990 è uno dei più begli esempi di tuning d’epoca: questa versione speciale della piccola francese – realizzata in oltre 300 esemplari (una decina importati nel nostro Paese) – è stata restaurata dalla filiale italiana della Casa del Leone. Chi ha partecipato lo scorso ottobre ad Auto e Moto d’Epoca a Padova ha avuto modo di vederla dal vivo.Basata sulla versione 1.9 da 130 CV ed elaborata da Gutmann, ancora oggi concessionario del brand transalpino a Breisach (Germania), adottava la testata a sedici valvole della compatta 309, una centralina con diversa mappatura, il radiatore per il raffreddamento dell’olio, un filtro aria e uno scarico sportivo. Soluzioni che consentirono di far salire la potenza fino a quota 160 CV.Facile distinguere la Gutmann dalle altre Peugeot 205 GTI 1.9: merito degli pneumatici 195/50-15 montati su cerchi in lega personalizzati, del logo 16V posteriore, della strumentazione chiara, del pomello del cambio specifico e delle scritte Gutmann presenti sul volante a tre razze e sul cruscotto.Da non sottovalutare, inoltre, le sospensioni ribassate di 30 mm, la barra duomi anteriore, il rapporto della quinta accorciato (da 0,88 a 0,81), il disco della frizione rinforzato e le pastiglie dei freni a disco realizzate con una mescola speciale.

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Acura MDX, la storia della SUV giapponese

La Acura MDX – SUV media “premium” del marchio di lusso del gruppo Honda – non è commercializzata nel nostro Paese mentre negli USA rappresenta una via di mezzo tra la RDX e la ZDX.La terza generazione denominata YD3 – quella attualmente in listino – viene svelata ufficialmente al Salone di New York del 2013. Disponibile a trazione anteriore o integrale, ha un design ispirato alla concept mostrata a Detroit nello stesso anno e l’unico motore disponibile è un 3.5 V6 ad iniezione diretta di benzina da 294 CV. Scopriamo insieme la storia delle sue antenate.Acura MDX YD1 (2000)La prima serie della Acura MDX, conosciuta con la sigla YD1, viene lanciata nel 2000. Realizzata sulla stessa base della berlina Accord e disponibile esclusivamente a trazione integrale, può accogliere sette passeggeri e monta un motore 3.5 V6 a benzina da 245 CV.In occasione del restyling del 2003 – caratterizzato dal frontale modificato, dal cambio rivisto e dai cerchi in lega ridisegnati – la potenza del propulsore sale a quota 269 CV.Acura MDX YD2 (2006)La Acura MDX YD2 – seconda evoluzione della Sport Utility giapponese – debutta nel 2006. Il design – più aggressivo – deriva da un prototipo mostrato al Salone di New York dello stesso anno mentre il passo allungato consente di aumentare lo spazio a disposizione dei passeggeri.Dotata di un motore 3.7 V6 da 305 CV e della trazione integrale, beneficia di un restyling nel 2010 che porta una nuova mascherina, un cambio inedito e una dotazione di serie più ricca. Grazie a queste modifiche la MDX diventa la Acura più venduta negli Stati Uniti.

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Dalla Dino alla Barchetta, la storia delle sportive Fiat a motore anteriore

Da quasi dieci anni la Fiat non produce più auto sportive: in tempi di crisi la Casa torinese ha preferito concentrarsi su modelli più profittevoli lasciando all’Alfa Romeo il compito di creare vetture in grado di fare battere forte il cuore degli appassionati. Oggi ci concentreremo sulla storia delle coupé e delle spider a motore anteriore realizzate a partire dagli anni ’60: veicoli brillanti e, spesso, alla portata di molte tasche.Fiat Dino (1966)La Fiat Dino nasce in seguito ad una partnership con la Ferrari: il Cavallino ha bisogno di omologare un motore V6 da destinare alle monoposto 166 di F2 e l’unico modo che ha è quello di farlo montare da una vettura prodotta in almeno 500 esemplari.La prima a debuttare è la Spider nel 1966: disegnata da Pininfarina e dotata di trazione posteriore, monta un propulsore 2.0 V6 da 160 CV. L’anno seguente, a Torino, viene invece svelata la Coupé firmata Bertone: il passo più lungo, il peso più elevato e le dimensioni esterne più ingombranti (4,51 metri contro i 4,11 della variante scoperta) contribuiscono a migliorare la tenuta di strada.Nel 1969 arrivano le prime modifiche alla Fiat Dino: la cilindrata del motore viene portata a 2,4 litri (potenza salita fino a quota 180 CV) e il retrotreno a ponte rigido viene rimpiazzato dalle più moderne ruote indipendenti. Esteticamente, invece, i cambiamenti più rilevanti riguardano il frontale (con la mascherina nera opaca) e la plancia rivista.Fiat 124 Sport Spider (1966)La Fiat 124 Sport Spider – presentata ufficialmente al Salone di Torino del 1966 – è realizzata sullo stesso pianale (accorciato) della berlina. Dotata di un motore 1.4 da 90 CV, è una scoperta 2+2 disegnata e prodotta da Pininfarina.Nel 1970 il propulsore viene portato a 1,6 litri e la potenza sale fino a quota 110 CV. Tre anni più tardi, in concomitanza con la riduzione di cavalli del 1.6 (106 CV) e il lancio di un 1.8 da 118 CV, viene svelata la versione Rally: la variante di serie – realizzata in soli 900 esemplari e caratterizzata dal tetto rigido – monta un 1.8 da 128 CV mentre quella da gara (con potenze comprese tra 190 e 215 CV) si aggiudica due campionati europei rally nel 1972 (con Raffaele Pinto) e nel 1975 (con Maurizio Verini).La 124 Sport Spider – che nel 1979 riceve un nuovo motore 2.0 – viene venduta con il brand Fiat fino al 1982. Dal 1983 al 1985 viene invece commercializzata con i nomi Pininfarina Spidereuropa e Spideramerica.Fiat 124 Coupé (1967)La Fiat 124 Coupé viene svelata al Salone di Ginevra del 1967, un anno dopo la Sport Spider. La prima generazione – denominata AC e disegnata da Felice Mario Boano del Centro stile della Casa torinese – monta un motore 1.4 da 90 CV abbinato ad un cambio a quattro marce (quinto rapporto optional).La seconda serie – conosciuta con la sigla BC – debutta al Salone di Torino del 1969. Esteticamente si distingue dall’antenata per il frontale più simile a quello della Dino e per i gruppi ottici posteriori più voluminosi. Tecnicamente le modifiche riguardano invece l’arrivo di un propulsore 1.6 da 110 CV, che  affianca l’unità 1.4.L’ultima generazione della Fiat 124 Coupé – la CC – viene lanciata nel 1972. Il frontale è meno “pulito” rispetto a prima e nella coda spiccano i gruppi ottici verticali. Il 1.6 da 110 CV (l’unico motore previsto al debutto) viene presto rimpiazzato da un’unità leggermente calata alle voci “cilindrata” e “potenza” (108 CV). Si aggiunge anche un 1.8 da 118 CV.Fiat Coupé (1993)A poco più di dieci anni di distanza dall’addio al listino della 124 Sport Spider la Fiat rientra ufficialmente nel segmento delle sportive con la Coupé del 1993. Realizzata sullo stesso pianale della compatta Tipo a trazione anteriore e disegnata da Chris Bangle (esterni) e Pininfarina (interni), debutta al Salone di Bruxelles con due motori 2.0: aspirato da 139 CV e turbo da 190 CV.Nel 1996 si aggiunge alla gamma propulsori un 1.8 da 131 CV e pochi mesi dopo arrivano due 2.0 a cinque cilindri da 147 e 220 CV che rimpiazzano i vecchi due litri. Nel 1999 è invece la volta di un altro 2.0, questa volta da 154 CV.Fiat Barchetta (1994)La Fiat Barchetta – ultima spider prodotta dal marchio piemontese – vede la luce nel 1994. Disegnata da Andreas Zapatinas e costruita sulla base accorciata della prima generazione della piccola Punto, monta un motore 1.8 da 130 CV. Il restyling del 2003 porta numerose modifiche al frontale e alla coda.

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Mini Cooper (2001), la classica del terzo millennio

Sembra ieri eppure sono già passati 13 anni dal lancio della seconda generazione della Mini Cooper (quella realizzata dalla BMW, per intenderci). Da nuova la piccola inglese è stata l’oggetto del desiderio di tutti i neopatentati nati nei primi anni Ottanta, oggi si porta a casa senza problemi con 3.000 euro e il suo futuro come auto d’epoca è assicurato.Mini Cooper (2001): le caratteristiche principaliLa seconda serie della Mini Cooper viene svelata nel 2001: sensibilmente più grande dell’antenata (3,63 metri di lunghezza) ha un abitacolo ottimamente rifinito che offre un discreto spazio per le spalle e le gambe di chi si accomoda sui sedili posteriori (pochi, invece, i centimetri a disposizione della testa) e un bagagliaio di 160 litri adeguato alle esigenze di un single.L’affidabilità dei primi esemplari non è eccezionale (il cambio – con sole cinque marce – è particolarmente fragile), così come la dotazione di serie: i fendinebbia, ad esempio, si pagavano a parte. Il comportamento stradale, in compenso, è ottimo: la vettura è incollata all’asfalto (ma non è molto agile in quanto non ha molti cavalli) ed è dotata di un assetto rigido poco adatto nei lunghi viaggi. I freni sono molto resistenti ma non troppo potenti e lo sterzo dei primi esemplari non è preciso come i comandi arrivati dopo.La tecnicaIl motore della Mini Cooper è un 1.6 Euro 4 a benzina di origine Chrysler povero di cavalli (116) e di coppia (149 Nm). L’unità è poco vivace ai bassi regimi ma si riscatta con un ottimo allungo. Rumoroso alle alte velocità, non offre prestazioni esaltanti: 200 km/h di velocità massima e 9,2 secondi per accelerare da 0 a 100 km/h. Interessanti, invece, i consumi: i 14,9 km/l dichiarati si possono raggiungere tranquillamente adottando uno stile di guida tranquillo.Le quotazioniQuesto è il momento migliore per acquistare le prime Mini Cooper “by BMW”: le quotazioni hanno infatti raggiunto il minimo storico (3.000 euro) e d’ora in poi i prezzi potranno soltanto aumentare.

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Jaguar XJ13: entrò nel mito senza mai correre

Le auto da corsa diventano mitiche quando vincono, alcune ci riescono senza mai salire sul gradino più alto del podio mentre solo una è stata capace di ottenere questa impresa senza mai gareggiare: la Jaguar XJ13.A causa di alcuni ritardi nella progettazione e ad un cambio di regolamento la sportiva britannica non potè prendere parte alla 24 Ore di Le Mans: rimase un esemplare unico, ora ammirabile presso l’Heritage Motor Centre Museum di Gaydon, nel Regno Unito. Scopriamo insieme la sua storia.Jaguar XJ13: la storiaIl progetto della Jaguar XJ13 vede la luce all’inizio degli anni Sessanta quando gli ingegneri della Casa britannica, reduce da cinque successi alla 24 Ore di Le Mans nel decennio precedente (1951, 1953, 1955, 1956 e 1957), decidono di creare un’erede della D-Type all’insaputa del fondatore dell’azienda William Lyons, contrario all’idea.La vettura – ricca di alluminio (utlizzato per il telaio e la carrozzeria) – monta un motore 5.0 V12 da 502 CV. Questa unità – la prima a dodici cilindri del marchio inglese – verrà successivamente adottata (dopo opportune modifiche per l’utilizzo sui modelli di serie) sulla coupé E-Type e sull’ammiraglia XJ.La mancata partecipazione alle gareLa costruzione della Jaguar XJ13 inizia nel 1966 ma numerosi ritardi nella progettazione impediscono alla vettura di prendere parte alla 24 Ore di Le Mans dell’anno successivo. Molti appassionati di motorsport dubitano, però, del livello di competitività di questo modello visto che in gara era presente la mostruosa Ford GT40, dotata di un possente propulsore 7.0 V8.Il cambio di regolamento del 1968, che vieta la partecipazione a vetture con motori di cilindrata superiore a 3 litri a meno che non siano state prodotte in almeno 50 esemplari, rende la sportiva “british” inutilizzabile nelle gare.Dopo le corseLa Jaguar XJ13 viene utilizzata negli anni Settanta come protagonista di spot pubblicitari per il lancio della E-Type ma durante una ripresa viene quasi distrutta in un incidente dovuto al distacco di una ruota. La vettura viene ricostruita nel 1973 con un nuovo motore, che subisce gravi danni poco dopo per via di un fuorigiri prolungato.Il propulsore originale viene quindi rimontato ma non mancano altri danni: nel 2004 durante un’operazione di scarico da un camion la XJ13 urta contro un marciapiede danneggiando il basamento del motore e il modello attualmente presente nel museo di Gaydon è frutto di un profondo restauro da parte della Casa britannica.

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Ferrari Pinin: in vendita l’unica Rossa a quattro porte

La Pinin – unica Ferrari a quattro porte della storia (se si escludono alcuni modelli realizzati appositamente per il Sultano del Brunei) – è una delle concept più significative della Casa di Maranello. Ora è ufficialmente in vendita ad un prezzo alla portata di ben poche tasche: 1.100.000 euro.Fino al 1992 questo prototipo statico, creato per celebrare i 50 anni di Pininfarina e svelato ufficialmente al Salone di Torino del 1980, apparteneva alla collezione del carrozziere torinese e successivamente fu venduto all’ex-pilota belga Jacques Swaters (miglior risultato in F1 un 7° posto nel GP di Germania 1953).Nel 2008 la Ferrari Pinin fu acquistata all’asta di RM Ferrari – Leggenda e Passione dal suo attuale proprietario – Gabriele Candrini (proprietario della concessionaria Autospeak di Modena) – e resa marciante grazie all’intervento dell’ingegner Mauro Forghieri (direttore tecnico del Reparto Corse del Cavallino negli anni Settanta e Ottanta) sul motore 5.0 boxer 12 cilindri da 360 CV (lo stesso della 512 BB).

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Land Rover: la storia della Casa britannica

La Land Rover è uno dei marchi più coerenti del mondo: nel corso dei suoi 65 anni di attività il marchio inglese ha infatti realizzato esclusivamente fuoristrada. Scopriamo insieme la storia della Casa britannica, la più importante in Europa tra quelle dedicate ai veicoli 4×4 e la seconda più antica del mondo tra quelle produttrici di mezzi a trazione integrale, dopo la Jeep.Land Rover: la storiaLa Land Rover nasce ufficialmente il 30 aprile 1948 quando al Salone di Amsterdam la Rover svela la Series I, un mezzo destinato ai percorsi off-road creato per contrastare il successo delle Jeep.La vettura impiega poco tempo a conquistare i clienti privati e i militari e viene aggiornata nel 1958 in occasione del lancio della Series II, rimpiazzata tre anni più tardi dalla Series IIA.La Range RoverNel 1967 la Rover entra a far parte della Leyland, che un anno più tardi si fonde con la British Motor Holdings per creare la British Leyland. Nel 1970 viene presentata la Range Rover: la prima SUV "premium" della storia ha un comportamento eccezionale in off-road ma – a differenza delle Series – se la cava egregiamente anche su asfalto.La nascita del brandGli anni Settanta si aprono con il lancio – nel 1971 – della Series III. Nel 1975 la British Leyland fallisce e viene nazionalizzata e tre anni più tardi la Land Rover – sigla utilizzata fino a quel momento solo per battezzare le fuoristrada Rover – diventa un brand a tutti gli effetti.Gli anni OttantaNel 1980 debutta la Range Rover a cinque porte mentre nel 1983 è la volta delle Ninety e delle One-Ten, evoluzioni delle Series e “mamme” della Defender. Tre anni dopo la British Leyland cambia nome in Gruppo Rover, che viene privatizzato nel 1988 ed entra a far parte – con il semplice nome Rover – della British Aerospace. Il 1989 è l’anno in cui nasce la Discovery.Il passaggio a BMWLa Land Rover entra a far parte di BMW – insieme all’intero gruppo Rover – nel 1994, in concomitanza con il debutto della seconda generazione della Range Rover. Nel 1997 viene svelata la Freelander e un anno dopo è la volta della seconda serie della Discovery.Il trasferimento a FordNel 2000 BMW vende la Casa britannica alla Ford e per il marchio inglese inizia un profondo ampliamento della gamma. Nel 2002 debutta la terza generazione della Range Rover, nel 2004 tocca alla terza evoluzione della Discovery mentre nel 2005 è la volta della Range Rover Sport che, nonostante il nome, è basata sulla piattaforma del modello presentato l’anno prima.Nel 2006 arriva la seconda serie della Land Rover Freelander mentre l’iconica Defender guadagna un motore più evoluto – un 2.4 turbodiesel – e sedili posteriori rivolti verso il senso di marcia.Il presenteIl marchio “british” viene venduto nel 2008 alla Tata e in questo decennio la gamma viene quasi completamente rivista: tra le novità più rilevanti segnaliamo la quarta serie della Discovery nel 2010, la Range Rover Evoque del 2011 e la quarta generazione della Range Rover nel 2012.

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Bruno Sacco: un italiano in Mercedes

Prima degli anni ’80 la Mercedes aveva una gamma di modelli limitata e il design della maggior parte delle sue vetture non era particolarmente innovativo. Tutto è cambiato grazie ad un designer italiano, Bruno Sacco. Scopriamo insieme la sua storia.Bruno Sacco: la biografiaBruno Sacco nasce il 12 novembre 1933 a Udine e si appassiona alle automobili a 19 anni, quando ammira per le strade di Tarvisio una Studebaker. Dopo essersi laureato in ingegneria meccanica al Politecnico di Torino si concentra sul design.Le prime esperienzeDopo alcune piccole collaborazioni con Ghia e Pininfarina nel 1958 Bruno si trasferisce in Germania, dove inizia a lavorare con la Mercedes.Una lunga gavettaI primi lavori di Bruno Sacco per la Casa della Stella vedono la luce nel 1963 e sono l’ammiraglia 600 e la sportiva SL (meglio nota con il nome “Pagoda”). Il prototipo C111 del 1969 con le sue forme aggressive rappresenta invece un taglio netto col passato.Gli anni SettantaNel 1975 Sacco viene nominato responsabile del design Mercedes: uno dei primi modelli nati sotto la sua direzione è la classe S W126.La 190Gli anni Ottanta si aprono con il modello più significativo creato dalla matita di Bruno Sacco: la berlina 190 del 1982, che rappresenta il modello d’accesso alla gamma della Stella. Nello stesso decennio si segnalano la classe E W124 del 1985 e la SL R129 del 1989.Gli anni NovantaL’ultimo decennio della carriera in Mercedes di Bruno si apre con la classe S W140 del 1991 e con la classe C W202 del 1993. Qualche anno più tardi vengono abbandonate le linee squadrate per puntare su forme più tondeggianti: nel 1995 è la volta della classe E W210 (contraddistinta dal frontale con i doppi fari), seguita l’anno successivo dalle sportive CLK e SLK. Nel 1997 tocca alla SUV classe M W163 mentre l’anno seguente viene lanciata la classe S W220.Bruno Sacco va in pensione all’inizio degli anni Duemila, poco dopo essere stato nominato tra i 25 car designer più importanti del XX secolo.

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OM 665 "Superba": la prima vincitrice della Mille Miglia

Per la maggioranza degli italiani – almeno per quelli nati entro la prima metà degli anni Ottanta – il marchio OM, scomparso ufficialmente nel 1975, è associato ai veicoli commerciali. Non tutti sanno, però, che prima della Seconda Guerra Mondiale e prima del passaggio nel Gruppo Fiat la Casa lombarda realizzava automobili. La più nota è la 665 “Superba”, la prima vincitrice della Mille Miglia.OM 665 “Superba”: la storia sportivaLa OM 665 “Superba”, svelata nel 1923, deve il suo nome ai sei cilindri del motore (un 2.0 a valvole laterali da 40 CV) e ai 65 mm dell’alesaggio. Dopo pochi mesi debutta una più cattiva variante con due carburatori da 60 CV che raggiunge una velocità massima di 120 km/h.Le prime vittorieIl primo successo della 665 arriva nel 1924 alla Coppa Montenero con Renato Balestrero. Il pilota toscano si aggiudica l’anno seguente il GP di Tripoli.La Mille MigliaLa OM 665 “Superba” ottiene il successo più importante il 27 marzo 1927 quando monopolizza il podio della prima edizione della Mille Miglia: sul gradino più alto salgono Ferdinando Minoia e Giuseppe Morandi. Nello stesso anno arriva anche la vittoria nella Coppa della Sila con Archimede Rosa.L’evoluzioneIn occasione della Mille Miglia del 1928 viene realizzata la variante SMM dotata di più cavalli e di un passo più corto di un centimetro. Arriva il successo nella classe 2 litri ma non quello assoluto. L’anno successivo la vettura si aggiudica quattro corse minori con Rosa (Giro di Sicilia e Coppa di Crollalanza) e Morandi (Coppa Messina e Circuito Tre Province).Gli anni TrentaNegli anni Trenta la OM 665 “Superba” guadagna un propulsore dalla cubatura maggiorata (da 2.0 a 2.2) con 65 CV e conquista con Rosa altri due Giri di Sicilia (1930 e 1931) e il Giro di Sorrento con Vincenzo Azzone. La versione SSMM dotata di un compressore (80 CV e 150 km/h di velocità massima) prende parte a numerose gare in Europa senza però brillare.

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Automotoretrò 2014, le storiche in scena a Torino

Automotoretrò 2014, tradizionale appuntamento per gli appassionati del veicoli storici, si terrà dal 7 al 9 febbraio presso il Lingotto Fiere di Torino. Scopriamo insieme tutte le informazioni utili per seguire l’evento.La prossima edizione di questa manifestazione, che occuperà oltre 90.000 mq del centro fieristico piemontese, cercherà di battere i record del 2013 – 44.000 visitatori (22% in più rispetto al 2012) e 700 espositori (+ 8%) – e strizzerà per la prima volta l’occhio anche al mondo dei fuoristradisti. Da non dimenticare la rassegna Automotoracing, riservata alle corse, affiancata da Expo Tuning Torino e Piemonte Custom.In occasione di Automotoretrò 2014 la Mercedes festeggerà i 60 anni della 300 SL “Ali di gabbiano”, sarà presente una mostra dei modelli più rappresentativi Harley-Davidson e verrà inoltre esposto il modello unico di Hirsch, marchio berlinese attivo dal 1923 al 1924, caratterizzato dal telaio in frassino e dal motore ruotato di 90 gradi.Non mancheranno poi le tradizionali aree riservate al modellismo curate da Funtoys, ai settori ricambi e accessori e all’editoria specializzata. Per maggiori informazioni cliccate sul sito ufficiale.Automotoretrò 2014: informazioni utiliIndirizzo: Lingotto Fiere – Via Nizza 294 – TorinoDate: da venerdì 7 a domenica 9 febbraio 2014Orari: venerdì dalle 10 alle 19; sabato e domenica dalle 9 alle 19Biglietti: intero 10 euro, ridotto 8 euro, gratis per i ragazzi sotto i 12 anni. L’abbonamento per due giorni costa 16 euro, quello per tre giorni 24 euro.

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